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venerdì 14 dicembre 2012

Il contratto a progetto dopo la riforma del lavoro

Con la circolare n.29/2012 il Ministero del lavoro e delle politiche sociali approfitta della necessità di impartire alcune indicazioni operative al personale ispettivo per fornire alcuni chiarimenti di portata generale sull’istituto del contratto a progetto.
La legge n.92/2012 (riforma del lavoro) ha apportato alcune restrizioni al fine di contrastare l’utilizzo scorretto del suddetto istituto.
Sono stati modificati i requisiti del progetto, il corrispettivo dovuto al collaboratore, l’esercizio del diritto di recesso, nonché alcuni aspetti del sistema sanzionatorio.


Requisiti del progetto

Secondo la nuova disposizione normativa “i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa devono essere riconducibili ad uno o più progetti specifici determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore”.
Il primo rilievo riguarda l’eliminazione della precedente dizione che consentiva la legittimità del contratto anche in relazione a “programmi di lavoro o fasi di esso”.

Il progetto deve essere “funzionalmente collegato ad un determinato risultato finale”, motivo per il quale il legislatore ha disposto nella redazione del contratto “l’indicazione del suo contenuto caratterizzante e del risultato finale che si intende conseguire”.
Appare evidente che il risultato finale costituisca parte integrante del progetto e che esso sia necessario ai fini della sua validità.

Nella circolare viene preso come esempio di legittimità del contratto lo sviluppo di uno specifico software e non l’attività ordinariamente necessaria ai fini della sua gestione. Altro esempio positivo è quello dell’ideazione di una specifica scenografia per la rappresentazione di uno spettacolo teatrale e non il mero allestimento del palco.

La riforma ha disposto inoltre che il progetto “non può consistere in una semplice riproposizione dell’oggetto sociale del committente”. Il progetto dovrà pertanto distinguersi da essa, costituendo un tipo di attività che si affianca all’attività principale senza confondersi con essa.

Pur potendo rientrare nel ciclo produttivo dell’impresa ed avere ad oggetto attività che rappresentano il core business aziendale, il progetto dovrà essere caratterizzato da una autonomia di contenuti e obiettivi, come ad esempio, nell’ambito di un’azienda di software, la creazione di un programma informatico avente particolari caratteristiche, oppure, nell’ambito di una attività di rilevazione dati per finalità statistiche, la raccolta degli stessi finalizzata alla realizzazione di uno specifico obiettivo di ricerca.

Altro aspetto sicuramente decisivo ai fini del corretto inquadramento del lavoratore a progetto riguarda lo svolgimento di compiti che non siano meramente esecutivi o ripetitivi.
Per compiti meramente esecutivi devono essere intesi quelli caratterizzati dalla semplice attuazione di quanto impartito dal committente, senza alcun margine di autonomia, anche  operativa, da parte del collaboratore
Quanto ai compiti ripetitivi, ci si riferisce a quelle attività per le quali non è necessaria alcuna indicazione da parte del committente. Si tratta di attività elementari che non richiedono specifiche indicazioni di carattere operativo fornite di volta in volta dal committente, come ad esempio quelle del cameriere e del barista.
Alla contrattazione collettiva è stata assegnata la funzione di specificare l’individuazione delle attività non consentite.

Nella circolare in commento vengono suggerite al personale ispettivo alcune attività difficilmente inquadrabili nell’ambito di un genuino rapporto di collaborazione a progetto. Esse sono:
-         addetti alla distribuzione di bollette o alla consegna di giornali, riviste ed elenchi telefonici;
-         addetti alle agenzie ippiche;
-         addetti alle pulizie;
-         autisti e autotrasportatori;
-         baristi e camerieri;
-         commessi e addetti alle vendite;
-         custodi e portieri;
-         estetiste e parrucchieri;
-         facchini;
-         istruttori di autoscuola;
-         letturisti di contatori;
-         magazzinieri;
-         manutentori;
-         muratori e qualifiche operaie dell’edilizia;
-         piloti e assistenti di volo;
-         prestatori di manodopera del settore agricolo;
-         addetti alle attività di segreteria e terminalisti;
-         addetti alla somministrazione di cibi e bevande;
-         prestazioni rese nell’ambito di call center per servizi cosiddetti in bound.


Il corrispettivo nel contratto a progetto

Il compenso del collaboratore, ora come nel passato,  deve essere proporzionato alla quantità e qualità dell’attività svolta. La riforma ha specificato che il compenso “non può essere inferiore ai minimi stabiliti in modo specifico per ciascun settore di attività (…) in ogni caso sulla base dei minimi salariali applicati nel settore medesimo alle mansioni equiparabili svolte dai lavoratori subordinati, dai contratti collettivi sottoscritti dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, a livello interconfederale o di categoria ovvero, su loro delega, ai livelli decentrati”.
Dunque il compenso minimo del collaboratore va individuato dalla contrattazione collettiva. Nel caso in cui non vi fosse una contrattazione collettiva specifica, il singolo committente dovrà garantire che il compenso non sia inferiore “a parità di estensione temporale dell’attività oggetto della prestazione, alle retribuzioni minime previste dai contratti collettivi di categoria applicati nel settore di riferimento alle figure professionali il cui profilo di competenza e di esperienza sia analogo a quello del collaboratore a progetto”.

Profili sanzionatori

La mancata individuazione del progetto, per espressa dizione della norma, determina la costituzione di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.
La citata disposizione “si interpreta nel senso che l’individuazione di uno specifico progetto costituisce elemento essenziale di validità del rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, la cui mancanza determina la costituzione di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato”.
Stesso discorso vale nel caso in cui, pur presente, il progetto appaia carente dei requisiti richiesti e specificati in precedenza.

Nell’ipotesi in cui il collaboratore a progetto esegua le prestazioni in maniera non autonoma, bensì con modalità analoghe a quelle dei lavoratori subordinati, opera una presunzione relativa di subordinazione, suscettibile di prova contraria da parte del committente, il quale, in questo caso, sarà chiamato a dimostrare in giudizio la genuinità della collaborazione.
Tale presunzione relativa non si applica alle prestazioni di elevata professionalità meglio declinate dalla contrattazione collettiva mediante specifiche clausole.

In conclusione, la circolare ministeriale ha voluto ricordare che le novità introdotte dalla riforma del lavoro trovano applicazione esclusivamente per i contratti di collaborazione stipulati successivamente al 18 luglio 2012, data di entrata in vigore della legge.

Valerio Pollastrini

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