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giovedì 2 ottobre 2014

Dai compensi in nero scatta l’accertamento induttivo

Nella sentenza n.20675 del 1° ottobre 2014, la Corte di Cassazione ha confermato che dall’accertamento dei compensi erogati in nero ai lavoratori deve presumersi l’occultamento del reddito prodotto dall’azienda, con conseguente legittimità della richiesta della maggiore imposta evasa.

Nel caso di specie, una cooperativa aveva ricevuto un avviso di accertamento,  emesso a seguito di processo verbale della Guardia di Finanza, dal quale erano risultati omessi versamenti di ritenute di acconto per compensi a lavoratori dipendenti non dichiarati in busta paga.

Con il predetto avviso, infatti, era stato accertato un maggior imponibile ai fini delle imposte dirette e indirette di 146.998,00 €, da qui la  richiesta della complessiva somma, ivi compresa la sanzione, di 44.035,00 €.

L’azienda aveva impugnato la cartella dinnanzi alla Commissione Tributaria Provinciale, che, in parziale accoglimento del ricorso aveva ridotto l’importo richiesto in 144.116,00 €.

La società aveva però appellato detta sentenza presso  la Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia Romagna che, sulla base della documentazione extracontabile, costituita da alcuni fogli riportanti  gli importi corrisposti a vario titolo ai lavoratori dipendenti, aveva  ritenuto che l'Amministrazione finanziaria potesse procedere legittimamente ad accertamento con il metodo induttivo.

A questo punto il contribuente aveva  ricorso per Cassazione, deducendo il carattere apparente della motivazione fornita del giudice dell’appello, in quanto farebbe semplicemente rinvio alle circostanze contenute nell'avviso impugnato.

In particolare, la Commissione Regionale non avrebbe spiegato la ragione per cui dal pagamento di somme in nero ai dipendenti sia possibile presumere maggiori ricavi non contabilizzati, comportanti un’evasione d’imposta.

Investita della questione, la Suprema Corte ha ritenuto infondate le censure mosse dal ricorrente, ricordando come,  anche in presenza di contabilità della quale non sia contestata la regolarità formale, il ricorso al metodo induttivo di accertamento risulta ammissibile in virtù delle disposizioni contenute dall’art.54 del D.P.R. n.633/1972,  il cui comma 1 autorizza l'accertamento in base anche ad "altri documenti", ad "altre scritture contabili", diverse da quelle eventualmente regolari previste per legge (1).

La richiamata norma, in sostanza, dispone che l'infedeltà della dichiarazione, qualora non emerga direttamente dal contenuto di essa o dal confronto con gli elementi di calcolo delle liquidazioni e con le precedenti dichiarazioni annuali, deve essere accertata mediante il confronto della completezza, esattezza e veridicità delle registrazioni sulla scorta, fra l'altro, di "altri documenti".

Tornando al caso di specie, la Corte ha osservato come le omesse indicazioni fossero desumibili dalle risultanze documentali, rappresentate dai fogli sui quali erano appuntati gli importi corrisposti ai lavoratori dipendenti a vario titolo.

Proprio sulla base di questa riscontrata infedeltà, l'Ufficio aveva quindi proceduto ad accertamento analitico-induttivo.

La condotta dell’Agenzia, pertanto, deve ritenersi del tutto legittimo, in quanto, conformemente alla normativa di riferimento, l'accertamento induttivo era stato disposto  sulla base della infedeltà della dichiarazione emersa dal confronto con "altro documento".

Per tutte le considerazioni esposte, la Cassazione ha concluso con il rigetto del ricorso e la conseguente condanna dell’azienda al pagamento delle spese del processo di legittimità, liquidate in 2.600,00 €, oltre gli oneri prenotati a debito e gli accessori di legge.

Valerio Pollastrini


1)      - Cass., Sentenza n.7184 del 25 marzo 2009;

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