Nella sentenza n.26514 del 27 novembre 2013 la
Cassazione ha ribadito la legittimità dell’impugnativa del licenziamento
formulata dalla Camera del Lavoro, anche
attraverso un rappresentante sprovvisto di procura e senza necessità di una
ratifica del lavoratore.
Il caso è quello del licenziamento intimato ad un
lavoratore la cui impugnativa, nel rispetto del termine di 60 giorni, era stata
formalizzata attraverso una lettera della Camera del lavoro alla quale il
dipendente si era rivolto.
Il Tribunale di Marsala, nel corso del primo grado di
giudizio, aveva disposto l’annullamento del recesso.
Successivamente, la Corte di Appello di Palermo aveva
però rigettato la domanda del lavoratore, ritenendo che l'impugnativa del
licenziamento formulata dalla Camera del Lavoro di Castelvetrano non fosse
idonea ad impedire la decadenza ex art. 6 della Legge n. 604/66 perché al
rappresentante del sindacato che l'aveva sottoscritta non era stata
previamente conferita una procura in forma scritta e dovendosi ritenere esclusa
anche una successiva ratifica.
Il lavoratore ha proposto ricorso per cassazione
censurando la decisione della Corte palermitana per vizi di motivazione e
violazione di legge.
La pronuncia
della Cassazione
La Suprema Corte, nell’accogliere le doglianze del
lavoratore, ha ricordato che il primo comma dell’art.6 della Legge n.604/1966
recita che: "il licenziamento
deve essere impugnato a pena di decadenza entro sessanta giorni dalla ricezione
della sua comunicazione in forma scritta ovvero dalla comunicazione, anch'essa
in forma scritta, dei motivi, ove non contestuale, con qualsiasi atto scritto,
anche extragiudiziale idoneo a rendere nota la volontà del lavoratore anche
attraverso l'intervento dell'organizzazione sindacale diretto ad impugnare il
licenziamento scritto".
Nel motivare la decisione in favore del lavoratore, i
Giudici della Cassazione pongono l’accento sul fatto che sia la stessa norma di
riferimento a disporre che l’impugnativa del recesso possa essere effettuata "anche
attraverso l'intervento dell'organizzazione sindacale".
Tra l’altro, la titolarità del sindacato nell’impugnare
l’atto di licenziamento, anche
attraverso un rappresentante sprovvisto di procura e senza necessità di una
ratifica del lavoratore, è da tempo riconosciuta sia dalla dottrina che dalla
giurisprudenza
La Suprema Corte ha chiarito, inoltre, che, in casi
come quello di specie, il sindacato deve considerarsi un rappresentante legale
equiparato dalla legge del 1966 al lavoratore.
In capo al sindacato sussiste quindi il potere di impugnazione del recesso sulla
base della presunzione che l'associazione sindacale, in quanto a conoscenza
della situazione aziendale, sia in grado di valutare al meglio gli interessi
del lavoratore, almeno impedendo che si verifichi il termine decadenziale e si
possa, poi, valutare con l'interessato l'opportunità di una prosecuzione
dell'impugnazione in sede giudiziaria.
Per tali ragioni la Suprema Corte ha dunque rinviato
la causa per nuovo esame alla Corte d'Appello di Palermo in diversa
composizione.
Valerio Pollastrini
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