Un medico alle
dipendenze dell’Azienda Ospedaliera di
Brescia, precedentemente inquadrato come direttore di struttura, in seguito
alla successiva adibizione alle funzioni di addetto al reparto di anestesia dei
servizi, aveva ritenuto di essere stato vittima di un demansionamento ed aveva
chiamato in giudizio l’Ente, chiedendo di essere assegnato al precedente
incarico, oltre al risarcimento del danno.
Dopo il rigetto della domanda da parte del
Tribunale di primo grado, la Corte di Appello di Brescia aveva accolto le
richieste del lavoratore, condannando l’Azienda ad assegnare al dipendente un incarico
dello stesso livello di quello originario e a corrispondergli la somma di 329,12
€ mensili a titolo di risarcimento per la illegittima riduzione del trattamento
economico.
Attraverso l’analisi
dell’art.27 del Contratto Collettivo
applicabile ai dirigenti sanitari, la Corte di merito aveva rilevato come dalla
tipologia di incarico b), inerente alla direzione di struttura semplice, il
medico era stato spostato nella tipologia di incarico c), avente natura professionale
di consulenza, studio, ricerca, ecc.
La non
equivalenza dei due incarichi, sia per il contenuto professionale che per il
corrispondente trattamento economico, aveva indotto la Corte a ritenere che l’adibizione
del lavoratore ad un incarico di contenuto inferiore si fosse tradotta in un
demansionamento ingiustificato, anche perché posto in essere senza che alla
base vi fosse una valutazione negativa
dell’attività dirigenziale, unico presupposto legittimante una simile decisione aziendale.
L’assenza
della prova circa la riconducibilità del declassamento ad una riorganizzazione aziendale, attestava l’inadempimento
del contratto individuale, perpetrato attraverso la revoca dell’incarico assegnato prima della
scadenza del periodo negozialmente fissato.
L’Azienda
Sanitaria aveva proposto ricorso per Cassazione, sostenendo che, nell’ambito
del lavoro pubblico privatizzato, il
concetto di equivalenza delle mansioni debba essere individuato attraverso le
disposizioni della Contrattazione Collettiva di riferimento. Nella specie, il C.C.N.L.
precisa che i quattro tipi di incarico dirigenziale indicati nell’art. 27 costituiscono
una mera elencazione sulla base della quale non può essere fondata una
gerarchia tra gli specifici incarichi.
In assenza
di un diritto del dirigente alla conservazione dell’incarico, il passaggio
dall’una all’altra funzione costituirebbe
dunque una legittima attuazione del principio di rotazione tra i vari soggetti
con funzioni dirigenziali.
Ribadendo
che detto art. 27 non crea una gerarchia tra gli incarichi ivi previsti, ma
semplicemente una graduazione di carattere economico, l’azienda aveva quindi
lamentato come nessuna norma sancisca che il dirigente sanitario, salvo il caso
di ristrutturazione aziendale, abbia il diritto di mantenere l’incarico
ricevuto.
L’azienda ha
inoltre contestato che il Giudice di Appello, pur ritenendo sussistente la
ristrutturazione aziendale, avesse escluso il nesso causale tra
ristrutturazione e mutamento dell’incarico, entrando così nel merito della insindacabile
scelta organizzativa ed amministrativa dell’Ente sanitario di modificare la
pianta organica, violando così l’art.41 della Costituzione.
L’Ente aveva
lamentato, infine, che la quantificazione del danno era stata calcolata con
decorrenza dal 1° gennaio 2003, senza tener conto che il risarcimento avrebbe
dovuto comunque essere contenuto al 12 marzo 2003, data di scadenza dell’originario
incarico del sanitario.
La pronuncia della Cassazione
La Suprema
Corte ha innanzitutto precisato che il lavoratore, in servizio presso l’Azienda
ospedaliera dal 1980 in qualità di dirigente medico, era stato titolare dell’incarico di struttura semplice fino
al 1° gennaio 2003, mentre successivamente era stato reinquadrato come titolare di un
semplice incarico professionale.
La Cassazione
ha dunque provveduto ad una lunga analisi della normativa collettiva
applicabile alla “Dirigenza medica e
veterinaria del Servizio sanitario nazionale”, ricordando che l’art.27 prevede
le seguenti tipologie di inquadramento:
a) Direzione di struttura complessa;
b) Direzione di struttura semplice;
c) Incarico di natura professionale
anche di alta specializzazione, di consulenza, di studio, e ricerca, ispettivo,
di verifica e di controllo;
d) Incarico di natura professionale
conferibile ai dirigenti con meno di cinque anni di attività.
Il citato
articolo afferma inoltre che la
definizione della tipologia degli incarichi di cui alle lettere b) e c)
rappresenta una mera elencazione che non configura rapporti di sovra o sotto
ordinazione degli incarichi, la quale discende esclusivamente dall’assetto
organizzativo aziendale e dalla graduazione delle funzioni.
Il
successivo art. 28 prevede che ai dirigenti, dopo cinque anni di attività, sono
conferibili gli incarichi di direzione di struttura semplice ovvero di natura
professionale anche di alta specializzazione, di consulenza, di studio e
ricerca, ispettivi, di verifica e di controllo indicati nell’art. 27, lett. b) e c), e che i citati incarichi sono conferiti dall’azienda,
a seguito di valutazione positiva ai sensi dell’art. 32, su proposta del
responsabile della struttura di appartenenza, con atto scritto e motivato.
Per quanto
riguarda gli incarichi di direzione di struttura semplice, essi sono conferiti
nei limiti del numero stabilito nell’atto aziendale. E’ previsto, inoltre, che
gli incarichi precedentemente citati sono conferiti a tempo determinato ed
hanno una durata non inferiore a tre anni e non superiore a cinque - comunicata all’atto del conferimento - con
facoltà di rinnovo.
Gli articoli
32, 33, 34 del contratto collettivo, concernenti le modalità di valutazione
dell’attività di detti dirigenti, nonché le conseguenze derivanti dal giudizio
formulato al riguardo, prevedono che per
i dirigenti con incarico di direzione di struttura complessa o semplice,
l’accertamento delle responsabilità dirigenziali, rilevato a seguito delle
procedure di valutazione, e dovuto alla inosservanza delle direttive ed ai
risultati negativi della gestione finanziaria, tecnica ed amministrativa, può
determinare la perdita della retribuzione di risultato in tutto o in parte, la revoca dell’incarico e l’affidamento di
altro tra quelli ricompresi nell’art. 27 comma 1, lett. a), b) o c), di valore
economico inferiore a quello in atto.
Tanto
premesso, la Cassazione ha accertato che il Giudice di merito aveva preso atto
che, ai sensi dell’articolo 27 del Contratto Collettivo, la qualificazione
degli incarichi di direzione di struttura semplice e quelli di natura
professionale anche di alta specializzazione
rappresentassero solamente una definizione tipologica e che dalla
definizione in questione non derivasse alcun rapporto di sovra o sotto
ordinazione degli incarichi. Tuttavia, la Corte di Appello aveva ugualmente ritenuto illegittima la revoca poiché
l’incarico originale era stato sostituito con un incarico retribuito in misura
inferiore e di contenuto professionale peggiorativo, senza che l’Azienda avesse
dato luogo al procedimento di valutazione dell’attività del dirigente previsto
dall’art. 34 del Contratto Collettivo.
Si tratta di
una valutazione del tutto conforme con quanto disposto dalla giurisprudenza di
legittimità, che in altra occasione aveva dichiarato che nonostante il dirigente
medico non possieda un diritto soggettivo a conservare un determinato incarico
dirigenziale, d’altro canto è legittimo il controllo giudiziale circa il
mancato rinnovo o la revoca dell’incarico, ove questo si traduca in un’indagine
sul rispetto delle garanzie procedimentali previste, nonché sull’osservanza
delle regole di correttezza e buona fede (1).
Per il Giudice
di merito l’assegnazione del nuovo incarico risultava ingiustificata sulla base
delle due concomitanti considerazioni che la revoca di detto incarico fosse
avvenuta al di fuori del procedimento di valutazione dell’attività del
dirigente e che la giustificazione offerta dall’Azienda, circa la
riconducibilità della revoca ad una riorganizzazione del servizio, si era
rivelata priva di supporto probatorio.
Quella che
la ricorrente aveva ritenuto una intromissione del Giudice nelle
prerogative dell’imprenditore circa il suo diritto di organizzazione del
servizio, dunque, non è altro che un approfondimento probatorio sulla sorte
dell’incarico già ricoperto dal lavoratore, risultato dall’istruttoria non
soppresso, bensì trasferito in un diverso reparto ed assegnato ad altro dirigente.
Quanto alle
modalità di quantificazione del danno, la Corte di Appello, considerando che la
revoca fosse avvenuta prima della scadenza del contratto individuale, aveva
fissato il risarcimento in misura pari alla differenza di retribuzione corrente tra il revocato incarico di
responsabile di struttura semplice e l’incarico di natura professionale
assegnato illegittimamente, calcolando la liquidazione del danno dal 1° gennaio
2003 fino alla riassegnazione di una funzione del medesimo valore economico.
Sul punto,
la Cassazione ha rilevato la contraddittorietà della pronuncia di merito. La
Corte di Appello, infatti, pur dando per scontata la delimitazione temporale
del contratto individuale entro il quale avrebbe dovuto essere garantita la
permanenza dell’incarico originariamente conferito, non aveva considerato il
raggiungimento di tale limite quale momento finale della realizzazione del
danno. Anzi, senza ulteriore spiegazione, aveva ritenuto che l’inadempienza
contrattuale avesse dato luogo ad un non meglio precisato effetto permanente,
sufficiente per giustificare la menzionata modalità di risarcimento, dilatando immotivatamente
ed a dismisura la perdita patrimoniale del dipendente.
Parimenti
immotivata, a detta della Suprema Corte, risulta l’affermazione del Giudice
attestante la durata triennale del contratto del lavoratore. Dalla delibera
amministrativa era invece emerso che
l’incarico poi revocato era stato
conferito il 12 marzo del 1998 e, dal momento che il richiamato art.28 del
Contratto Collettiva prevede che gli incarichi di dirigenza siano conferiti a
tempo determinato e per un periodo compreso da tre a cinque anni, la Corte di
merito avrebbe dovuto verificare quale fosse la durata indicata nel contratto
individuale pattuita tra le parti.
In mancanza
di tale verifica, la Cassazione ha accolto la tesi aziendale sull’assenza di pattuizione di un termine, ragion per cui la scadenza dell’incarico doveva ritenersi
fissata per il periodo massimo consentito dal Contratto Collettivo.
In
conclusione, la Cassazione ha accolto il ricorso dell’Azienda solamente per ciò
che attiene la contestazione sulle modalità di quantificazione del danno,
disponendo l’obbligo di corrispondere le differenze retributive alla data del
12 marzo 2003, corrispondente alla scadenza del quinquennio dal conferimento
dell’incarico.
In ragione
della prevalenza della soccombenza del datore di lavoro, la Corte ha posto a
carico dell’Azienda Ospedaliera le spese del giudizio di legittimità, liquidate
in 3.000,00 € per compensi professionali e 100,00 € per esborsi, oltre Iva e Cpa.
Valerio
Pollastrini
(1) - Cass., sentenza n. 5025 del 2 marzo 2009;
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