Adito
per la definizione del giudizio per la dichiarazione di cessazione degli
effetti civili del matrimonio, il Tribunale di Vallo della Lucania aveva posto
a carico dell’marito il contributo
mensile di 600,00 € in favore della ex e di ulteriori 400,00 € a beneficio della figlia convivente con la
madre e non ancora indipendente economicamente.
L’uomo
aveva impugnato la sentenza di primo grado, lamentando il peggioramento delle
sue condizioni economiche in seguito al licenziamento subito nelle
more del giudizio di divorzio.
A
detta del ricorrente, la ex moglie, non
avrebbe avuto diritto all’assegno divorzile, sia in considerazione del patrimonio immobiliare della stessa, che per le sue condizioni economiche, nonché per
via della durata estremamente breve del matrimonio durato solo alcuni mesi.
L’uomo,
inoltre, aveva sostenuto che neanche la
figlia fosse nelle condizioni di ricevere un assegno di mantenimento dal padre,
disposto a pagarle solamente 260,00 € mensili per le eventuali spese
straordinarie.
La
vicenda è giunta all’attenzione della Cassazione dopo che la Corte di Appello
aveva parzialmente accolto le richieste
del ricorrente, riducendo a 450,00 € mensili l'assegno divorzile, ma lasciando
però immutata la misura dell'assegno di mantenimento della figlia.
Investita
della questione, la Suprema Corte ha rilevato che i giudici del merito avessero
riscontrato, da un lato, l'impossibilità
per la donna di procurarsi con i propri mezzi economici non solo un tenore di
vita tendenzialmente corrispondente a quello goduto in costanza di matrimonio,
ma anche un tenore di vita dignitoso, e, dall’altro, la notevole sproporzione
tra i redditi dei due ex coniugi, senza che le condizioni patrimoniali della ex
moglie potessero considerarsi tali da
riequilibrarla.
Per
tale ragione, la Cassazione ha respinto il ricorso dell’uomo, condannandolo al
pagamento delle spese del processo di legittimità, liquidate in complessivi 2.200,00
€.
Valerio Pollastrini
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