Una
dipendente della Asl n. X Basso Molise con qualifica di “infermiere generico”
si era rivolta al Tribunale di Larino, sostenendo di avere lavorato presso
l’U.O. dell’Ambulatorio di Cardiologia e di aver svolto, dal marzo 2002 al
gennaio 2006, epoca del suo pensionamento, attività riconducibili al profilo di
“infermiere professionale”.
Per tale ragione aveva richiesto la condanna della ASL a corrispondere
in suo favore le differenze tra il trattamento economico percepito e quello
spettante per lo svolgimento delle mansioni superiori.
Il Tribunale
aveva però respinto la domanda del lavoratore, accogliendo invece le
rimostranze della ASL secondo cui la
lavoratrice non aveva dimostrato l’esistenza di un provvedimento di
assegnazione alle mansioni corrispondenti al superiore profilo professionale e
ciò costituiva una ragione assorbente per escludere il diritto alle differenze
economiche rivendicate.
Al termine
del successivo giudizio di secondo grado, la Corte di Appello di Campobasso,
dopo aver accertato l’effettivo svolgimento in modo ordinario e continuativo da
parte della ricorrente di attività propria della qualifica di infermiere professionale,
ne aveva accolto invece le richieste,
ritenendo irrilevante, a tale proposito, la mancanza di un formale atto di
assegnazione.
La Asl n. X
Basso Molise in liquidazione aveva quindi proposto ricorso per Cassazione,
contestando ai giudici di Appello di avere erroneamente
interpretato ed applicato alla fattispecie i principi enunciati nella sentenza
n. 25837 del 2007 delle Sezioni Unite.
Si tratta di
una pronuncia che aveva riguardato l’esercizio di mansioni superiori conferite
con atto illegittimo, ma non l’ipotesi, come nel caso di specie, di svolgimento
di fatto di mansioni radicalmente prive di un provvedimento di conferimento.
A detta del
datore di lavoro, per corrispondere alla lavoratrice la differenza di
trattamento economico vi sarebbe una
imprescindibile relazione tra il diritto al trattamento economico per
l’esercizio di mansioni superiori e l’attribuzione di queste mediante un
provvedimento di assegnazione.
La pronuncia
della Cassazione
La Suprema Corte ha, innanzitutto, ritenuto prive di fondamento la
questione proposta in merito alla supposta illegittima
equiparazione tra mansioni svolte in forza di un provvedimento di conferimento
e mansioni svolte in via di fatto.
Il D.Lgs. 3
febbraio 1993, n. 29, art. 56, ora D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 52,
recependo una costante norma del pubblico impiego, esclude che dallo
svolgimento delle mansioni superiori possa conseguire l’automatica attribuzione
della qualifica superiore ma, quanto al
divieto di corresponsione della retribuzione corrispondente alle mansioni
superiori, la Corte Costituzionale ha stabilito l’applicabilità anche nel pubblico
impiego dell’art. 36 Cost., nella parte in cui attribuisce al lavoratore il
diritto ad una retribuzione proporzionale alla quantità e qualità del lavoro
prestato, nonché alla conseguente intenzione del legislatore di rimuovere con
la disposizione correttiva una norma in contrasto con i principi costituzionali
(1).
A proposito
dell’interpretazione fornita dalle Sezioni Unite della Corte con la sentenza n.
25837 del 2007, essa deve invece essere intesa nel senso che l’impiegato cui sono state assegnate, al di
fuori dei casi consentiti, mansioni superiori ha diritto, in conformità alla
giurisprudenza della Corte costituzionale (2), ad una
retribuzione proporzionata e sufficiente ai sensi dell’art. 36 Cost.
Si tratta di una norma che, a
detta della Suprema Corte, deve trovare integrale applicazione anche nel
pubblico impiego privatizzato, sempre che le mansioni superiori assegnate siano
state svolte, sotto il profilo quantitativo e qualitativo, nella loro pienezza,
e sempre che, in relazione all’attività spiegata, siano stati esercitati i
poteri ed assunte le responsabilità correlate a dette superiori mansioni (3).
Né la
portata applicativa del principio è da intendere come limitata e circoscritta
al solo caso in cui le mansioni superiori vengano svolte in esecuzione di un
provvedimento di assegnazione, ancorché nullo; le Sezioni Unite (4), sulla base dei principi espressi dalla Corte
Costituzionale, hanno rilevato come l’obbligo di integrare il trattamento economico del dipendente nella
misura della quantità del lavoro effettivamente prestato prescinda dalla
eventuale irregolarità dell’atto o dall’assegnazione o meno dell’impiegato a
mansioni superiori e come il mantenere, da parte della pubblica
amministrazione, l’impiegato a mansioni superiori, oltre i limiti prefissati
per legge, determini una mera illegalità, che però non priva il lavoro prestato
della tutela collegata al rapporto – ai sensi dell’art. 2126 c.c. e, tramite
detta disposizione, dell’art. 36 Cost. – perché non può ravvisarsi nella
violazione della mera legalità quella illiceità che si riscontra, invece, nel
contrasto “con norme fondamentali e generali e con i principi basilari
pubblicistici dell’ordinamento”, e che, alla stregua della citata norma
codicistica, porta alla negazione di ogni tutela del lavoratore (5).
La Corte Costituzionale ha ripetutamente affermato l’applicabilità, anche al pubblico impiego,
dell’art. 36 Cost. nella parte in cui attribuisce al lavoratore il diritto ad
una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro prestato, non
ostando a tale riconoscimento, a norma dell’art. 2126 c.c., l’eventuale
illegittimità del provvedimento di assegnazione del dipendente a mansioni
superiori rispetto a quelle della qualifica di appartenenza (6).
Per la Cassazione dunque, il diritto a percepire una retribuzione
commisurata alle mansioni effettivamente svolte in ragione dei principi di
rilievo costituzionale e di diritto comune non è dunque condizionato
all’esistenza di un provvedimento del superiore gerarchico che disponga
l’assegnazione.
Le uniche ipotesi in cui può essere disconosciuto il diritto alla
retribuzione superiore dovrebbero essere circoscritte ai casi in cui
l’espletamento di mansioni superiori sia avvenuto all’insaputa o contro la
volontà dell’ente, oppure allorquando sia il frutto della fraudolenta
collusione tra dipendente e dirigente (7).
Sempre la
Corte costituzionale ha poi osservato (8) che il potere attribuito al dirigente preposto all’organizzazione del
lavoro di trasferire temporaneamente un dipendente a mansioni superiori per
esigenze straordinarie di servizio è un mezzo indispensabile per assicurare il
buon andamento dell’amministrazione; la spettanza al lavoratore del trattamento
retributivo corrispondente alle funzioni di fatto espletate è un precetto
dell’art. 36 Cost., la cui applicabilità all’impiego pubblico non può essere
messa in discussione (9).
L’astratta
possibilità di abuso di tale potere e delle sue conseguenze economiche, nella
forma di protrazioni illegittime dell’assegnazione a funzioni superiori, non è
evidentemente un argomento che possa giustificare una restrizione
dell’applicabilità del principio costituzionale di equivalenza della
retribuzione al lavoro effettivamente prestato. Se fosse infatti dimostrato che
nel caso concreto l’assegnazione del dipendente a mansioni superiori fosse
avvenuta con abuso d’ufficio e con la “connivenza” del dipendente, lo stesso
art. 2126 cod. civ. imporrebbe al giudice di respingere la pretesa di
quest’ultimo.
La
Cassazione segnala, inoltre, che, in un’altra pronuncia, vertente in un caso di
assegnazione di fatto di un sanitario alle mansioni superiori in mancanza di un
provvedimento formale di incarico, la Corte costituzionale (10) ha escluso che
la mancanza della condizione formale potesse ostacolare l’accoglimento della
domanda, osservando che l’adibizione temporanea a mansioni superiori per
esigenze di servizio non da diritto a variazioni di trattamento economico (cioè
rientra nei doveri di ufficio del sanitario) “solo entro il limite temporale
massimo ivi indicato (….), onde il suo prolungamento oltre tale limite produce
al datore di lavoro un arricchimento ingiustificato, che alla stregua dell’art.
36 della Costituzione, direttamente applicabile, determina l’obbligo di
integrare il trattamento economico del dipendente nella misura corrispondente
alla qualità del lavoro effettivamente prestato”, e che non può escludersi
l’accoglimento della domanda per difetto di un provvedimento formale di
assegnazione interinale alle mansioni inerenti al posto vacante, in quanto “la
mancanza di questa condizione formale è supplita dal principio della
prestazione di fatto di cui all’art. 2126 cod. civ., applicabile anche ai
rapporti di pubblico impiego”. La prestazione ulteriore di lavoro in tali
mansioni produce al datore un arricchimento senza causa, che alla stregua
dell’art. 36, primo comma, Cost., direttamente applicabile, comporta
l’obbligazione di adeguare il trattamento economico del dipendente alla natura
del lavoro effettivamente prestato (11).
Per
concludere, la Corte di Cassazione ha rilevato che, nel caso di specie, non
ricorre alcuno dei presupposti che – alla stregua dei principi sopra esposti – avrebbe potuto giustificare l’esclusione del
diritto dell’attuale intimata alla retribuzione proporzionata alla quantità e
qualità del lavoro prestato – e del correlativo obbligo dell’Amministrazione di
integrare il trattamento economico della dipendente nella misura della quantità
del lavoro effettivamente prestato.
Per i motivi
sopra indicativa Corte di Cassazione ha respinto il ricorso della Asl n. X Basso
Molise ed ha condannato l’azienda al pagamento delle spese del giudizio di
legittimità, liquidate in 4.000,00 € per compensi professionali ed in 100,00 €
per esborsi, oltre I.V.A. e C.P.A..
Valerio
Pollastrini
(1) - cfr, ex plurimis, Cass., nn.
91/2004, 18286/2006; 9130/2007; da ultimo, Cass. n. 12193 del 2011;
(2) - tra
le altre, sentenze n. 908 del 1988; n. 57 del 1989; n. 236 del 1992; n. 296 del
1990;
(3) - v. pure Cass. n. 23741 del 17 settembre 2008 e molte
altre successive; tra le più recenti, Cass. n. 4382 del 23 febbraio 2010;
(4) - cfr. Cass. n. 27887 del 2009, che richiama
Cass., Sez. Un., 11 dicembre 2007 n. 25837 cit;
(5) - Corte
Cost. 19 giugno 1990 n. 296 attinente ad una fattispecie riguardante il
trattamento economico del personale del servizio sanitario nazionale in ipotesi
di affidamento di mansioni superiori in violazione del disposto del D.P.R. n.
761 del 1979, art. 29, comma 2;
(6)
- cfr. Corte Cost. sent n.
57/1989, n. 296/1990, n. 236/1992, n. 101/1995, n. 115/2003, n. 229/2003;
(7)
- cfr. Cass. n. 27887 del 2009;
(8) - Corte Costituzionale, sentenza n. 101 del 1995;
(9) - cfr. Corte Costituzionale, sentenza n. 236 del 1992;
(10)
– Corte Costituzionale,
sent. n. 57 del 1989;
(11)
– Corte
cost. ord. n. 908 del 1988;
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