La
vicenda in commento è giunta all’attenzione della Suprema Corte dopo che la
Corte di Appello di Firenze aveva confermato la sentenza con la quale il Tribunale di Pisa aveva condannato un datore
di lavoro per il reato connesso all’omesso versamento delle ritenute
previdenziali ed assistenziali sulle retribuzioni dei dipendenti (1) per il periodo
dal giugno all'ottobre 2006.
L’imputato
aveva lamentato che il giudice del merito fosse pervenuto alla sua condanna
attraverso l’accoglimento della prova presuntiva dell’avvenuta trasmissione
all'INPS dei modelli DM10.
A
detta del ricorrente, la normativa riferimento non imporrebbe il pagamento
delle ritenute, bensì il pagamento delle ritenute che siano state operate sulle
retribuzioni del dipendente. La brevità del periodo dell'omissione, inoltre,
farebbe presumere l’insussistenza del dolo, anche generico, palesando, invece,
la riconducibilità del mancato versamento alle
insorte difficoltà economiche dell’azienda o, al massimo, ad una mera
dimenticanza.
Infine,
il datore di lavoro aveva contestato che la sola compilazione dei modelli Dm10
potesse costituire una prova diretta dell'avvenuta appropriazione delle suddette
somme, né che una prova del dolo fosse
desumibile dalla reiterazione della condotta.
Investita
della questione, la Cassazione ha rilevato che il reato era stato ritenuto
sussistente in base alla deposizione del teste INPS, nonché sulla base del
contenuto del mod. DM10 redatto dallo stesso imputato, attestante le trattenute
operate sulle retribuzioni corrisposte ai propri dipendenti e non versate
all'Ente Previdenziale.
Si
tratta della fattispecie di reato
prevista dal Decreto Legge n.463 del
12 settembre 1983 (2), che all’art.2,
comma 1, stabilisce che le ritenute previdenziali e assistenziali sulle
retribuzioni dei lavoratori dipendenti devono essere comunque versate e non
possono essere portate a conguaglio con le somme anticipate, nelle forme e nei
termini di legge, dal datore di lavoro ai lavoratori per conto delle gestioni
previdenziali e assistenziali e regolarmente denunciate alle gestioni stesse,
tranne nei casi in cui dalla denuncia contributiva risulti un saldo attivo a
favore del datore di lavoro (3).
La
Cassazione ha specificato che, nel caso di presentazione di denuncia
contributiva mensile parzialmente insoluta - atteso che il debito del datore di
lavoro per contributi è pari alla differenza tra il saldo della denuncia
mensile e l'importo effettivamente versato - dovrà essere promossa l'azione
penale solamente quando l'importo versato risulti inferiore al complesso delle
ritenute e trattenute a carico del lavoratore (4).
L'art.
2, comma 1-bis, del citato Decreto Legge prevede che, in caso di omissione del
versamento di ritenute previdenziali e assistenziali predette operate in busta
paga ai dipendenti, il datore di lavoro
è punito con la reclusione fino a tre anni ed una multa fino a 1.032,00 €.
Il
nuovo testo del suddetto art.2, comma 1-bis (5) stabilisce che il datore di lavoro non è punibile qualora
provveda entro il termine di tre mesi dalla data di contestazione o notifica
dell’avvenuto accertamento della violazione a versare le somme omesse.
Per
effetto del comma 1-ter dell’art.2, la denuncia di reato deve essere comunque
presentata o trasmessa senza ritardo all'autorità giudiziaria competente anche
dopo il versamento delle somme omesse - con allegata l'attestazione delle somme
versate - ovvero decorso inutilmente il termine previsto dei tre mesi.
Durante
il predetto termine di tre mesi il corso della prescrizione rimane sospeso (6).
Dopo
questo completo riepilogo della normativa di riferimento, la Cassazione ha
ricordato che le Sezioni Unito hanno avuto modo di affermare come il reato in esame non sia configurabile in
assenza del materiale esborso delle relative somme dovute al dipendente a
titolo di retribuzione, atteso che il riferimento letterale alle "ritenute
operate" sulla retribuzione deve essere interpretato nel senso che non può
essere operata una ritenuta senza il pagamento della somma dovuta al creditore.
Tuttavia,
lo stesso Supremo Collegio ha chiarito inequivocabilmente che, per affermare la responsabilità penale
del datore di lavoro inadempiente, il giudice deve accertare "utilizzando
a tal fine la documentazione aziendale, nonché quella eventualmente predisposta
dal datore di lavoro ed inoltrata all'ente previdenziale (Mod. D.M.
10/89)", se l'imputato abbia effettivamente retribuito i lavoratori che
hanno prestato la loro attività (7).
Ciò
è proprio quanto avvenuto nel caso in esame, in quanto i giudici del merito
avevano tratto dai modelli DM10 trasmessi all’Inps la prova dell'omesso
versamento delle ritenute.
Al
riguardo, la Cassazione ha rilevato che tale circostanza è sufficiente per
accertare, sotto il profilo oggettivo, la responsabilità penale del datore di lavoro.
La Corte di legittimità, infatti, ha più volte
affermato che il Pubblico Ministero
può assolvere l’onere di dimostrare
l'avvenuta corresponsione delle retribuzioni ai lavoratori dipendenti
attraverso la produzione del modello DM
10.
Di
conseguenza, spetta all'imputato provare, in difformità dalla situazione
rappresentata nelle denunce retributive inoltrate, l'assenza del materiale
esborso delle somme (8), ciò in quanto i modelli DM 10, vale a dire gli
appositi modelli attestanti le retribuzioni corrisposte ai dipendenti e gli
obblighi contributivi verso l'istituto previdenziale, hanno natura ricognitiva
della situazione debitoria del datore di lavoro e la loro presentazione equivale
all’attestazione dell’avvenuta corresponsione delle retribuzioni in relazione
alle quali è stato omesso il versamento dei contributi (9).
Per
ciò che attiene al profilo soggettivo,
l'impugnata sentenza non aveva condiviso la tesi difensiva, in quanto la
reiterazione per cinque mesi consecutivi della condotta criminosa aveva
dimostrato la pervicace volontà del ricorrente di omettere il versamento delle
ritenute e, dunque, la sussistenza del dolo generico normativamente richiesto
dalla norma incriminatrice.
Alla
luce della struttura dell'elemento soggettivo richiesto per la perseguibilità
penale della condotta, la Cassazione ha condiviso questa argomentazione,
ricordando che il reato di cui all’art.2 della Legge n.638 dell’ 11 novembre
1983 non richiede il dolo specifico,
bensì il dolo generico, esaurendosi con la coscienza e volontà della omissione
o della tardività del versamento delle ritenute (10).
La
stessa Suprema Corte, peraltro, aveva già chiarito che, poiché ai fini della
punibilità dell'agente è sufficiente il dolo generico, consistente nella
volontarietà dell'omissione, ne consegue che, accertata tale volontarietà, non
è necessaria una esplicita motivazione sull'esistenza del dolo (11).
Ricapitolando,
se per ritenere provato il dolo è
sufficiente il mero tardivo versamento, a maggior ragione, in assenza di
elementi in senso contrario il dolo
generico omissivo risulta provato dal comportamento del datore di lavoro il
quale reiteratamente ometta, consapevole di esservi tenuto, tanto da avere egli
trasmesso i modelli DM10 all'Istituto previdenziale, di provvedere al
versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali operate sulle
retribuzioni dei dipendenti.
Conseguentemente,
la Cassazione ha elaborato il principio di diritto in base al quale la prova del dolo generico, normativamente
richiesto ai fini della punibilità del reato in commento, può essere desunta anche dal comportamento del
datore di lavoro che reiteratamente ometta, consapevole di esservi tenuto per
aver trasmesso i modelli DM10 all'Istituto previdenziale, di provvedere al
versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali operate sulle
retribuzioni dei dipendenti.
La
Suprema Corte ha poi precisato che i riferimenti alla crisi di liquidità o alla
difficoltà economica o alla mera dimenticanza sono privi di qualsiasi
fondamento, trattandosi di mere ipotesi proposte dall’imputato.
Con
riguardo al caso di specie, occorre segnalare che il procedimento di
legittimità si è concluso con la Cassazione della sentenza impugnata, avendo la
Cassazione accolto alcune doglianze del ricorrente, attinenti a profili che
però esulano dai temi all’oggetto del presente commento.
Valerio
Pollastrini
(1)
–
Fattispecie di reato prevista dall’art.2 della Legge n.638/1983;
(2)
-
Convertito, con modificazioni, dalla Legge n.638 dell’11 novembre 1983 e successive modificazioni e integrazioni;
(3)
–
Come chiarito dalla Circolare NPS n.121
del 20 aprile 1994;
(4)
–
Come riportato nel Messaggio INPS n.54143 del 16 febbraio 1989;
(5)
-
Per effetto della modifica operata dall'art.1 del Decreto Legislativo
n.211/1994;
(6)
–
Come previsto dall’art.2, comma 1-quater, del D.L. n.463/1983;
(7)
–
Cass. Sez. U, Sentenza n.27641 del 28
maggio 2003;
(8)
–
Cass., Sentenza n.7772 del 05 dicembre 2013;
(9)
–
Cass., Sentenza n.37145 del 10 aprile 2013;
(10)
–
Cass., Sentenza n.33141 del 10 aprile 2002;
(11)
–
Cass., Sentenza n.47340 del 15 novembre 2007 - fattispecie nella quale la
volontarietà dell'omissione è stata desunta dal tardivo versamento dei
contributi omessi;
Nessun commento:
Posta un commento