Nel
caso di specie, una lavoratrice era
stata licenziata poiché, nel corso di una causa da lei instaurata per l’ottenimento
di un inquadramento superiore, aveva prodotto in fotocopia alcuni documenti
aziendali ritenuti riservati.
Chiamati
a decidere sull’impugnazione del recesso proposta dalla dipendente, sia il
Tribunale del primo grado che, successivamente, la Corte di Appello avevano
ritenuto il licenziamento illegittimo.
Avverso
questa sentenza, la società aveva proposto ricorso per Cassazione, censurando il
giudice dell’appello per aver ritenuto che i documenti allegati dalla donna nel
precedente giudizio non fossero riservati.
Al
riguardo, la ricorrente aveva sostenuto che la lavoratrice non avrebbe avuto
alcun titolo per detenere i documenti predetti, anche perché, nel corso del
giudizio in cui gli stessi erano stati proposti, non avevano avuto alcuna incidenza,
in quanto la domanda proposta dalla donna era stata accolta in base alle sole risultanze testimoniali.
La
ricorrente, inoltre, aveva censurato l’impugnata sentenza per aver tralasciato
la valenza, se non disciplinare, quanto meno di inadempimento contrattuale della
condotta della lavoratrice, venuta meno agli obblighi derivanti da precise
disposizioni datoriali, e per aver trascurato la deposizione di un teste,
idonea a dimostrare il danno subito dalla società a cagione della divulgazione
del manuale di qualità aziendale.
Dette
doglianze, tuttavia, sono state ritenute infondate dalla Cassazione, che, investita
della questione, ha ricordato come, più volte, la giurisprudenza di legittimità
abbia chiarito (1) che il
dipendente che produca in una controversia copia di atti aziendali riguardanti
direttamente la propria posizione lavorativa non viene meno ai doveri di
fedeltà di cui all’art.2105 c.c.. Ciò in quanto, oltre al fatto che la normativa processuale è, di per sé, idonea ad
impedire una vera e propria divulgazione della documentazione aziendale, il
diritto di difesa, inevitabilmente, assume un carattere prevalente rispetto alle
eventuali esigenze di riservatezza del datore di lavoro.
In
merito alla circostanza che i suddetti documenti si fossero rivelati
ininfluenti ai fini dell’accoglimento della domanda di superiore inquadramento
contrattuale, accolta sulle mere risultanze testimoniali, la
Cassazione ha precisato che le modalità dell’esercizio del diritto di difesa
debbono essere valutate ex ante ed in
astratto, ossia prima della decisione giurisdizionale, avuto riguardo soltanto
della loro connessione con il thema
probandum, e non ex post ed in
concreto alla luce dell’esito della controversia e delle motivazioni espresse
dal giudice, non prevedibili dalla parte nel momento in cui si trovi ad impostare
e documentare le proprie argomentazioni difensive.
In
sostanza, la Corte di Appello aveva correttamente escluso che tale addebito potesse integrare il
concetto di giusta causa o giustificato motivo di licenziamento.
Chiarita
la valenza generale nell’ordinamento giuridico della scriminante dell’esercizio
del diritto di difesa, ne consegue la decadenza di ogni altra considerazione
sulla natura riservata o meno dei citati documenti.
Queste,
in sostanza, le argomentazioni in base alle quali la Cassazione ha rigettato il
ricorso dell’azienda.
Valerio
Pollastrini
1)
-
Cass., Sentenza n.6501 del 14 marzo 2013; Cass., Sentenza n.3038 dell’8
febbraio 2011; Cass., Sentenza n.12528 del 7 luglio 2004; Cass., Sentenza n.6420
del 4 maggio 2002;
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