Nel
caso di specie, un collaboratore coordinato e continuativo aveva convenuto in
giudizio l’azienda committente, esponendo di avere prestato in favore della
stessa un’attività di natura subordinata dal 9 ottobre 1991 al 15 febbraio 1994,
con le mansioni di capo del settore ingegneria civile, e di essere stato, illegittimamente
estromesso dal suo posto di lavoro.
Per
tali ragioni, il ricorrente aveva chiesto al Pretore di Roma di voler
dichiarare l'illegittimità del licenziamento e, conseguentemente, ordinare la
sua reintegra nel posto di lavoro con la condanna al relativo risarcimento
dovutogli per legge e, altresì, di voler condannare la convenuta al pagamento
in suo favore delle somme dovute a titolo di tredicesima, quattordicesima
mensilità e, gradatamente, di indennità di preavviso e trattamento di fine
rapporto.
L'adito
giudice, dopo avere ammesso ed espletato prova testimoniale, aveva rigettato il ricorso, ma la Corte di
Appello di Roma, in riforma dell'impugnata sentenza, aveva ritenuto che tra le
parti fosse intercorso un rapporto di
lavoro subordinato e, pertanto, dichiarato illegittimo il recesso, aveva ordinato
la reintegrazione dell'appellante nel posto di lavoro ed aveva condannato la
società al risarcimento del danno, liquidato
in un'indennità pari a 36 mensilità dell'ultima retribuzione di fatto
percepita.
Il
giudice dell’Appello, inoltre, aveva condannato la società a corrispondere al
lavoratore il pagamento dei ratei di 13ma e 14ma maturati.
Investita
della questione, la Cassazione, con sentenza n.17549\2003, aveva ritenuto che
la Corte del merito avesse riconosciuto la subordinazione sulla base dei soli
elementi cd. sussidiari, senza valutare in concreto l'assoggettamento del lavoratore
al potere direttivo e disciplinare del datore di lavoro, e senza attribuire
alcun rilievo all'iniziale volontà delle parti quale risultante dagli atti
negoziali.
La
Corte di Appello di L'Aquila, a cui la causa era stata rinviata, aveva quindi
respinto le domande del collaboratore, il quale aveva proposto ricorso per Cassazione, lamentando che
il giudice del rinvio fosse tenuto a ricercare, alla luce del materiale
istruttorio acquisito, "l'astrattamente possibile" dimostrazione dell'assoggettamento
del ricorrente alle direttive e controlli del datore di lavoro.
Formulando
un quesito di diritto, il ricorrente aveva chiesto alla Suprema Corte se anche nell'ipotesi di attività svolta da un
ingegnere, responsabile del servizio dell'ingegneria civile di una società di
ingegneria, la dedotta natura subordinata del rapporto vada sempre indagata con
l'esistenza di un assoggettamento del prestatore alle direttive ed ai controlli
della datrice di lavoro, in considerazione dell'attenuazione di tale requisito
in virtù del carattere "elevato" delle prestazioni e ricercando
conferma del detto assoggettamento nelle manifestazioni concrete del rapporto e
negli elementi accessori dell'inserzione organica del prestatore
nell'organizzazione dell'impresa, dell'orario di lavoro e dell'obbligo di
osservarlo, della cadenza mensile della retribuzione, del pagamento delle
ferie, del pagamento degli straordinari, dell'essere egli il necessario anello
di congiunzione tra il dirigente apicale dell'impresa e gli ingegneri e
geometri sottoposti per la manifestazione della subordinazione in ordine a
questi ultimi, dell'avere egli sempre effettuato le sue prestazioni nell’ambito
dell'ufficio tecnico della società con utilizzazione delle sue attrezzature e
materiali, dell'unicità del rapporto del ricorrente con la società.
In
riferimento all’assoggettamento alle direttive e ai controlli della società, il
ricorrente aveva contestato all’impugnata sentenza di non aver indicato le
fonti del suo convincimento in relazione all'esclusione della subordinazione.
Chiamata
nuovamente a dirimere la controversia, la Cassazione ha ritenuto fondate le
censure mosse dal lavoratore.
Nella
premessa, gli ermellini hanno ricordato che il giudizio di rinvio è necessariamente
vincolato all'osservanza del principio di diritto affermato dalla pronuncia
rescindente, nella quale, nella specie, la Cassazione aveva affermato con
chiarezza che il giudice di appello era stato indotto a ritenere sussistente la
subordinazione senza valutare l'esistenza, o meno, del requisito fondamentale
del rapporto di lavoro subordinato, costituito proprio dalla "subordinazione",
intesa quale assoggettamento del dipendente al potere direttivo, organizzativo
e disciplinare del datore di lavoro, il quale discende dall'emanazione di
ordini specifici, oltre che dall'esercizio di un'assidua attività di vigilanza
e controllo dell'esecuzione delle prestazioni lavorative.
Gli
ermellini hanno quindi osservato come la
Corte aquilana non avesse svolto alcuna indagine od esame delle risultanze
istruttorie al fine di accertare la subordinazione nel senso chiarito dalla
sentenza rescindente, senza neppure adeguatamente apprezzare la specificità
dell'incarico conferito al lavoratore ed il modo della sua attuazione.
Sempre
la precedente pronuncia rescindente aveva poi evidenziato come la Corte di
merito non avesse attribuito alcun rilievo alla chiara volontà negoziale delle
parti nel senso dell'autonomia, attribuendo rilievo, in sostanza, solo ai criteri cd. sussidiari della
subordinazione, quali un compenso fisso, l'osservanza di un orario, la presenza
del ricorrente nel cd. piano ferie, etc., e senza considerare che il potere di indicazione, che
il lavoratore eserciti eventualmente nei confronti di altri lavoratori, non
costituisce, di per sé, una manifestazione della sua subordinazione al datore,
dato che è ipotizzabile anche nell'ambito di un rapporto di lavoro autonomo,
mentre diventa segnale di subordinazione solo ove il suo potere si eserciti
quale subordinata esecuzione dell'assoggettamento a specifiche direttive che il
datore gli abbia impartito.
Richiamando
i precedenti espressi dalla giurisprudenza di legittimità, la Cassazione ha
precisato che il fatto che il lavoratore abbia un proprio staff, nei confronti
del quale proponga assunzioni, promozioni, aumenti di stipendio e ferie, non
esprime, di per sé, subordinazione, potendo essere anche attuazione di un
rapporto di lavoro autonomo (1).
Contrariamente
a quanto ritenuto dalla Corte di Appello, l'emanazione di "direttive circa
i costi e le spese", comprovava che il lavoratore non fosse assoggettato al
potere direttivo datoriale, ben potendo qualunque committente stabilire, di
volta in volta, i "tetti" dei costi o delle spese al progettista, il
quale, nell'ambito della sua autonoma prestazione, doveva ovviamente tenerne
conto per rispettare criteri di economicità insiti a qualsiasi progetto di opera
da realizzare concretamente.
Né
costituisce parametro valido per determinare la natura subordinata del rapporto
la continuità per un certo periodo di tempo della prestazione lavorativa di progettista,
atteso che la continuità della prestazione coordinata e prevalentemente
personale riconducibile alla natura del rapporto è svincolata dall'occasione in
cui si manifesta la necessità dell'incarico professionale, assumendo rilevanza
la causa dell'incarico stesso (2).
Tornando
all’impugnata sentenza, la Cassazione ha rilevato che la Corte di merito si era
limitata a svolgere delle generiche considerazioni sulla distinzione tra lavoro
subordinato ed autonomo, senza alcun effettivo riferimento al caso di specie.
In
sostanza, detta sentenza non aveva in alcun modo esaminato, come richiesto
dalla pronuncia rescindente, le risultanze di causa, limitandosi a
discettazioni generali sulla autonomia e subordinazione, deducendo, senza una
effettiva e specifica motivazione, che la posizione del lavoratore fosse
compatibile con un rapporto di lavoro subordinato.
Per
tale ragione gli ermellini, accolto il ricorso, hanno cassato la sentenza
impugnata, con rinvio, per l'ulteriore esame della controversia, ad altro
giudice in dispositivo indicato.
Valerio
Pollastrini
1)
-
Cass., Sentenza n.15001/2000;
2)
-
Cass., Sentenza n.2120/2001;
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