Il
caso di specie è quello di un dirigente della Provincia di Gorizia che era stato licenziato dopo aver presentato una denuncia penale a
carico della Giunta Provinciale, alla quale la stampa locale aveva dato ampio risalto, avente
ad oggetto fatti risultati privi di riscontro e conclusasi con l’assoluzione degli imputati per insussistenza
del fatto.
Il
lavoratore si era rivolto al Tribunale
di Gorizia chiedendo la reintegrazione nel posto di lavoro ed il risarcimento
del danno in base all'art.18 dello
Statuto dei Lavoratori.
Ritenuto
il recesso ingiustificato, il Tribunale
aveva però negato la tutela reintegratoria
ed aveva condannato la Provincia a
corrispondere al ricorrente l'indennità sostitutiva del preavviso e l'indennità
supplementare, in applicazione dell'art. 30 del C.C.N.L. dei dirigenti degli Enti Locali.
Successivamente,
la Corte di Appello di Trieste aveva confermato la decisione del Tribunale,
affermando che la presentazione della denuncia penale non poteva configurare
una atto illegittimo, costituendo manifestazione dei diritti riconosciuti dagli
artt. 21 e 24 della Costituzione.
La
Corte del merito aveva ritenuto privo di rilevanza l'esito del giudizio penale,
atteso che avverso la sentenza del Tribunale, che aveva assolto gli imputati “perché
il fatto non sussiste", era stato proposto Appello da parte del Pubblico
Ministero e che l'Amministrazione non aveva dimostrato di aver subito un danno
all'immagine e alla credibilità dell'istituzione.
Il
Giudice del secondo grado aveva poi ribadito l'inapplicabilità della c.d. tutela reale.
Diversamente, si sarebbe verificata una tutela rafforzata del dirigente
pubblico rispetto a quello privato, circostanza palesemente in contrasto con la previsione degli artt. 27
e 30 del CCNL di settore, che, in caso di licenziamento illegittimo, prevedono, in
favore del lavoratore, la corresponsione di un'indennità supplementare.
A
questo punto, la Provincia aveva adito
la Cassazione, alla quale anche il lavoratore si era rivolto presentando ricorso incidentale per la mancata applicazione
della tutela reitegratoria prevista dall’art.18
dello Statuto dei Lavoratori.
La
Suprema Corte ha rigettato il ricorso della Provincia, osservando che la risonanza mediatica di una denuncia a carico di amministratori pubblici di per sé prescinde dalla condotta del
denunciante e deriva dal ruolo pubblico degli imputati.
Si
tratta, pertanto, di una circostanza che non può essere addebitata al
dipendente ai fini disciplinari, a meno che la risonanza sia provocata
artatamente dalla condotta del dipendente, o quando il contenuto della notizia
sia falsato per effetto del suo intervento, circostanza questa esclusa nel caso
in oggetto.
La
Cassazione ha invece accolto il ricorso del lavoratore, richiamando il
consolidato indirizzo giurisprudenziale in base al quale l'illegittimità del
recesso dal rapporto di lavoro di una Pubblica Amministrazione con un dirigente
comporta l'applicazione della disciplina di cui all'art.18 della legge n.300
del 1970, con le conseguenze reintegratorie.
Tale
decisione, a detta della Suprema Corte, risulta conforme all’applicazione della
previsione dell'art.51 del D.Lgs. n.165 del 2001 che, dopo avere affermato come
il rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici è disciplinato dalle disposizioni
dell'art.2, commi 2 e 3, e dell'art.3, comma 1, riferibili anche ai dirigenti,
prevede, al comma 2, che lo Statuto dei Lavoratori si applica alle Pubbliche Amministrazioni,
a prescindere dal numero dei dipendenti.
Al
riguardo, gli ermellini hanno inoltre affermato che, poiché il rapporto stabile
dei dipendenti pubblici con attitudine dirigenziale è assimilabile a quello
della categoria impiegatizia e, poiché la normativa sui licenziamenti
individuali (1)
si riferisce ai dirigenti privati, la disciplina
contenuta nello Statuto dei Lavoratori si riferisce anche al rapporto
fondamentale di lavoro dei dirigenti pubblici (2).
La
Corte di legittimità ha escluso che in tal modo possa configurarsi un trattamento preferenziale del dirigente
pubblico rispetto a quello privato, considerato che la disciplina delle due
dirigenze non è sovrapponibile, in quanto, nel settore pubblico, il
procedimento qualificatorio della categoria dirigenziale si basa sulla ricorrenza
di presupposti formali, mentre alcun rilievo assume l'esercizio delle mansioni
effettivamente svolte, con una evidente
scissione, estranea al diritto privato, fra l'acquisto della qualifica
di dirigente con rapporto di lavoro a tempo indeterminato ed il successivo
conferimento delle funzioni dirigenziali a termine.
La
Cassazione ha poi concluso osservando
che il riconoscimento della tutela reintegratoria ai dirigenti pubblici risulta coerente con i
principi di imparzialità e di buon andamento della Pubblica Amministrazione,
dal momento che tale diritto sarebbe in grado di garantirne la fisiologica
organizzazione, costituendo un adeguato rimedio alla disfunzione conseguente al
licenziamento illegittimo.
Valerio
Pollastrini
(1)
–
Art.10 della Legge n.604 del 15 luglio 1966;
(2)
–
Per via dell'estensione operata dall'art.51, comma 2, del D.Lgs. n.165/2001;
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