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lunedì 15 dicembre 2014

Estinzione del rapporto per mutuo consenso – Nessuna indennità di mancato preavviso

Nella sentenza n.23018 del 29 ottobre 2014, la Corte di Cassazione ha ribadito che, provata l’estinzione del rapporto per mutuo consenso, l’azienda non può richiedere al lavoratore l’indennità di mancato preavviso.

Nel caso di specie, la Corte di Appello di Milano aveva confermato la sentenza con la quale il Tribunale del primo grado aveva rigettato l’opposizione proposta da una società  avverso il decreto ingiuntivo emesso nei suoi confronti in favore di lavoratore per il pagamento della somma di € 51.650,00 a titolo di corrispettivo per l’obbligo di non concorrenza per il periodo di cinque anni, ed aveva rigettato la domanda riconvenzionale dell’azienda, intesa ad ottenere la condanna dello stesso lavoratore al pagamento dell’indennità sostituiva del preavviso.

La Corte territoriale, in particolare, aveva ritenuto che l’azienda non avesse dimostrato l’imputabilità della  cessazione del contratto alle dimissioni del dipendente, il quale, viceversa, aveva provato la risoluzione consensuale del rapporto, configurata  in una dichiarazione recante la medesima data delle dimissioni in questione.

Avverso questa sentenza, la società  aveva proposto ricorso per Cassazione, deducendo che la Corte territoriale avrebbe illegittimamente deciso sulla domanda del dipendente relativa all’indennità di preavviso, senza considerare la questione della nullità dell’accordo di risoluzione consensuale del rapporto.

L’azienda aveva poi censurato l’impugnata sentenza con riferimento all’affermazione per cui non sussisterebbe prova dell’antecedenza delle dimissioni rispetto alla risoluzione consensuale.

Infine, la ricorrente aveva sostenuto che il diritto all’indennità di mancato preavviso sorgerebbe in capo al datore di lavoro per la sola circostanza delle dimissioni del dipendente senza il prescritto preavviso.

Investita della questione, la Cassazione ha preliminarmente affrontato la censura legata alla risoluzione consensuale del rapporto, precisando che la Corte territoriale, con giudizio di fatto logicamente motivato e non censurabile in sede di legittimità, aveva affermato, sul punto, che la società, su cui incombeva il relativo onere probatorio, non aveva dimostrato l’anteriorità delle dimissioni rispetto alla risoluzione consensuale del rapporto, in quanto risultavano in atti due scritture private di pari data, delle quali non era possibile individuare l’anteriorità dell’una rispetto all’altra.

Pertanto, la Suprema Corte ha osservato come, una volta esclusa l’anteriorità delle dimissioni sostenuta dall’attuale ricorrente, e provata, con giudizio di fatto analogamente congruamente motivato, non è possibile affermare l’inefficacia o la nullità della risoluzione consensuale.

Né, parimenti, è possibile affermare il diritto all’indennità di mancato preavviso a favore del datore di lavoro, non essendovi prova della validità di tali dedotte dimissioni in costanza di rapporto, ma essendo possibile che tali dimissioni fossero intervenute dopo la risoluzione consensuale del rapporto.

A tale riguardo assume rilevanza la questione relativa all’onere probatorio, rispetto al quale l’azienda aveva sostenuto che avrebbe dovuto essere il lavoratore, che ha agito per ottenere la dichiarazione del proprio diritto al compenso per il patto di non concorrenza, a fornire la prova della validità della risoluzione consensuale del rapporto.

Si tratta di un assunto che gli ermellini hanno ritenuto  infondato.

Dal momento che,  in sede monitoria, il lavoratore, aveva provato il proprio diritto all’indennità in questione a seguito della risoluzione consensuale del rapporto, incombeva sul datore di lavoro la prova sulla diversa conclusione del rapporto tramite dimissioni, prova che, come ritenuto dal giudice del merito, non era stata fornita.

Per tute le richiamate considerazioni, la Cassazioni ha disposto il rigetto del ricorso.

Valerio Pollastrini

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