Chi siamo


MEDIA-LABOR Srl - News dal mondo del lavoro e dell'economia


lunedì 16 giugno 2014

Licenziamento per assenza ingiustificata

Nella Sentenza n.10352 del 13 maggio 2014, la Corte di Cassazione ha confermato la legittimità del licenziamento irrogato ad una dipendente per le  assenze ingiustificate dal lavoro.

Nel caso di specie, la lavoratrice di uno studio professionale di diagnostica strumentale era stata licenziata dopo tre giorni di assenza ingiustificata.

La dipendente aveva contestato la legittimità del recesso, sostenendo, tra l’altro, che il licenziamento, in realtà, le fosse stato intimato in conseguenza del sospetto che la stessa intrattenesse una relazione con il marito dell’amministratrice della società.

La Corte di Appello di Palermo, confermando la sentenza del Tribunale, aveva rigettato il ricorso, ritenendo legittimo il recesso.

La Corte del merito aveva precisato  che i fatti oggetto della contestazione disciplinare fossero pacifici, in quanto   la dipendente  non si era presentata al lavoro il 18, il 22 ed il 23 aprile 2003, senza alcuna richiesta di autorizzazione ovvero spiegazione.

Le acquisizioni processuali avevano evidenziato un indiscutibile deterioramento dei rapporti personali tra le parti, in conseguenza del sospetto dell’amministratrice dell’azienda che la lavoratrice intrattenesse una relazione sentimentale con il di lei marito, ma non avevano anche evidenziato un inadempimento datoriale delle obbligazioni nascenti dal rapporto.

Conseguentemente, il licenziamento è stato  ritenuto giustificato, in quanto le funzioni di segreteria nell’organizzazione dell’attività di uno studio professionale di diagnostica strumentale,  rappresentano un imprescindibile punto di riferimento per il regolare svolgimento del servizio, sicché il descritto comportamento della lavoratrice deve considerarsi idoneo ad incrinare il rapporto fiduciario con il datore di lavoro.

Contro la sentenza di Appello, la lavoratrice aveva ricorso per Cassazione, lamentando la sproporzione tra fatto addebitato e recesso.

In particolare, la ricorrente aveva contestato alla Corte palermitana  di aver ritenuto giustificato il licenziamento senza aver  valutato le ragioni della sua assenza,  dopo avere dato atto dell’indiscutibile deterioramento dei rapporti tra le parti.

A detta della dipendente, il giudicante avrebbe dovuto   considerare se l’assenza potesse essere addebitata ai comportamenti censurabili del datore di lavoro, e quindi considerata come l’effetto di una sua reazione diretta ed impulsiva ad un torto subito.

La ricorrente, inoltre, aveva ribadito quanto emerso dalla prova testimoniale a proposito della mancanza, a suo carico, di precedenti disciplinari, anzi,  più volte i datori di lavoro avevano apprezzato le sue capacità, mostrando l’intenzione di regolarizzarne la  posizione.

Il deteriorarsi dei rapporti - culminato nei giorni precedenti all’assenza con un violento diverbio nel quale le sarebbero state rivolte accuse infamanti – avevano riguardato soltanto l’amministratrice della società ed erano dipesi dal sospetto di questa - rivelatosi infondato - che la lavoratrice intrattenesse una relazione sentimentale con il di lei marito.

Per ciò che attiene al licenziamento, infine, la lavoratrice aveva  dedotto che una valutazione del comportamento oggetto di contestazione, qualora avesse tenuto conto del complessivo contesto di quanto avvenuto e delle circostanze, nonché dei  risvolti soggettivi e psicologici, avrebbe dovuto indurre la Corte territoriale a concludere che soltanto una sanzione conservativa fosse proporzionata all’inadempienza di specie.

Investita della questione, la Cassazione ha rigettato le domande della dipendente, precisando come la lettura complessiva del ricorso si risolva  nella denuncia di vizi di motivazione della sentenza impugnata, non per errori di logica giuridica, ma per errata valutazione del materiale probatorio acquisito, ai fini della ricostruzione dei fatti.

Al riguardo, va ricordato che la deduzione con il ricorso per Cassazione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata non conferisce al Giudice di legittimità il potere di riesaminare il merito della vicenda processuale, bensì la sola facoltà di controllo della correttezza giuridica e della coerenza logica delle argomentazioni svolte dal Giudice del merito, non essendo consentito alla Corte di Cassazione di procedere ad una autonoma valutazione delle risultanze probatorie, sicché le censure concernenti il vizio di motivazione non possono risolversi nel sollecitare una lettura delle risultanze processuali diversa da quella accolta dal Giudice del merito (1).

La Corte di Appello - conformandosi ai consolidati principi della giurisprudenza di legittimità  - partendo dalla premessa secondo cui la ingiustificata assenza dal servizio è un comportamento che ha un intrinseco disvalore, in quanto lede di per sé i doveri fondamentali connessi con il rapporto di lavoro,  aveva ritenuto proporzionata la sanzione espulsiva rispetto alla condotta addebitata alla lavoratrice, dopo avere accertato la ricorrenza di tutti gli elementi oggettivi e soggettivi propri della fattispecie (2).

In particolare, la Corte territoriale, pur avendo dato atto del  deterioramento dei rapporti personali tra l’amministratrice del Centro e la lavoratrice, tuttavia, aveva escluso che quest’ultima avesse dimostrato fatti ai quali si potessero attribuire una portata esimente ed aveva precisato, altresì,  che la dipendente non avesse minimamente avvertito il datore di lavoro della propria intenzione di assentarsi per diversi giorni, così creando notevoli problemi organizzativi per lo studio professionale di diagnostica strumentale presso il quale svolgeva le mansioni di segretaria.

Tali ultime osservazioni  sono di per sé sufficienti a ritenere adeguatamente motivata l’affermata proporzionalità del licenziamento al comportamento tenuto dalla dipendente.

Infatti, tra i normali obblighi di correttezza e diligenza del prestatore di lavoro rientra anche quello di comunicare tempestivamente al datore di lavoro eventuali impedimenti nel regolare espletamento della prestazione che determinino la necessità di assentarsi ed il mancato rispetto di tale obbligo può giustificare il licenziamento, in quanto la suddetta assenza dal lavoro - anche se, in astratto, dovuta a motivi legittimi - se non comunicata è idonea ad arrecare alla controparte datoriale un pregiudizio organizzativo derivante dal legittimo affidamento in ordine alla supposta effettiva ripresa della prestazione lavorativa (3).

In base alle richiamate argomentazioni la Suprema Corte ha concluso con il rigetto del ricorso, disponendo, tuttavia, la compensazione tra le parti delle spese del giudizio di legittimità.

Valerio Pollastrini

 
(1)   - Cass., Sentenza n.21486 del 18 ottobre 2011; Cass., Sentenza n.9043 del 20 aprile 2011; Cass., Sentenza n.313 del 13 gennaio 2011; Cass., Sentenza n.37 del 3 gennaio 2011; Cass., Sentenza n.20731 del 3 ottobre 2007; Cass., Sentenza n.18214 del 21 agosto 2006; Cass., Sentenza n.3436 del 16 febbraio 2006; Cass., Sentenza n.8718 del 27 aprile 2005;
(2)   - Cass., Sentenza n.27440 del  9 dicembre 2013;
(3)   - Cass., Sentenza n.844 del 1° febbraio 1999; Cass., Sentenza n.7478 del 14 maggio 2003; Cass., Sentenza n.10552 del 17 maggio 2013;

Nessun commento:

Posta un commento