Nel
caso di specie, la Corte di Appello di Milano aveva confermato la sentenza con
la quale il Tribunale del primo grado aveva rigettato l’opposizione proposta da
una società avverso il decreto
ingiuntivo emesso nei suoi confronti in favore di lavoratore per il pagamento
della somma di € 51.650,00 a titolo di corrispettivo per l’obbligo di non
concorrenza per il periodo di cinque anni, ed aveva rigettato la domanda riconvenzionale
dell’azienda, intesa ad ottenere la condanna dello stesso lavoratore al
pagamento dell’indennità sostituiva del preavviso.
La
Corte territoriale, in particolare, aveva ritenuto che l’azienda non avesse
dimostrato l’imputabilità della cessazione del contratto alle dimissioni del
dipendente, il quale, viceversa, aveva provato la risoluzione consensuale del
rapporto, configurata in una
dichiarazione recante la medesima data delle dimissioni in questione.
Avverso
questa sentenza, la società aveva
proposto ricorso per Cassazione, deducendo che la Corte territoriale avrebbe
illegittimamente deciso sulla domanda del dipendente relativa all’indennità di
preavviso, senza considerare la questione della nullità dell’accordo di
risoluzione consensuale del rapporto.
L’azienda
aveva poi censurato l’impugnata sentenza con riferimento all’affermazione per
cui non sussisterebbe prova dell’antecedenza delle dimissioni rispetto alla
risoluzione consensuale.
Infine,
la ricorrente aveva sostenuto che il diritto all’indennità di mancato preavviso
sorgerebbe in capo al datore di lavoro per la sola circostanza delle dimissioni
del dipendente senza il prescritto preavviso.
Investita
della questione, la Cassazione ha preliminarmente affrontato la censura legata alla
risoluzione consensuale del rapporto, precisando che la Corte territoriale, con
giudizio di fatto logicamente motivato e non censurabile in sede di legittimità,
aveva affermato, sul punto, che la società, su cui incombeva il relativo onere
probatorio, non aveva dimostrato l’anteriorità delle dimissioni rispetto alla
risoluzione consensuale del rapporto, in quanto risultavano in atti due
scritture private di pari data, delle quali non era possibile individuare
l’anteriorità dell’una rispetto all’altra.
Pertanto,
la Suprema Corte ha osservato come, una volta esclusa l’anteriorità delle
dimissioni sostenuta dall’attuale ricorrente, e provata, con giudizio di fatto
analogamente congruamente motivato, non è possibile affermare l’inefficacia o
la nullità della risoluzione consensuale.
Né,
parimenti, è possibile affermare il diritto all’indennità di mancato preavviso a
favore del datore di lavoro, non essendovi prova della validità di tali dedotte
dimissioni in costanza di rapporto, ma essendo possibile che tali dimissioni
fossero intervenute dopo la risoluzione consensuale del rapporto.
A
tale riguardo assume rilevanza la questione relativa all’onere probatorio, rispetto
al quale l’azienda aveva sostenuto che avrebbe dovuto essere il lavoratore, che
ha agito per ottenere la dichiarazione del proprio diritto al compenso per il
patto di non concorrenza, a fornire la prova della validità della risoluzione
consensuale del rapporto.
Si
tratta di un assunto che gli ermellini hanno ritenuto infondato.
Dal
momento che, in sede monitoria, il
lavoratore, aveva provato il proprio diritto all’indennità in questione a
seguito della risoluzione consensuale del rapporto, incombeva sul datore di lavoro la prova sulla
diversa conclusione del rapporto tramite dimissioni, prova che, come ritenuto
dal giudice del merito, non era stata fornita.
Per
tute le richiamate considerazioni, la Cassazioni ha disposto il rigetto del
ricorso.
Valerio
Pollastrini
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