Nel
caso di specie, la ricorrente si era rivolta al Tribunale di Vicenza lamentando che la
pensione di vecchiaia liquidatale dall'Inps, ottenuta con il cumulo dei
contributi da lavoratore dipendente versati in Italia e all'estero, non fosse
stata integrata al minimo.
Il
giudice aveva accolto la domanda proposta, accertando il diritto della
ricorrente all'integrazione al minimo sulla pensione in godimento, ed
aveva condannato l'Inps al pagamento
della somma di 5.325,50 € in conto
capitale, a titolo di pensione e di arretrati, oltre interessi legali dalla
data di maturazione al saldo.
Successivamente,
la Corte di Appello di Venezia aveva però riformato la sentenza del primo grado
e, rigettando le domande proposte dalla donna, l’aveva condannata a restituire all'Inps
le somme a lei corrisposte in esecuzione della sentenza appellata.
La
Corte del merito, in particolare, aveva precisato di aver rigettato la domanda ai sensi dell'art.8 della Legge n.153/1969 (1), in quanto la
ricorrente era risultata priva del requisito di 10 anni di contribuzione in
Italia come dipendente nella gestione pensionistica attributiva del trattamento
richiesto.
L'integrazione,
inoltre, era stata negata in applicazione dell'art.3 del Decreto del Ministero
del Lavoro n.577 del 30 dicembre 1992, che consente di derogare al suddetto
requisito qualora il titolare di pensione residente in Italia abbia acquisito
il diritto in virtù del cumulo di periodi assicurativi e contributivi previsti
da regolamenti o accordi internazionali che stabiliscono l'obbligo, per
l'istituzione del Paese di residenza, di garantire sul proprio territorio l'importo
del trattamento minimo, in quanto la ricorrente non aveva dedotto, né
documentato, la residenza in Italia, né la sussistenza dell'obbligo
internazionale suddetto.
Contro
questa sentenza, la lavoratrice aveva adito la Cassazione, contestando alla
Corte veneziana di aver ritenuto che l'integrazione al minimo non potesse
esserle riconosciuta sul presupposto della non cumulabilità dei contributi da
lavoro dipendente ed autonomo, ignorando che l'art.9, comma 1, della Legge n.463/1959
prescrive che i periodi coperti da assicurazione si cumulano con quelli
derivati da qualsiasi altra attività lavorativa.
A
detta della ricorrente, pertanto, l'istituto avrebbe dovuto ricostruire la sua
posizione contributiva tenendo conto di tutti i contributi versati in ogni
singola gestione, indipendentemente dalla ripartizione tra lavoro autonomo o
dipendente, il che avrebbe consentito di superare la soglia di 520 settimane di
contributi versati in Italia, sommando quelli artigiani (823) e quelli da
lavoro dipendente (121).
Sul
punto, la donna aveva lamentato come la
circostanza che ella avesse ottenuto il diritto alla pensione grazie al cumulo
dei periodi contributivi da lavoro dipendente in Italia e in Svizzera non
valesse ai fini del rigetto della sua domanda, dal momento che l'art.8, comma 2
della Legge n.153/1969, applicato dalla Corte di Appello, si riferirebbe
espressamente ai casi in cui il diritto alla pensione sia stato acquisito in
virtù del cumulo di periodi assicurativi in Italia e all'estero.
Nel
caso in esame, invece, il diritto alla pensione integrata sarebbe stato
maturato, al raggiungimento dei requisiti anagrafici, per i soli contributi
versati in Italia nell'assicurazione obbligatoria artigiana.
La
ricorrente, inoltre, aveva censurato la
Corte territoriale per non aver ritenuto applicabile l'art.3 del D.M. n.577 del
30 dicembre 1992, sostenendo di aver indicato la propria residenza nell'atto introduttivo
del primo grado di giudizio e che la stessa non fosse mai stata contestata.
L’obbligo
internazionale, quindi, deriverebbe dall'articolo 9, comma 3, della Convenzione
italo-svizzera, entrata in vigore il 1 settembre 1964. Inoltre, la non
sovrapposizione di periodi contributivi in Italia e in Svizzera richiesti dalla
suddetta Convenzione non sarebbe mai stata eccepita dall'Inps e risulterebbe dall'esposizione delle
circostanze di fatto relative all'attività lavorative svolte.
Investita
della questione, la Suprema Corte ha innanzitutto sottolineato come la parte
ricorrente non avesse fornito una diversa interpretazione, rispetto a quella
proposta nell’impugnata sentenza, dell’art.8 della Legge n.503/1969 (2), a mente del
quale il trattamento minimo richiesto è dovuto anche ai titolari di pensione il
cui diritto sia acquisito in virtù del cumulo dei periodi assicurativi e
contributivi previsto da accordi o convenzioni internazionali in materia di
assicurazione sociale, a condizione che l'assicurato possa far valere nella
competente gestione pensionistica una anzianità contributiva in costanza di
rapporto di lavoro svolto in Italia non inferiore a dieci anni.
La
donna aveva lamentato, piuttosto, che non fosse stata valutata al fine
dell’integrazione del requisito dell’anzianità almeno decennale la
contribuzione versata nella gestione artigiani, invocando l’art.9, comma 1,
della Legge n.463/1959, che prevede che i periodi coperti da assicurazione
obbligatoria nella gestione artigiani si cumulano con quelli derivanti da
qualsiasi altra attività lavorativa.
Secondo
gli ermellini, tuttavia, la Corte del merito aveva correttamente valutato tale
norma in senso coerente con l’interpretazione resa in passato dalla Cassazione,
secondo la quale il cumulo dei contributi versati nella gestione artigiani con
quelli versati nella gestione lavoratori dipendenti non può essere utilizzato
ai fini del conseguimento del diritto alla pensione nella seconda gestione e
quindi del trattamento minimo, potendo valere (solo) per l’ottenimento di un
supplemento di tale pensione.
La
portata di questa disposizione, infatti, è stata in tal senso chiarita dalla
giurisprudenza di legittimità (3), che, più volte, ha affermato come l'assicurazione
generale obbligatoria per l'invalidità, vecchiaia e superstiti abbia struttura
unitaria, pur se è articolata nelle quattro diverse gestioni, dei lavoratori
dipendenti, dei coltivatori diretti, mezzadri e coloni, degli artigiani e dei
commercianti.
Detta
struttura unitaria risulta, soprattutto,
dalla configurazione di un rapporto assicurativo-previdenziale unico, attuato attraverso il cumulo inderogabile ed
obbligatorio di tutte le diverse contribuzioni, quale previsto dall'art.9,
primo comma, della Legge n.463 del 4 luglio 1959.
La
Suprema Corte ha proseguito ricordando che, nel caso in cui l'assicurato abbia
già maturato i requisiti per il conseguimento del diritto a pensione nella
gestione dei lavoratori dipendenti, egli ha diritto a conseguire tale
prestazione.
In
questo caso i contributi, accreditati, prima e dopo, nelle gestioni speciali
dei lavoratori autonomi, sono utilizzati soltanto per ottenere supplementi di
pensione sulla già conseguita pensione, e non invece per ottenere pensioni
autonome a carico di dette gestioni speciali, anche se l'assicurato ne possa
far valere i requisiti (4).
Tornando
alla vicenda in commento, la Cassazione ha precisato che la pensione era stata
concessa alla ricorrente nella gestione lavoratori dipendenti con il cumulo dei
contributi versati in Italia e all'estero, sicché la "competente gestione
pensionistica" alla quale occorreva fare riferimento per valutare la
sussistenza del requisito contributivo minimo di cui all’art. 8 della Legge n.503/1969
e successive modifiche non poteva che essere la gestione medesima, potendo
valere i contributi versati nella gestione artigiani solo al fine di ottenere i
supplementi.
In
questo senso, tra l’altro, la stessa ricorrente aveva ammesso che nella
gestione artigiani non avrebbe potuto ottenere la pensione, non avendo maturato
all’epoca il requisito anagrafico necessario del 60° anno di età.
Per
quanto riguarda, invece, l’art.3 del Decreto del Ministero del lavoro n.577 del
30 dicembre 1992 (5), la Corte ha
precisato come tale norma preveda che, qualora il titolare di pensione
residente in Italia abbia acquisito il diritto in virtù del cumulo di periodi
assicurativi e contributivi previsto da Regolamenti della Comunità economica
europea o da accordi internazionali in materia di sicurezza sociale che
stabiliscano l'obbligo, per l'istituzione del Paese di residenza, di garantire
sul proprio territorio l'importo del trattamento minimo, fissato dalla legge
nazionale, quest'ultimo viene concesso, ferma restando la sussistenza degli
altri requisiti, anche in assenza del requisito di cui all' art.7, comma 1,
della Legge n.407 del 29 dicembre 1990 (6).
Requisito
indefettibile per l’applicazione del disposto, dunque, è quello della residenza
in Italia al momento della decorrenza della pensione. Requisito che la
ricorrente non aveva dedotto, né dimostrato di possedere nel corso del giudizio
di merito, né, a tal fine, poteva valere il certificato di residenza prodotto
solo nel giudizio di legittimità in violazione dell’art.372 c.p.c.
Per
tutte le richiamate considerazioni, la Suprema Corte ha concluso rigettando il
ricorso.
Valerio
Pollastrini
1)
-
come modificato dall'art.7 della Legge n.407/1990 e, successivamente, dall'art.17
della Legge n.724/1994;
2)
-
come sostituito prima dall'art.7 della
Legge n.407 del 29 dicembre 1990, poi dall' art.3 del D.L. n.384 del 19
settembre 1992 e da ultimo modificato dall'art.17 della Legge n.724 del 23 dicembre 1994;
3)
–
Cass., Sentenza n.5495 del 9 novembre 1985; Cass., Sentenza n.10699/1995;
4)
-
v. art.9, secondo comma, della Legge n.4631959; artt.20 e 25 della Legge n.613
del 22 luglio 1966;
5)
-
pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n.116 del 20 maggio 1993;
6)
-
Cass., Sentenza n.18753/2004; Cass., Sentenza n.14777 del 13 luglio 2005;
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