Nel
caso di specie, una cooperativa aveva ricevuto un avviso di accertamento, emesso a seguito di processo verbale della
Guardia di Finanza, dal quale erano risultati omessi versamenti di ritenute di
acconto per compensi a lavoratori dipendenti non dichiarati in busta paga.
Con
il predetto avviso, infatti, era stato accertato un maggior imponibile ai fini
delle imposte dirette e indirette di 146.998,00 €, da qui la richiesta della complessiva somma, ivi
compresa la sanzione, di 44.035,00 €.
L’azienda
aveva impugnato la cartella dinnanzi alla Commissione Tributaria Provinciale,
che, in parziale accoglimento del ricorso aveva ridotto l’importo richiesto in 144.116,00
€.
La
società aveva però appellato detta sentenza presso la Commissione Tributaria Regionale
dell’Emilia Romagna che, sulla base della documentazione extracontabile,
costituita da alcuni fogli riportanti gli importi corrisposti a vario titolo ai
lavoratori dipendenti, aveva ritenuto
che l'Amministrazione finanziaria potesse procedere legittimamente ad
accertamento con il metodo induttivo.
A
questo punto il contribuente aveva ricorso per Cassazione, deducendo il carattere
apparente della motivazione fornita del giudice dell’appello, in quanto farebbe
semplicemente rinvio alle circostanze contenute nell'avviso impugnato.
In
particolare, la Commissione Regionale non avrebbe spiegato la ragione per cui
dal pagamento di somme in nero ai dipendenti sia possibile presumere maggiori
ricavi non contabilizzati, comportanti un’evasione d’imposta.
Investita
della questione, la Suprema Corte ha ritenuto infondate le censure mosse dal
ricorrente, ricordando come, anche in
presenza di contabilità della quale non sia contestata la regolarità formale, il
ricorso al metodo induttivo di accertamento risulta ammissibile in virtù delle
disposizioni contenute dall’art.54 del D.P.R. n.633/1972, il cui comma 1 autorizza l'accertamento in
base anche ad "altri documenti", ad "altre scritture
contabili", diverse da quelle eventualmente regolari previste per legge (1).
La
richiamata norma, in sostanza, dispone che l'infedeltà della dichiarazione,
qualora non emerga direttamente dal contenuto di essa o dal confronto con gli
elementi di calcolo delle liquidazioni e con le precedenti dichiarazioni
annuali, deve essere accertata mediante il confronto della completezza,
esattezza e veridicità delle registrazioni sulla scorta, fra l'altro, di
"altri documenti".
Tornando
al caso di specie, la Corte ha osservato come le omesse indicazioni fossero
desumibili dalle risultanze documentali, rappresentate dai fogli sui quali
erano appuntati gli importi corrisposti ai lavoratori dipendenti a vario titolo.
Proprio
sulla base di questa riscontrata infedeltà, l'Ufficio aveva quindi proceduto ad
accertamento analitico-induttivo.
La
condotta dell’Agenzia, pertanto, deve ritenersi del tutto legittimo, in quanto,
conformemente alla normativa di riferimento, l'accertamento induttivo era stato
disposto sulla base della infedeltà
della dichiarazione emersa dal confronto con "altro documento".
Per
tutte le considerazioni esposte, la Cassazione ha concluso con il rigetto del
ricorso e la conseguente condanna dell’azienda al pagamento delle spese del
processo di legittimità, liquidate in 2.600,00 €, oltre gli oneri prenotati a
debito e gli accessori di legge.
Valerio
Pollastrini
1)
-
Cass., Sentenza n.7184 del 25 marzo 2009;
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