Nella
pronuncia in commento, infatti, la Suprema Corte ha sottolineato che, in simili
casi, il giudice è chiamato a valutare se il mancato pagamento dell’assegno
divorzile sia dovuto ad una precisa
volontà e non, invece, ad un peggioramento delle condizioni economiche.
Il
caso di specie è quello di un uomo condannato ad un mese di reclusione dalla
Corte di Appello per non aver versato il mantenimento alla ex moglie per oltre
un anno.
Nel
ricorrere in Cassazione, l’uomo aveva censurato l’impugnata sentenza per non
aver considerato il suo stato di indigenza, sopraggiunto in seguito alla perdita
del lavoro.
Investiti
della questione, gli ermellini hanno chiarito che il verdetto pronunciato dalla
Corte di Appello risultava basato su una motivazione irragionevole.
Nello
specifico, i giudici del merito avevano ritenuto semplicemente non credibile
che per oltre un anno l'uomo non fosse stato in grado di adempiere, neppure
parzialmente, al suo dovere.
Nel
rimarcare l’illogicità di tale assunto, anche in considerazione dell’attuale
crisi economica, la Cassazione ha precisato che, in caso di separazione, il reato previsto
dall'art.570, comma 1, del Codice Penale può configurarsi solo quando venga
accertato che l'omissione sia scaturita dalla precisa volontà di negare che
esista un obbligo di assistenza. Solo in tal caso, dunque, la condotta va
considerata contraria all'ordine e alla morale della famiglia.
La
Suprema Corte ha proseguito osservando che, poiché l’assegno di mantenimento
assolve alla funzione di assicurare all’ex
coniuge lo stesso tenore di vita goduto durante il matrimonio, sarebbe del
tutto irragionevole non esaminare, ai fini dell'accertamento del reato, se il
soggetto obbligato abbia subìto variazioni di reddito tali da poter incidere
proprio sul tenore di vita. Ciò anche in virtù del fatto che la coppia avrebbe
risentito di detto eventuale
peggioramento anche se fosse stata ancora sposata.
Posta
la questione in questi termini, appare chiaro come la perdita del posto di
lavoro possa determinare quella condizione di disagio che, se verificata,
risulta sufficiente ad escludere la condanna del ricorrente.
Valerio
Pollastrini
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