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martedì 27 maggio 2014

La crisi di liquidità assolve il datore di lavoro dal reato di omesso versamento delle ritenute dei dipendenti

Negli ultimi cinque mesi, la  Cassazione si è espressa quatto volte in merito al reato di omesso versamento delle ritenute certificate, fornendo indirizzi contrastanti tra loro (1).

Nell’ultima pronuncia,  sentenza n.20777 del 22 maggio 2014, la Suprema Corte ha affermato che il dolo,  elemento necessario per la configurazione del suddetto reato, può essere escluso se l'imputato dimostri  che le difficoltà finanziarie non siano a lui imputabili e che le stesse non potessero essere altrimenti fronteggiate con idonee misure, anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale.

Nel caso di specie, all’amministratore unico di una società era stato contestato il mancato versamento, entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale del sostituto di imposta,  delle ritenute del lavoratori risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti per l'ammontare superiore a 50.000,00 € (2).

Il Tribunale del merito aveva assolto il datore di lavoro, dichiarando che il fatto ad egli imputato non costituisce reato, in quanto, dall’esame delle prove acquisite, era emerso che l’omissione del versamento delle ritenute non fosse riconducibile ad una condotta volontaria e consapevole.

Il Procuratore generale presso la Corte di Appello, aveva impugnato tale pronuncia dinnanzi alla Cassazione,  osservando che il Giudice di primo grado avesse erroneamente  ritenuto insussistente l'elemento psicologico del reato, argomentando che la crisi economica dell'impresa avrebbe, di fatto, impedito l'adempimento dell'obbligazione tributaria,  influendo così sull'effettiva intenzione di evadere le imposte, senza, tuttavia, considerare che, nel caso di specie, il dolo fosse generico.

In sostanza, secondo la tesi del ricorrente,   per l'integrazione dell'elemento soggettivo del reato sarebbe  sufficiente la semplice  consapevolezza di omettere i dovuti versamenti, senza che nessun rilievo possa essere attribuito  alla finalità di eludere gli obblighi tributari, né, tantomeno, alle critiche condizioni economiche che abbiano indotto l’azienda ad assolvere altri debiti ritenuti più urgenti.

Investita della questione, la Suprema Corte ha compiuto innanzitutto un riepilogo dei fatti, rilevando come, dall'esame testimoniale del funzionario dell'Agenzia delle Entrate, il Tribunale avesse accertato che la società non aveva provveduto al versamento, nei termini previsti per la presentazione della dichiarazione annuale, delle ritenute alla fonte per un ammontare complessivo di 53.318,00 €.

Tra l’altro, nel momento in cui aveva ricevuto la notifica della relativa cartella esattoriale, l’azienda aveva  già provveduto a  versare 14.000,00 € e l'imputato, in seguito, era stato ammesso alla rateizzazione dei  pagamenti ancora dovuti.

Nel corso del giudizio del merito, il Consulente Tecnico della difesa aveva riferito le critiche condizioni della società, piccola agenzia di pubblicità, che negli anni 2007 - 2008 aveva chiuso gli esercizi con piccole perdite, risultando in sofferenza di liquidità per il ritardo di alcuni clienti nel pagamento delle fatture emesse a loro carico.

Tuttavia, la società aveva ugualmente tentato di onorare tutti i debiti, anche quelli erariali, e, proprio nel primo semestre 2008, aveva anche provveduto a versare le ritenute INPS e IRPEF e ad effettuare i versamenti IVA.

Il Tribunale, inoltre, aveva evidenziato come le ritenute oggetto dell'omesso versamento, riguardassero essenzialmente tre mensilità del 2007,  febbraio e parte  di novembre e  dicembre.  Le ritenute inerenti alle  altre scadenze del 2007, invece,  erano state versate nel rispetto dei termini di legge o, al massimo, con qualche mese di ritardo.

Tale contesto aveva indotto il Giudice del primo grado a ritenere credibile la non volontarietà dell’omissione, anche in considerazione della scarsa entità del superamento della soglia di rilevanza penale.

Dalla deposizione della lavoratrice addetta alla contabilità aziendale, era emerso che, a causa del ritardo nei pagamenti da parte dei clienti, l’imprenditore fosse stato impossibilitato a versare somme ulteriori, in aggiunta a quelle parzialmente liquidate mensilmente per ritenute Irper, Inps e per l’Iva.

La teste aveva inoltre chiarito che, a casa della sua assenza nel mese di luglio, il datore di lavoro, che non si occupava minimamente di contabilità e scadenze e che spesso era via per la ricerca di nuovi contratti, non avrebbe potuto adempiere neanche facendo ricorso alle risorse economiche private.

Tutte queste, in sostanza, le risultanze in base alle quali il Tribunale aveva escluso che l'omissione del versamento nel termine fosse riconducibile ad una condotta volontaria e consapevole dell'imputato.

La Cassazione si poi soffermata sull’analisi del tipo di dolo connotante la fattispecie contestata, chiarendo come non basti definirlo  generico, ma occorra, altresì, considerare che il dolo non possa essere ritenuto in re ipsa e che, per il suo accertamento,nel diritto penale non è possibile ricorrere a presunzioni di dolo.

In sostanza, il dolo, quantunque generico, non può mai essere impoverito con l'elusione dell'onere dell’ accertamento che, in merito all'elemento soggettivo del reato, verte sulla prova di un fatto psichico che deve sempre sempre ricostruito, secondo le circostanze del caso specifico e tenendo conto del contesto nel quale sia stata maturata la condotta omissiva dell'agente.

Per quanto riguarda il reato di omesso versamento di ritenute certificate, la Cassazione ha quindi osservato che il dolo può essere escluso qualora l'imputato dimostri, osservando oneri di allegazione e di prova rigorosi, che le difficoltà finanziarie non siano a lui imputabili e che le stesse non possano essere altrimenti fronteggiate con idonee misure anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale.

Si tratta di un accertamento al quale il Giudice del merito non si era sottratto, fornendone un apprezzamento attraverso una congrua motivazione, insindacabile in sede di legittimità. Conseguentemente, la Cassazione ha concluso con il rigetto del ricorso.

Valerio Pollastrini

 
(1)   – La pronuncia in commento è stata preceduta dalla seguenti sentenze: Cass., Sentenza n.20266 del 15 maggio 2014; Cass., Sentenza n.19574 del 13 maggio 2014; Cass., Sentenza n.3707 del 28 gennaio 2014;
(2)   – Fattispecie di reato prevista dall'art. 10-bis del D.Lgs. n.74 del 10 marzo 2000;

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