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lunedì 16 dicembre 2013

Legittima l’impugnativa del licenziamento presentata dalla Camera del lavoro


Nella sentenza n.26514 del 27 novembre 2013 la Cassazione ha ribadito la legittimità dell’impugnativa del licenziamento formulata dalla Camera del Lavoro,  anche attraverso un rappresentante sprovvisto di procura e senza necessità di una ratifica del lavoratore.

Il caso è quello del licenziamento intimato ad un lavoratore la cui impugnativa, nel rispetto del termine di 60 giorni, era stata formalizzata attraverso una lettera della Camera del lavoro alla quale il dipendente si era rivolto.

Il Tribunale di Marsala, nel corso del primo grado di giudizio, aveva disposto l’annullamento del recesso.

Successivamente, la Corte di Appello di Palermo aveva però rigettato la domanda del lavoratore, ritenendo che l'impugnativa del licenziamento formulata dalla Camera del Lavoro di Castelvetrano non fosse idonea ad impedire la decadenza ex art. 6 della Legge n. 604/66 perché al rappresentante del sindacato  che l'aveva sottoscritta non era stata previamente conferita una procura in forma scritta e dovendosi ritenere esclusa anche una successiva ratifica.

Il lavoratore ha proposto ricorso per cassazione censurando la decisione della Corte palermitana per vizi di motivazione e violazione di legge.

La pronuncia della Cassazione
La Suprema Corte, nell’accogliere le doglianze del lavoratore, ha ricordato che il primo comma dell’art.6 della Legge n.604/1966 recita che:  "il licenziamento deve essere impugnato a pena di decadenza entro sessanta giorni dalla ricezione della sua comunicazione in forma scritta ovvero dalla comunicazione, anch'essa in forma scritta, dei motivi, ove non contestuale, con qualsiasi atto scritto, anche extragiudiziale idoneo a rendere nota la volontà del lavoratore anche attraverso l'intervento dell'organizzazione sindacale diretto ad impugnare il licenziamento scritto".

Nel motivare la decisione in favore del lavoratore, i Giudici della Cassazione pongono l’accento sul fatto che sia la stessa norma di riferimento a disporre che l’impugnativa del recesso possa essere effettuata "anche attraverso l'intervento dell'organizzazione sindacale".

Tra l’altro, la titolarità del sindacato nell’impugnare l’atto di licenziamento,  anche attraverso un rappresentante sprovvisto di procura e senza necessità di una ratifica del lavoratore, è da tempo riconosciuta sia dalla dottrina che dalla giurisprudenza

La Suprema Corte ha chiarito, inoltre, che, in casi come quello di specie, il sindacato deve considerarsi un rappresentante legale equiparato dalla legge del 1966 al lavoratore.

In capo al sindacato sussiste quindi  il potere di impugnazione del recesso sulla base della presunzione che l'associazione sindacale, in quanto a conoscenza della situazione aziendale, sia in grado di valutare al meglio gli interessi del lavoratore, almeno impedendo che si verifichi il termine decadenziale e si possa, poi, valutare con l'interessato l'opportunità di una prosecuzione dell'impugnazione in sede giudiziaria.

Per tali ragioni la Suprema Corte ha dunque rinviato la causa per nuovo esame alla Corte d'Appello di Palermo in diversa composizione.

Valerio Pollastrini

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