Il
caso di specie è scaturito dal licenziamento intimato ad un operatore ecologico
in ragione della "sua gravissima
insubordinazione consistente nel presentarsi in cantiere, marcare la presenza e
rimanere inoperoso per tutto il turno di servizio, malgrado precise
disposizioni operative dal parte dei suoi superiori gerarchici".
Chiamato
a decidere sull’impugnazione del recesso promossa dal dipendente, il Tribunale
di Napoli, dopo l’assunzione dei testi ammessi e all’esito di note autorizzate,
aveva ritenuto legittimo il licenziamento.
Tuttavia,
la Corte di Appello di Napoli aveva successivamente riformato la pronuncia del
Tribunale, dichiarando l’illegittimità del licenziamento in questione, con le
conseguenti statuizioni di carattere reintegratorio e risarcitorio.
In
particolare, la Corte del merito aveva motivato la propria decisione sulla base del rilievo avanzato dal lavoratore
circa la mancata adozione da parte dell'azienda delle garanzie per la sicurezza
igienico-sanitaria, tenendo conto anche della posizione di sindacalista
ricoperta dallo stesso ricorrente, che aveva sollevato dette carenze igieniche
del cantiere.
La
Corte territoriale, inoltre, aveva accertato che l’azienda fosse pienamente
consapevole delle anzidette condizioni del luogo di lavoro, tanto da promettere
interventi risolutori.
Nel
valutare i comportamenti delle parti, il giudice dell’appello aveva ritenuto
che l’atteggiamento del lavoratore inserito nella raccolta dei rifiuti, oltre
che giustificato, era stato improntato a correttezza e totale buona fede, sicché
la reazione dell’azienda risultava sproporziona, non avendo avviato procedimenti disciplinari di tono
minore o di tipo conservativo.
Avverso
questa sentenza, l’azienda aveva proposto ricorso per Cassazione, contestando
la Corte del merito per aver trascurato di valutare in tutta la sua portata
l’inadempimento totale e disarmante, posto provocatoriamente e reiteratamente
dal lavoratore e non improntato certo a buona fede e tale, comunque, da non
consentire la prosecuzione anche provvisoria del rapporto.
Investita
della questione, la Cassazione ha ritenuto infondata la censura predetta,
osservando come la Corte di Appello avesse valutato i contrapposti
comportamenti delle parti in causa dopo un attento e ponderato esame delle
risultanze testimoniali, giungendo alla conclusione che le denunciate carenze
igienico-sanitarie, poste a base della protesta del dipendente, avessero
assunto una gravità particolare in relazione alla precipua natura e consistenza
della prestazione che lo stesso
dipendente era tenuto a compiere, che lo ponevano in contatto con sostanze
potenzialmente nocive e pericolose e per le quali, dunque, risultava particolarmente necessaria la pulizia
personale dopo l'espletamento del turno di servizio.
Per
tale ragione, la Suprema Corte ha concluso disponendo il rigetto del ricorso,
con conseguente condanna dell’azienda al pagamento delle spese processuali,
liquidate in 4.000,00 € per compensi, 100,00 € per esborsi, oltre accessori di legge.
Valerio
Pollastrini
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