Nel
caso di specie, la Corte di Appello di Trieste aveva confermato la sentenza con
la quale il Tribunale del primo grado
aveva rigettato il ricorso proposto da una lavoratrice inteso ad ottenere la
dichiarazione dell' illegittimità del licenziamento intimatole per allontanamento ingiustificato dal lavoro
in orari in cui il cartellino, attestante la sua presenza in servizio,
evidenziava due timbrature pomeridiane.
In
particolare, la Corte territoriale aveva escluso che il datore di lavoro avesse leso il diritto di difesa della
dipendente, impedendole, tramite la preventiva sospensione cautelare, di
accedere presso gli uffici dell’azienda per reperire la documentazione
necessaria alle proprie controdeduzioni, atteso che detta sospensione era stata
legittimamente disposta in conseguenza della natura della mancanza, ai sensi
dell’art.27 del CCNL di categoria.
In
ogni caso, secondo il giudice dell’appello, la lavoratrice aveva potuto
comunque approntare la documentazione necessaria alla propria difesa,
spedendola all’amministratore delegato della società in data anteriore a quella
del licenziamento.
La
stessa Corte, inoltre, aveva ritenuto la sanzione espulsiva legittima, nonché proporzionata alla condotta contestata alla
ricorrente, attesa la gravità del fatto sia dal punto di vista oggettivo che,
soprattutto, da quello soggettivo, avendo la dipendente approfittato della
fiducia del datore di lavoro nella presenza in azienda.
Avverso
questa sentenza, la lavoratrice aveva proposto ricorso per Cassazione, deducendo
che la sospensione cautelare sarebbe stata disposta a suo carico al di fuori
dei casi previsti dall’art.27 del CCNL di categoria e che, tale illegittimità,
avrebbe causato anche la violazione del diritto di difesa di cui all'art.7
della legge n.300/1970, ostacolandole la possibilità di reperire la documentazione necessaria per
approntare le giustificazioni agli addebiti contestatigli.
La
ricorrente, inoltre, aveva censurato la ritenuta proporzionalità della sanzione
irrogatale, osservando che il giudice dell’appello non avrebbe tenuto conto che
la presenza in ufficio al venerdì pomeriggio, giorno nel quale erano state
accertate le assenze contestate, non
sarebbe garantita, e che, pertanto, il danno da lei provocato al datore di
lavoro sarebbe assai modesto, in quanto limitato al valore di un’ora e mezza di
lavoro straordinario.
Investita
della questione, la Cassazione ha però ritenuto infondate le predette doglianze.
Nella
premessa, gli ermellini hanno osservato che, secondo l’assunto della
ricorrente, l’eventuale illegittimità della sospensione cautelare si sarebbe ripercossa sulla legittimità del
licenziamento, ostacolando, in particolare, il suo diritto di difesa e, nello
specifico, la possibilità di approntare le proprie difese acquisendo la
documentazione necessaria presso gli uffici della società.
Tuttavia,
la Corte territoriale aveva sconfessato
la tesi difensiva della ricorrente attraverso una compiuta e logica motivazione.
Il
giudice dell’appello, in particolare, aveva correttamente affermato che la sospensione
cautelare non poteva, necessariamente, inficiare la legittimità del
licenziamento, costituendo una legittima facoltà attribuita al datore di lavoro
dall’art.27 del CCNL.
La
stessa Corte territoriale, inoltre, aveva compiutamente motivato che tale sospensione
non aveva affatto ostacolato la lavoratrice nel reperimento della
documentazione necessaria alle sue difese, avendo accertato come la stessa avesse provveduto al
tempestivo invio della documentazione, attestante la sua presenza in ufficio
nei giorni oggetto della contestazione, all’amministratore delegato ed al
responsabile delle relazioni sindacali in epoca anteriore al licenziamento.
Quella
appena espressa, è una motivazione che non può essere censurata in sede di
legittimità.
Parimenti,
anche la valutazione sulla gravita della condotta non può che essere di
competenza del giudice del merito, il quale, nella fattispecie, l’aveva correttamente
eseguita, rendendone una motivazione assolutamente congrua e, come tale,
sottratta anch’essa alle censure di legittimità.
Sul
punto, infatti, gli ermellini hanno ricordato che, nell’ambito della verifica giudiziale
della correttezza del procedimento disciplinare, il giudizio di proporzionalità
tra violazione contestata e provvedimento adottato si sostanzia nella
valutazione della gravità dell’inadempimento del lavoratore e dell’adeguatezza
della sanzione.
Si
tratta di questioni di merito che, ove risolte dal giudice di appello con
apprezzamento, in fatto, adeguatamente giustificato con motivazione esauriente
e completa, come nella fattispecie, si sottraggono al riesame in sede di
legittimità (1).
Per
tutte le riportate considerazioni, la Cassazione ha concluso con il rigetto del
ricorso e la conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese del
processo di legittimità.
Valerio
Pollastrini
1)
-
Cass., Sentenza n.24349 del 15 novembre 2006; Cass., Sentenza n.8293 del 25
maggio 2012; Cass., Sentenza n.7948 del 7 aprile 2011;
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