Il
caso di specie è quello che ha riguardato una società, ai danni della quale era
stato emesso un avviso di accertamento per omesse ritenute d'acconto sui compensi corrisposti
a 32 dipendenti non iscritti nei libri obbligatori
Dopo
che nel primo grado di giudizio era stato respinto il ricorso dell’azienda, la
Commissione Tributaria Regionale ne aveva successivamente accolto l’appello, in
quanto, ai sensi dell’art.7 del D.lgs. n.546/1992,
nel processo tributario le dichiarazioni dei terzi, raccolte in sede di
verifica fiscale, in assenza di ulteriori riscontri documentali, non assumono
efficacia probatoria.
L’Amministrazione,
invece, non aveva offerto alcun rilievo documentale in grado di dimostrare la
sussistenza dei contestati rapporti di lavoro e, conseguentemente, del relativo inadempimento
degli obblighi gravanti sul sostituto d'imposta.
Nel
verbale della Guardia di Finanza, così come nell’ulteriore documentazione
prodotta in giudizio, infatti, mancava
qualsiasi elemento che rinviasse a tali rapporti.
Dal
momento che l’accertamento era stato basato unicamente sulle dichiarazioni dei
presunti lavoratori e sull'esame di provvedimenti giudiziari civili, di dubbia
interpretazione sotto il profilo fiscale, la Commissione Tributaria Regionale
aveva accolto il ricorso del contribuente.
Nell’impugnare
questa pronuncia, l’Agenzia delle Entrate aveva contestato la ritenuta
inammissibilità delle dichiarazioni rese dai terzi, a sostegno delle
contestazioni in materia dì omessa ritenuta alla fonte su compensi a
lavoratori, non registrati nei libri contabili obbligatori, sostenendo che la
norma sopra richiamata intenda colpire solamente le prove testimoniali formate nel processo
tributario, senza negare ad esse la
valenza di semplici indizi da vagliare circa la loro fondatezza.
Investita
della questione, la Suprema Corte ha
precisato che, nel processo tributario, le dichiarazioni del terzo, acquisite
dalla Guardia di Finanza e riportate nel
verbale di constatazione, da cui sia
sfociato l'avviso di accertamento,
assumono valore indiziario, concorrendo a formare il convincimento del giudice
unitamente ad altri elementi.
Le
suddette dichiarazioni, in sostanza, danno
luogo a presunzioni semplici che, nonostante il divieto di prova testimoniale,
risultano generalmente ammissibili nel contenzioso tributario.
La
Cassazione ha poi sottolineato che l’inammissibilità del giuramento e della
prova testimoniale (1), limita i poteri del giudice tributario e non quelli
degli organi di verifica.
Tale
limitazione, pertanto, assume valore soltanto
per la diretta acquisizione, da parte del giudice stesso, della narrazione dei
fatti della controversia compiuta da un terzo, mentre le dichiarazioni dei
terzi raccolte da verificatori o finanzieri e inserite nel processo verbale di
constatazione hanno natura di mere informazioni acquisite nell'ambito di
indagini amministrative e, dunque, risultano pienamente utilizzabili quali elementi
di convincimento.
Per
le richiamate considerazioni, la Suprema Corte ha concluso con l’accoglimento
del ricorso dell’Agenzia delle Entrate.
Valerio
Pollastrini
(1)
–
Ai sensi dell'art.7, comma 4, del D.lgs.
n.546/1992;
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