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domenica 13 luglio 2014

Omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali

Nella sentenza n.30271 del 10 luglio 2014, la Cassazione ha riepilogato i profili del reato connesso all’omesso versamento da parte del datore di lavoro delle ritenute previdenziali ed assistenziali dei dipendenti, confermando che il dolo può essere provato attraverso l’analisi dei modelli DM 10 inoltrati all’Inps.

La vicenda in commento è giunta all’attenzione della Suprema Corte dopo che la Corte di Appello di Firenze aveva confermato la sentenza con la quale il  Tribunale di Pisa aveva condannato un datore di lavoro per il reato connesso all’omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali sulle retribuzioni dei dipendenti (1) per il periodo dal giugno all'ottobre 2006.

L’imputato aveva lamentato che il giudice del merito fosse pervenuto alla sua condanna attraverso l’accoglimento della prova presuntiva dell’avvenuta trasmissione all'INPS dei modelli DM10.

A detta del ricorrente, la normativa riferimento non imporrebbe il pagamento delle ritenute, bensì il pagamento delle ritenute che siano state operate sulle retribuzioni del dipendente. La brevità del periodo dell'omissione, inoltre, farebbe presumere l’insussistenza del dolo, anche generico, palesando, invece, la riconducibilità del mancato versamento alle  insorte difficoltà economiche dell’azienda o, al massimo, ad una mera dimenticanza.

Infine, il datore di lavoro aveva contestato che la sola compilazione dei modelli Dm10 potesse costituire una prova diretta dell'avvenuta appropriazione delle suddette somme,  né che una prova del dolo fosse desumibile dalla reiterazione della condotta.

Investita della questione, la Cassazione ha rilevato che il reato era stato ritenuto sussistente in base alla deposizione del teste INPS, nonché sulla base del contenuto del mod. DM10 redatto dallo stesso imputato, attestante le trattenute operate sulle retribuzioni corrisposte ai propri dipendenti e non versate all'Ente Previdenziale.

Si tratta della fattispecie di reato  prevista dal Decreto Legge n.463 del  12 settembre 1983 (2), che all’art.2, comma 1, stabilisce che le ritenute previdenziali e assistenziali sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti devono essere comunque versate e non possono essere portate a conguaglio con le somme anticipate, nelle forme e nei termini di legge, dal datore di lavoro ai lavoratori per conto delle gestioni previdenziali e assistenziali e regolarmente denunciate alle gestioni stesse, tranne nei casi in cui dalla denuncia contributiva risulti un saldo attivo a favore del datore di lavoro (3).

La Cassazione ha specificato che, nel caso di presentazione di denuncia contributiva mensile parzialmente insoluta - atteso che il debito del datore di lavoro per contributi è pari alla differenza tra il saldo della denuncia mensile e l'importo effettivamente versato - dovrà essere promossa l'azione penale solamente quando l'importo versato risulti inferiore al complesso delle ritenute e trattenute a carico del lavoratore (4).

L'art. 2, comma 1-bis, del citato Decreto Legge prevede che, in caso di omissione del versamento di ritenute previdenziali e assistenziali predette operate in busta paga ai dipendenti,  il datore di lavoro è punito con la reclusione fino a tre anni ed una multa fino a  1.032,00 €.

Il nuovo testo del suddetto art.2, comma 1-bis (5) stabilisce  che il datore di lavoro non è punibile qualora provveda entro il termine di tre mesi dalla data di contestazione o notifica dell’avvenuto accertamento della violazione a versare le somme omesse.

Per effetto del comma 1-ter dell’art.2, la denuncia di reato deve essere comunque presentata o trasmessa senza ritardo all'autorità giudiziaria competente anche dopo il versamento delle somme omesse - con allegata l'attestazione delle somme versate - ovvero decorso inutilmente il termine previsto dei tre mesi.

Durante il predetto termine di tre mesi il corso della prescrizione rimane sospeso (6).

Dopo questo completo riepilogo della normativa di riferimento, la Cassazione ha ricordato che le Sezioni Unito hanno avuto modo di affermare come  il reato in esame non sia configurabile in assenza del materiale esborso delle relative somme dovute al dipendente a titolo di retribuzione, atteso che il riferimento letterale alle "ritenute operate" sulla retribuzione deve essere interpretato nel senso che non può essere operata una ritenuta senza il pagamento della somma dovuta al creditore.

Tuttavia, lo stesso Supremo Collegio ha chiarito inequivocabilmente  che, per affermare la responsabilità penale del datore di lavoro inadempiente, il giudice deve accertare "utilizzando a tal fine la documentazione aziendale, nonché quella eventualmente predisposta dal datore di lavoro ed inoltrata all'ente previdenziale (Mod. D.M. 10/89)", se l'imputato abbia effettivamente retribuito i lavoratori che hanno prestato la loro attività (7).

Ciò è proprio quanto avvenuto nel caso in esame, in quanto i giudici del merito avevano tratto dai modelli DM10 trasmessi all’Inps la prova dell'omesso versamento delle ritenute.

Al riguardo, la Cassazione ha rilevato che tale circostanza è sufficiente per accertare, sotto il profilo oggettivo, la responsabilità penale del datore di lavoro. La Corte di legittimità, infatti, ha più volte  affermato  che il Pubblico Ministero può assolvere l’onere  di dimostrare l'avvenuta corresponsione delle retribuzioni ai lavoratori dipendenti attraverso  la produzione del modello DM 10.

Di conseguenza,  spetta all'imputato  provare, in difformità dalla situazione rappresentata nelle denunce retributive inoltrate, l'assenza del materiale esborso delle somme (8),  ciò in quanto i modelli DM 10, vale a dire gli appositi modelli attestanti le retribuzioni corrisposte ai dipendenti e gli obblighi contributivi verso l'istituto previdenziale, hanno natura ricognitiva della situazione debitoria del datore di lavoro e la loro presentazione equivale all’attestazione dell’avvenuta corresponsione delle retribuzioni in relazione alle quali è stato omesso il versamento dei contributi (9).

Per ciò che attiene al  profilo soggettivo, l'impugnata sentenza non aveva condiviso la tesi difensiva, in quanto la reiterazione per cinque mesi consecutivi della condotta criminosa aveva dimostrato la pervicace volontà del ricorrente di omettere il versamento delle ritenute e, dunque, la sussistenza del dolo generico normativamente richiesto dalla norma incriminatrice.

Alla luce della struttura dell'elemento soggettivo richiesto per la perseguibilità penale della condotta, la Cassazione ha condiviso questa argomentazione, ricordando che il reato di cui all’art.2 della Legge n.638 dell’ 11 novembre 1983  non richiede il dolo specifico, bensì il dolo generico, esaurendosi con la coscienza e volontà della omissione o della tardività del versamento delle ritenute (10).

La stessa Suprema Corte, peraltro, aveva già chiarito che, poiché ai fini della punibilità dell'agente è sufficiente il dolo generico, consistente nella volontarietà dell'omissione, ne consegue che, accertata tale volontarietà, non è necessaria una esplicita motivazione sull'esistenza del dolo (11).

Ricapitolando,  se per ritenere provato il dolo è sufficiente il mero tardivo versamento, a maggior ragione, in assenza di elementi in senso contrario  il dolo generico omissivo risulta provato dal comportamento del datore di lavoro il quale reiteratamente ometta, consapevole di esservi tenuto, tanto da avere egli trasmesso i modelli DM10 all'Istituto previdenziale, di provvedere al versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali operate sulle retribuzioni dei dipendenti.

Conseguentemente, la Cassazione ha elaborato il principio di diritto in base al quale la prova del dolo generico, normativamente richiesto ai fini della punibilità del reato in commento,  può essere desunta anche dal comportamento del datore di lavoro che reiteratamente ometta, consapevole di esservi tenuto per aver trasmesso i modelli DM10 all'Istituto previdenziale, di provvedere al versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali operate sulle retribuzioni dei dipendenti.

La Suprema Corte ha poi precisato che i riferimenti alla crisi di liquidità o alla difficoltà economica o alla mera dimenticanza sono privi di qualsiasi fondamento, trattandosi di mere ipotesi proposte dall’imputato.

Con riguardo al caso di specie, occorre segnalare che il procedimento di legittimità si è concluso con la Cassazione della sentenza impugnata, avendo la Cassazione accolto alcune doglianze del ricorrente, attinenti a profili che però esulano dai temi all’oggetto del presente commento.

Valerio Pollastrini

 
(1)   – Fattispecie di reato prevista dall’art.2 della Legge n.638/1983;
(2)   - Convertito, con modificazioni, dalla Legge n.638 dell’11 novembre 1983  e successive modificazioni e integrazioni;
(3)   – Come chiarito dalla Circolare NPS  n.121 del 20 aprile 1994;
(4)   – Come riportato nel Messaggio INPS n.54143 del 16 febbraio 1989;
(5)   - Per effetto della modifica operata dall'art.1 del Decreto Legislativo n.211/1994;
(6)   – Come previsto dall’art.2, comma 1-quater, del D.L. n.463/1983;
(7)   – Cass. Sez. U, Sentenza  n.27641 del 28 maggio 2003;
(8)   – Cass., Sentenza  n.7772 del 05 dicembre 2013;
(9)   – Cass., Sentenza  n.37145 del 10 aprile 2013;
(10)                      – Cass., Sentenza  n.33141 del 10 aprile 2002;
(11)                      – Cass., Sentenza n.47340 del 15 novembre 2007 - fattispecie nella quale la volontarietà dell'omissione è stata desunta dal tardivo versamento dei contributi omessi;

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