In materia di assistenza
al familiare disabile, il 5° comma dell’articolo 33 della legge n.194/1992
sancisce il diritto del lavoratore alla scelta,
ove possibile, della sede di lavoro più vicina al domicilio della
persona da assistere.
Nella sentenza n.28320
del 18 dicembre 2013 la Corte di Cassazione ha ritenuto che la suddetta norma risulti applicabile,
non soltanto in occasione della scelta della sede di lavoro al momento
dell’assunzione, ma anche nel corso del rapporto di lavoro mediante domanda di
trasferimento.
Il caso trae spunto dalla
richiesta di trasferimento dal proprio ufficio che un dipendente del Ministero
della Giustizia aveva motivato con la necessità di avvicinarsi alla madre
disabile, bisognosa di cure e assistenza continue.
Dinnanzi al rifiuto del
datore di lavoro, il lavoratore si era rivolto al Tribunale di Campobasso che
però ne aveva respinto le richieste.
La Corte di Appello di
Campobasso, in riforma della sentenza di primo grado, aveva successivamente riconosciuto,
ai sensi dell’ art. 33 della legge n. 104 del 1992, il diritto del lavoratore al trasferimento in
una sede che gli permettesse di assistere al meglio alla madre.
La
Corte territoriale, dopo aver attestato la continuità nell’assistenza della
madre invalida da parte del dipendente istante, ne aveva accolto le richieste,
ritenendo che il citato art. 33, comma 5
della legge n. 104 del 1992 fosse applicabile anche al caso di specie.
Contro
il giudizio di appello il Ministero della Giustizia aveva proposto ricorso per
cassazione, sostenendo che, pur ammettendo la possibilità di applicazione dell’art.
33, comma 5 della legge n. 104 del 1992 al caso di trasferimento e non solo di
prima assegnazione, il diritto al trasferimento per assistere il familiare
disabile esisterebbe solo se ed in quanto l’assistenza a quest’ultimo sia in
atto al momento dell’istanza di trasferimento.
La pronuncia
della Cassazione
La
Suprema Corte, nel respingere il ricorso del datore di lavoro, ha affermato il
principio di diritto per il quale la normativa sul diritto del genitore o familiare lavoratore “che assista con continuità un parente o un
affine entro il terzo grado handicappato” di scegliere, ove possibile, la
sede di lavoro più vicina al proprio domicilio, risulta applicabile non
soltanto all’inizio del rapporto di lavoro, mediante la scelta della sede ove
viene svolta l’attività lavorativa, ma anche nel corso del rapporto attraverso
la domanda di trasferimento.
La
Cassazione ha ricordato, infatti, come la ratio
della norma in questione sia quella di favorire l’assistenza al parente o affine
handicappato e, pertanto, risulta irrilevante, se una simile esigenza sorga nel
corso del rapporto o sia presente all’epoca dell’inizio del rapporto stesso.
La
Suprema Corte ha poi proseguito ribadendo che, quale condizione per il
godimento del diritto in questione la norma richiede, oltre allo stato di
handicappato del parente o affine da assistere, la continuità dell’assistenza. Si
tratta di circostanze di fatto il cui accertamento è riservato al giudice del
merito che, nel caso in esame, aveva
compiutamente considerato, motivando adeguatamente le proprie risultanze.
Per
i menzionati motivi la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso del
Ministero della Giustizia, condannando la parte soccombente al pagamento delle
spese di giudizio liquidate in 100,00 € per esborsi e 2.500,00 € per compensi
professionali oltre accessori di legge.
Valerio
Pollastrini
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