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domenica 9 marzo 2014

Illegittima la revoca dell’incarico del dirigente medico in assenza di valutazione negativa

Ritenendo illegittima la revoca delle funzioni attribuite al dipendente in assenza di una valutazione negativa del suo operato, la Corte di Cassazione, nella sentenza n.4979 del 4 marzo 2014, ha condannato un’Azienda Ospedaliera a risarcire il danno in favore del lavoratore successivamente adibito ad incarichi ritenuti oggetto di demansionamento.

Un medico alle dipendenze dell’Azienda Ospedaliera  di Brescia, precedentemente inquadrato come direttore di struttura, in seguito alla successiva adibizione alle funzioni di addetto al reparto di anestesia dei servizi, aveva ritenuto di essere stato vittima di un demansionamento ed aveva chiamato in giudizio l’Ente, chiedendo di essere assegnato al precedente incarico, oltre al risarcimento del danno.

Dopo  il rigetto della domanda da parte del Tribunale di primo grado, la Corte di Appello di Brescia aveva accolto le richieste del lavoratore, condannando l’Azienda ad assegnare al dipendente un incarico dello stesso livello di quello originario e a corrispondergli la somma di 329,12 € mensili a titolo di risarcimento per la illegittima riduzione del trattamento economico.

Attraverso l’analisi  dell’art.27 del Contratto Collettivo applicabile ai dirigenti sanitari, la Corte di merito aveva rilevato come dalla tipologia di incarico b), inerente alla direzione di struttura semplice, il medico era stato spostato nella tipologia di incarico c), avente natura professionale di consulenza, studio, ricerca, ecc.

La non equivalenza dei due incarichi, sia per il contenuto professionale che per il corrispondente trattamento economico, aveva indotto la Corte a ritenere che l’adibizione del lavoratore ad un incarico di contenuto inferiore si fosse tradotta in un demansionamento ingiustificato, anche perché posto in essere senza che alla base vi fosse  una valutazione negativa dell’attività dirigenziale, unico presupposto legittimante una simile  decisione aziendale.

L’assenza della prova circa la riconducibilità del declassamento  ad una riorganizzazione aziendale, attestava l’inadempimento del contratto individuale, perpetrato attraverso  la revoca dell’incarico assegnato prima della scadenza del periodo negozialmente fissato.

L’Azienda Sanitaria aveva proposto ricorso per Cassazione, sostenendo che, nell’ambito del  lavoro pubblico privatizzato, il concetto di equivalenza delle mansioni debba essere individuato attraverso le disposizioni della Contrattazione Collettiva di riferimento. Nella specie, il C.C.N.L. precisa che i quattro tipi di incarico dirigenziale indicati nell’art. 27 costituiscono una mera elencazione sulla base della quale non può essere fondata una gerarchia tra gli specifici incarichi.

In assenza di un diritto del dirigente alla conservazione dell’incarico, il passaggio dall’una  all’altra funzione costituirebbe dunque una legittima attuazione del principio di rotazione tra i vari soggetti con funzioni dirigenziali.

Ribadendo che detto art. 27 non crea una gerarchia tra gli incarichi ivi previsti, ma semplicemente una graduazione di carattere economico, l’azienda aveva quindi lamentato come nessuna norma sancisca che il dirigente sanitario, salvo il caso di ristrutturazione aziendale, abbia il diritto di mantenere l’incarico ricevuto.

L’azienda ha inoltre contestato che il Giudice di Appello, pur ritenendo sussistente la ristrutturazione aziendale, avesse escluso il nesso causale tra ristrutturazione e mutamento dell’incarico, entrando così nel merito della insindacabile scelta organizzativa ed amministrativa dell’Ente sanitario di modificare la pianta organica, violando così l’art.41 della Costituzione.

L’Ente aveva lamentato, infine, che la quantificazione del danno era stata calcolata con decorrenza dal 1° gennaio 2003, senza tener conto che il risarcimento avrebbe dovuto comunque essere contenuto al 12 marzo 2003, data di scadenza dell’originario incarico del sanitario.

La pronuncia della Cassazione
La Suprema Corte ha innanzitutto precisato che il lavoratore, in servizio presso l’Azienda ospedaliera dal 1980 in qualità di dirigente medico, era stato  titolare dell’incarico di struttura semplice fino al 1° gennaio 2003, mentre successivamente era stato reinquadrato come titolare di un semplice incarico professionale.

La Cassazione ha dunque provveduto ad una lunga analisi della normativa collettiva applicabile alla  “Dirigenza medica e veterinaria del Servizio sanitario nazionale”, ricordando che l’art.27 prevede le seguenti tipologie di inquadramento:

a)     Direzione di struttura complessa;

b)    Direzione di struttura semplice;

c)     Incarico di natura professionale anche di alta specializzazione, di consulenza, di studio, e ricerca, ispettivo, di verifica e di controllo;

d)    Incarico di natura professionale conferibile ai dirigenti con meno di cinque anni di attività.

Il citato articolo afferma inoltre  che la definizione della tipologia degli incarichi di cui alle lettere b) e c) rappresenta una mera elencazione che non configura rapporti di sovra o sotto ordinazione degli incarichi, la quale discende esclusivamente dall’assetto organizzativo aziendale e dalla graduazione delle funzioni.

Il successivo art. 28 prevede che ai dirigenti, dopo cinque anni di attività, sono conferibili gli incarichi di direzione di struttura semplice ovvero di natura professionale anche di alta specializzazione, di consulenza, di studio e ricerca, ispettivi, di verifica e di controllo indicati nell’art. 27,  lett. b) e c), e che  i citati incarichi sono conferiti dall’azienda, a seguito di valutazione positiva ai sensi dell’art. 32, su proposta del responsabile della struttura di appartenenza, con atto scritto e motivato.

Per quanto riguarda gli incarichi di direzione di struttura semplice, essi sono conferiti nei limiti del numero stabilito nell’atto aziendale. E’ previsto, inoltre, che gli incarichi precedentemente citati sono conferiti a tempo determinato ed hanno una durata non inferiore a tre anni e non superiore a cinque  - comunicata all’atto del conferimento - con facoltà di rinnovo.

Gli articoli 32, 33, 34 del contratto collettivo, concernenti le modalità di valutazione dell’attività di detti dirigenti, nonché le conseguenze derivanti dal giudizio formulato al riguardo, prevedono  che per i dirigenti con incarico di direzione di struttura complessa o semplice, l’accertamento delle responsabilità dirigenziali, rilevato a seguito delle procedure di valutazione, e dovuto alla inosservanza delle direttive ed ai risultati negativi della gestione finanziaria, tecnica ed amministrativa, può determinare la perdita della retribuzione di risultato in tutto o in parte,  la revoca dell’incarico e l’affidamento di altro tra quelli ricompresi nell’art. 27 comma 1, lett. a), b) o c), di valore economico inferiore a quello in atto.

Tanto premesso, la Cassazione ha accertato che il Giudice di merito aveva preso atto che, ai sensi dell’articolo 27 del Contratto Collettivo, la qualificazione degli incarichi di direzione di struttura semplice e quelli di natura professionale anche di alta specializzazione  rappresentassero solamente una definizione tipologica e che dalla definizione in questione non derivasse alcun rapporto di sovra o sotto ordinazione degli incarichi. Tuttavia, la Corte di Appello aveva ugualmente  ritenuto illegittima la revoca poiché l’incarico originale era stato sostituito con un incarico retribuito in misura inferiore e di contenuto professionale peggiorativo, senza che l’Azienda avesse dato luogo al procedimento di valutazione dell’attività del dirigente previsto dall’art. 34 del Contratto Collettivo.

Si tratta di una valutazione del tutto conforme con quanto disposto dalla giurisprudenza di legittimità, che in altra occasione aveva dichiarato che nonostante il dirigente medico non possieda un diritto soggettivo a conservare un determinato incarico dirigenziale, d’altro canto è legittimo il controllo giudiziale circa il mancato rinnovo o la revoca dell’incarico, ove questo si traduca in un’indagine sul rispetto delle garanzie procedimentali previste, nonché sull’osservanza delle regole di correttezza e buona fede (1).

Per il Giudice di merito l’assegnazione del nuovo incarico risultava ingiustificata sulla base delle due concomitanti considerazioni che la revoca di detto incarico fosse avvenuta al di fuori del procedimento di valutazione dell’attività del dirigente e che la giustificazione offerta dall’Azienda, circa la riconducibilità della revoca ad una riorganizzazione del servizio, si era rivelata priva di supporto probatorio.

Quella che la ricorrente aveva  ritenuto  una intromissione del Giudice nelle prerogative dell’imprenditore circa il suo diritto di organizzazione del servizio, dunque, non è altro che un approfondimento probatorio sulla sorte dell’incarico già ricoperto dal lavoratore, risultato dall’istruttoria non soppresso, bensì trasferito in un diverso  reparto ed assegnato ad altro dirigente.

Quanto alle modalità di quantificazione del danno, la Corte di Appello, considerando che la revoca fosse avvenuta prima della scadenza del contratto individuale, aveva fissato il risarcimento in misura pari alla differenza di retribuzione  corrente tra il revocato incarico di responsabile di struttura semplice e l’incarico di natura professionale assegnato illegittimamente, calcolando la liquidazione del danno dal 1° gennaio 2003 fino alla riassegnazione di una funzione del medesimo valore economico.

Sul punto, la Cassazione ha rilevato la contraddittorietà della pronuncia di merito. La Corte di Appello, infatti, pur dando per scontata la delimitazione temporale del contratto individuale entro il quale avrebbe dovuto essere garantita la permanenza dell’incarico originariamente conferito, non aveva considerato il raggiungimento di tale limite quale momento finale della realizzazione del danno. Anzi, senza ulteriore spiegazione, aveva ritenuto che l’inadempienza contrattuale avesse dato luogo ad un non meglio precisato effetto permanente, sufficiente per giustificare la menzionata modalità di risarcimento, dilatando immotivatamente ed a dismisura la perdita patrimoniale del dipendente.

Parimenti immotivata, a detta della Suprema Corte, risulta l’affermazione del Giudice attestante la durata triennale del contratto del lavoratore. Dalla delibera amministrativa era invece emerso   che l’incarico poi revocato era stato  conferito il 12 marzo del 1998 e, dal momento che il richiamato art.28 del Contratto Collettiva prevede che gli incarichi di dirigenza siano conferiti a tempo determinato e per un periodo compreso da tre a cinque anni, la Corte di merito avrebbe dovuto verificare quale fosse la durata indicata nel contratto individuale pattuita tra le parti.

In mancanza di tale verifica, la Cassazione ha accolto la tesi aziendale sull’assenza di  pattuizione di un termine, ragion per cui  la scadenza dell’incarico doveva ritenersi fissata per il periodo massimo consentito dal Contratto Collettivo.

In conclusione, la Cassazione ha accolto il ricorso dell’Azienda solamente per ciò che attiene la contestazione sulle modalità di quantificazione del danno, disponendo l’obbligo di corrispondere le differenze retributive alla data del 12 marzo 2003, corrispondente alla scadenza del quinquennio dal conferimento dell’incarico.

In ragione della prevalenza della soccombenza del datore di lavoro, la Corte ha posto a carico dell’Azienda Ospedaliera le spese del giudizio di legittimità, liquidate in 3.000,00 € per compensi professionali e 100,00 € per esborsi, oltre Iva e Cpa.

Valerio Pollastrini

(1)   - Cass., sentenza  n. 5025 del 2 marzo 2009;

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