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martedì 21 agosto 2012

Analisi e considerazioni sui problemi del nostro sistema pensionistico

Forse non tutti sanno che il male del nostro sistema pensionistico non e' genetico. Esso ha un'origine ben precisa che risale all'immediato secondo dopoguerra.
Nel 1943, dopo lo sbarco in Sicilia delle "forze Alleate", la necessità di sostenere lo sforzo bellico nel nostro territorio indusse quest'ultime a produrre moneta in modo massiccio: le cosiddette AM lire.
Tale politica economica, esauritasi solo nel 1946, e' stata la causa di un'enorme svalutazione che ha avuto quale conseguenza l'impoverimento immediato di tutti coloro che potevano contare unicamente su un reddito fisso.
Il sistema pensionistico italiano, fino ad allora perfettamente bilanciato, di colpo si e' trovato a dover far fronte alle problematiche economiche dei pensionati.
Per garantire la sopravvivenza degli appartenenti a questa categoria si e' preso atto della necessità di adeguare le prestazioni al mutato costo della vita.
Lo strumento utilizzato e' stato quello di abbandonare la via dell'erogazione di importi commisurati alla contribuzione versata per ancorare le pensioni ai livelli retributivi della forza lavoro.
Le risorse finanziarie utilizzate, per far fronte a quella che veniva ritenuta un'emergenza temporanea, sono state quelle costituite dai contributi delle nuove generazioni di lavoratori.
Ciò che sarebbe dovuto essere provvisorio e' diventato la norma e fino agli anni '90 nulla si e' fatto per invertire il progressivo processo di indebitamento.
In questo e' chiaro che la politica ha messo del suo, aggravando la situazione con innumerevoli concessioni clientelistico-speculative. Si pensi in proposito alle varie "clausole oro", al trattamento di quiescenza nel pubblico impiego e alle più famose "pensioni baby".
Arrivati sulla soglia del baratro, dopo circa cinquant'anni si e' cercato di porre rimedio alla situazione, attraverso la pianificazione di un progressivo riallineamento delle prestazioni dal sistema retributivo a quello contributivo.
La sottovalutazione del problema, unita alla scelta di non sostenere tale processo con risorse esterne alla contribuzione dei lavoratori, ha portato negli anni a bruciare le tappe verso tale percorso. Varie riforme hanno di volta in volta aumentato con notevole anticipo l'età pensionabile e la contribuzione richiesta, fino allo scippo del trattamento di fine rapporto di buona parte dei lavoratori subordinati, i quali si sono visti costretti a rinunciare ad un considerevole emolumento, da sempre ritenuto necessario per i bisogni del periodo della terza età. Il Tfr, con un vero colpo di spugna, e' stato destinato al finanziamento di fondi pensionistici complementari che avranno il compito di adeguare parzialmente pensioni che negli anni futuri saranno sempre più' esigue.
La corsa sfrenata di questi ultimi anni verso il "virtuosismo" delle casse di previdenza non ha conosciuto ostacoli ed ha raggiunto il suo apice con la recente riforma pensionistica che, in un sol colpo, ha disilluso le legittime aspettative di quanti si trovavano in prossimità della pensione.
Problema ancora maggiore e' stato il crescente depauperamento del "valore reale" dei trattamenti, come detto, orientato al ribasso in un futuro talmente prossimo da apparire presente.
Risultato: si stanno verificando le stesse condizioni che nella seconda metà degli anni '40 hanno causato lo sfaldamento del sistema.
Sia chiaro che in dubbio non vi e' la necessità di ancorare le erogazioni degli Enti previdenziali alle loro capacità di spesa. Ciò che si vuole biasimare e' l'amoralità della soluzione scelta. Ovvero quello di gravare unicamente sulla parte più' debole della nostra società che, di contro, vede inalterati o quasi, i privilegi, anche in campo previdenziale, della classe politica.
La corretta via, ad avviso di chi scrive, sarebbe dovuta passare attraverso l'eliminazione di tali "trattamenti di favore" e per una vera razionalizzazione della spesa ma, soprattutto, per una politica del lavoro indirizzata verso la creazione di una maggiore e certo più' stabile occupazione. Sull'ultimo punto la riforma del lavoro rappresenta solo una chimera.

Valerio Pollastrini

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