Nella
pronuncia in commento, la Suprema Corte ha precisato, infatti, che il giudice,
riscontrata l’inapplicabilità diretta del contratto collettivo al rapporto di
lavoro, ha il potere di quantificare il compenso dovuto al dipendente, nel
rispetto dei parametri fissati dall’art.36 della Costituzione, con apprezzamento di fatto non sindacabile in
sede di legittimità.
Detta
quantificazione, inoltre, non può essere censurata in sede di legittimità sotto
il profilo del puro e semplice mancato ricorso ai parametri rinvenibili nella
contrattazione collettiva, poiché nel potere discrezionale riservato al giudice
del merito rientra anche la possibilità di effettuare una liquidazione su
nozioni di comune esperienza e, in difetto di utili elementi, persino su
criteri meramente equitativi.
Conseguentemente,
nell’effettuare la verifica del rispetto del mimino costituzionale, il giudice
non necessariamente deve fare riferimento al contratto collettivo nazionale,
potendo discrezionalmente utilizzare quale parametro di riferimento il
contratto aziendale, quand’anche sia peggiorativo o stipulato in un periodo successivo alla
conclusione del rapporto di lavoro ad oggetto.
Valerio
Pollastrini
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