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martedì 14 ottobre 2014

Pensioni – Limiti della cumulabilità dei requisiti conseguiti nella gestione dei lavoratori dipendenti con i contributi accreditati nelle gestioni speciali degli autonomi

Nella sentenza n.18035 del 19 agosto 2014, la Corte di Cassazione ha tracciato i limiti sulla cumulabilità dei requisiti pensionistici maturati nella gestione dei lavoratori dipendenti con la contribuzione accreditata nelle gestioni speciali dei lavoratori autonomi.

Nel caso di specie, la ricorrente si era rivolta al  Tribunale di Vicenza lamentando che la pensione di vecchiaia liquidatale dall'Inps, ottenuta con il cumulo dei contributi da lavoratore dipendente versati in Italia e all'estero, non fosse stata integrata al minimo.

Il giudice aveva accolto la domanda proposta, accertando il diritto della ricorrente all'integrazione al minimo sulla pensione in godimento, ed aveva  condannato l'Inps al pagamento della somma di  5.325,50 € in conto capitale, a titolo di pensione e di arretrati, oltre interessi legali dalla data di maturazione al saldo.

Successivamente, la Corte di Appello di Venezia aveva però riformato la sentenza del primo grado e, rigettando le domande proposte dalla donna, l’aveva condannata a restituire all'Inps le somme a lei corrisposte in esecuzione della sentenza appellata.

La Corte del merito, in particolare, aveva precisato di aver rigettato la domanda  ai sensi dell'art.8 della Legge n.153/1969 (1), in quanto la ricorrente era risultata priva del requisito di 10 anni di contribuzione in Italia come dipendente nella gestione pensionistica attributiva del trattamento richiesto.

L'integrazione, inoltre, era stata negata in applicazione dell'art.3 del Decreto del Ministero del Lavoro n.577 del 30 dicembre 1992, che consente di derogare al suddetto requisito qualora il titolare di pensione residente in Italia abbia acquisito il diritto in virtù del cumulo di periodi assicurativi e contributivi previsti da regolamenti o accordi internazionali che stabiliscono l'obbligo, per l'istituzione del Paese di residenza, di garantire sul proprio territorio l'importo del trattamento minimo, in quanto la ricorrente non aveva dedotto, né documentato, la residenza in Italia, né la sussistenza dell'obbligo internazionale suddetto.

Contro questa sentenza, la lavoratrice aveva adito la Cassazione, contestando alla Corte veneziana di aver ritenuto che l'integrazione al minimo non potesse esserle riconosciuta sul presupposto della non cumulabilità dei contributi da lavoro dipendente ed autonomo, ignorando che l'art.9, comma 1, della Legge n.463/1959 prescrive che i periodi coperti da assicurazione si cumulano con quelli derivati da qualsiasi altra attività lavorativa.

A detta della ricorrente, pertanto, l'istituto avrebbe dovuto ricostruire la sua posizione contributiva tenendo conto di tutti i contributi versati in ogni singola gestione, indipendentemente dalla ripartizione tra lavoro autonomo o dipendente, il che avrebbe consentito di superare la soglia di 520 settimane di contributi versati in Italia, sommando quelli artigiani (823) e quelli da lavoro dipendente (121).

Sul punto, la donna aveva lamentato come  la circostanza che ella avesse ottenuto il diritto alla pensione grazie al cumulo dei periodi contributivi da lavoro dipendente in Italia e in Svizzera non valesse ai fini del rigetto della sua domanda, dal momento che l'art.8, comma 2 della Legge n.153/1969, applicato dalla Corte di Appello, si riferirebbe espressamente ai casi in cui il diritto alla pensione sia stato acquisito in virtù del cumulo di periodi assicurativi in Italia e all'estero.

Nel caso in esame, invece, il diritto alla pensione integrata sarebbe stato maturato, al raggiungimento dei requisiti anagrafici, per i soli contributi versati in Italia nell'assicurazione obbligatoria artigiana.

La ricorrente, inoltre, aveva censurato  la Corte territoriale per non aver ritenuto applicabile l'art.3 del D.M. n.577 del 30 dicembre 1992, sostenendo di aver indicato la propria residenza nell'atto introduttivo del primo grado di giudizio e che la stessa non fosse mai stata contestata.

L’obbligo internazionale, quindi, deriverebbe dall'articolo 9, comma 3, della Convenzione italo-svizzera, entrata in vigore il 1 settembre 1964. Inoltre, la non sovrapposizione di periodi contributivi in Italia e in Svizzera richiesti dalla suddetta Convenzione non sarebbe mai stata eccepita dall'Inps e  risulterebbe dall'esposizione delle circostanze di fatto relative all'attività lavorative svolte.

Investita della questione, la Suprema Corte ha innanzitutto sottolineato come la parte ricorrente non avesse fornito una diversa interpretazione, rispetto a quella proposta nell’impugnata sentenza, dell’art.8 della Legge n.503/1969 (2), a mente del quale il trattamento minimo richiesto è dovuto anche ai titolari di pensione il cui diritto sia acquisito in virtù del cumulo dei periodi assicurativi e contributivi previsto da accordi o convenzioni internazionali in materia di assicurazione sociale, a condizione che l'assicurato possa far valere nella competente gestione pensionistica una anzianità contributiva in costanza di rapporto di lavoro svolto in Italia non inferiore a dieci anni.

La donna aveva lamentato, piuttosto, che non fosse stata valutata al fine dell’integrazione del requisito dell’anzianità almeno decennale la contribuzione versata nella gestione artigiani, invocando l’art.9, comma 1, della Legge n.463/1959, che prevede che i periodi coperti da assicurazione obbligatoria nella gestione artigiani si cumulano con quelli derivanti da qualsiasi altra attività lavorativa.

Secondo gli ermellini, tuttavia, la Corte del merito aveva correttamente valutato tale norma in senso coerente con l’interpretazione resa in passato dalla Cassazione, secondo la quale il cumulo dei contributi versati nella gestione artigiani con quelli versati nella gestione lavoratori dipendenti non può essere utilizzato ai fini del conseguimento del diritto alla pensione nella seconda gestione e quindi del trattamento minimo, potendo valere (solo) per l’ottenimento di un supplemento di tale pensione.

La portata di questa disposizione, infatti, è stata in tal senso chiarita dalla giurisprudenza di legittimità (3), che, più volte, ha affermato come l'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidità, vecchiaia e superstiti abbia struttura unitaria, pur se è articolata nelle quattro diverse gestioni, dei lavoratori dipendenti, dei coltivatori diretti, mezzadri e coloni, degli artigiani e dei commercianti.

Detta struttura unitaria  risulta, soprattutto, dalla configurazione di un rapporto assicurativo-previdenziale unico,  attuato attraverso il cumulo inderogabile ed obbligatorio di tutte le diverse contribuzioni, quale previsto dall'art.9, primo comma, della Legge n.463 del 4 luglio 1959.

La Suprema Corte ha proseguito ricordando che, nel caso in cui l'assicurato abbia già maturato i requisiti per il conseguimento del diritto a pensione nella gestione dei lavoratori dipendenti, egli ha diritto a conseguire tale prestazione.

In questo caso i contributi, accreditati, prima e dopo, nelle gestioni speciali dei lavoratori autonomi, sono utilizzati soltanto per ottenere supplementi di pensione sulla già conseguita pensione, e non invece per ottenere pensioni autonome a carico di dette gestioni speciali, anche se l'assicurato ne possa far valere i requisiti (4).

Tornando alla vicenda in commento, la Cassazione ha precisato che la pensione era stata concessa alla ricorrente nella gestione lavoratori dipendenti con il cumulo dei contributi versati in Italia e all'estero, sicché la "competente gestione pensionistica" alla quale occorreva fare riferimento per valutare la sussistenza del requisito contributivo minimo di cui all’art. 8 della Legge n.503/1969 e successive modifiche non poteva che essere la gestione medesima, potendo valere i contributi versati nella gestione artigiani solo al fine di ottenere i supplementi.

In questo senso, tra l’altro, la stessa ricorrente aveva ammesso che nella gestione artigiani non avrebbe potuto ottenere la pensione, non avendo maturato all’epoca il requisito anagrafico necessario del 60° anno di età.

Per quanto riguarda, invece, l’art.3 del Decreto del Ministero del lavoro n.577 del 30 dicembre 1992 (5), la Corte ha precisato come tale norma preveda che, qualora il titolare di pensione residente in Italia abbia acquisito il diritto in virtù del cumulo di periodi assicurativi e contributivi previsto da Regolamenti della Comunità economica europea o da accordi internazionali in materia di sicurezza sociale che stabiliscano l'obbligo, per l'istituzione del Paese di residenza, di garantire sul proprio territorio l'importo del trattamento minimo, fissato dalla legge nazionale, quest'ultimo viene concesso, ferma restando la sussistenza degli altri requisiti, anche in assenza del requisito di cui all' art.7, comma 1, della Legge n.407 del 29 dicembre 1990 (6).

Requisito indefettibile per l’applicazione del disposto, dunque, è quello della residenza in Italia al momento della decorrenza della pensione. Requisito che la ricorrente non aveva dedotto, né dimostrato di possedere nel corso del giudizio di merito, né, a tal fine, poteva valere il certificato di residenza prodotto solo nel giudizio di legittimità in violazione dell’art.372 c.p.c.

Per tutte le richiamate considerazioni, la Suprema Corte ha concluso rigettando il ricorso.

Valerio Pollastrini

 
1)      - come modificato dall'art.7 della Legge n.407/1990 e, successivamente, dall'art.17 della Legge n.724/1994;
2)      - come sostituito prima dall'art.7 della  Legge n.407 del 29 dicembre 1990, poi dall' art.3 del D.L. n.384 del 19 settembre 1992 e da ultimo modificato dall'art.17 della  Legge n.724 del 23 dicembre 1994;
3)      – Cass., Sentenza n.5495 del 9 novembre 1985; Cass., Sentenza  n.10699/1995;
4)      - v. art.9, secondo comma, della Legge n.4631959; artt.20 e 25 della Legge n.613 del 22 luglio 1966;
5)      - pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n.116 del 20 maggio 1993;
6)      - Cass., Sentenza n.18753/2004; Cass., Sentenza n.14777 del 13 luglio 2005;

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