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martedì 23 dicembre 2014

In attesa del giudizio penale a carico del dipendente l’azienda non ha l’obbligo di sospenderlo cautelativamente dal servizio

Nella sentenza  n.24948  del 24 novembre 2014, la Corte di Cassazione ha ritenuto legittimo il licenziamento di un collaboratore scolastico accusato di violenza sessuale nei confronti di un’alunna, irrogato solo al termine del procedimento penale conclusosi con la condanna dell’imputato e, nelle more del quale, il lavoratore era stato mantenuto in servizio, non sussistendo, in simili casi, l’obbligo della sospensione cautelativa.

Nel caso di specie, la Corte di Appello di Ancona aveva confermato la sentenza con la quale il Tribunale di Ascoli Piceno aveva respinto la domanda proposta dal dipendente, avente ad oggetto la declaratoria di illegittimità del licenziamento adottato dall’amministrazione scolastica dopo la conclusione del procedimento penale instaurato a suo carico con sentenza irrevocabile di condanna per il reato  punito dall’articolo 609-bis c.p., in base al quale “chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità, costringe taluno a compiere o subire atti sessuali e’ punito con la reclusione da cinque a dieci anni…”.

Avverso questa sentenza, il lavoratore aveva proposto ricorso per Cassazione, censurando la decisione del giudice di seconde cure che, nel confermare quanto statuito nel primo grado, si sarebbe limitato a rilevare la gravità della mancanza attribuitagli, senza  tenere conto del comportamento tenuto dall’amministrazione scolastica  dalla data della contestazione disciplinare sino al licenziamento.

In relazione al suddetto periodo, infatti, il ricorrente aveva contestato al datore di lavoro di non aver provveduto alla sua sospensione cautelativa dal servizio e di averlo provvisoriamente adibito ad altra mansione, per poi riassegnarlo nuovamente a  quelle precedentemente svolte.

Investita della questione, la Cassazione ha ritenuto infondate le doglianze predette, non risultando contestati dal lavoratore i gravi fatti addebitatigli ed accertati in sede penale: “atti di libidine nei confronti di una alunna, costretta all’interno di un bagno della scuola”.

In particolare, gli ermellini hanno ricordato che, nel regime antecedente al Decreto Legislativo n.150/2009, nelle more di un giudizio penale a carico del dipendente, il datore di lavoro aveva la facoltà, e non l’obbligo, di sospendere temporaneamente dal servizio l’imputato, per poi procedere al provvedimento disciplinare una volta intervenuta la sentenza definitiva di condanna.

Per tale ragione, la Suprema Corte ha concluso con il rigetto del ricorso.

Valerio Pollastrini

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