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sabato 31 ottobre 2015

Cassazione - occupa la stanza del nuovo direttore: il licenziamento è illegittimo

Il caso di specie è quello di una lavoratrice alle dipendenze di una farmacia ospedaliera che, declassata dal ruolo di direttrice a quello di coadiutrice, aveva occupato la stanza del nuovo direttore, ignorando l’invito ad allontanarsene. Per tale ragione, alla donna era stato irrogato il licenziamento per giusta causa.

Tuttavia, nella sentenza n.21734 del 26 ottobre 2015, la  Corte di Cassazione ha ritenuto illegittimo il recesso, non avendo ravvisato in una simile infrazione una colpa sufficiente a minare in maniera irrimediabile il vincolo fiduciario posto alla base del rapporto di lavoro.

Sul punto, infatti, gli ermellini hanno chiarito che, nonostante l’evidente insubordinazione della lavoratrice, la sua condotta, di fatto, non avendo arrecato nocumento alcuno all’attività aziendale, non poteva essere ricondotta al concetto di giusta causa di cui all'art.2119 del codice civile.

Dott. Valerio Pollastrini

Corte di Cassazione, Sentenza n.21734 del 26 ottobre 2015

Svolgimento del processo

Con sentenza depositata l'8.9.12 la Corte d’appello di Roma rigettava - per quel che rileva nella presente sede - il gravame dell'A.C.I.S.M.O.M. - Associazione dei Cavalieri Italiani del Sovrano Ordine di Malta, contro la sentenza n. 3888/08 del Tribunale capitolino che aveva dichiarato illegittimo il licenziamento disciplinare intimato il 6.2.06 alla dott.ssa V. O., con l’ordine di reintegra e le conseguenze economiche di cui all’art. 18 Stat.

Per la cassazione della sentenza ricorre l'A.C.I.S.M.O.M. - Associazione dei Cavalieri Italiani del Sovrano Ordine di Malta, affidandosi a tre motivi, poi ulteriormente illustrati con memoria ex art. 378 c.p.c.

L'intimata resiste con controricorso e spiega ricorso incidentale condizionato basato su un solo motivo, al quale resiste con controricorso la ricorrente principale.

Motivi della decisione

1- Preliminarmente ex art. 335 c.p.c. si riuniscono i ricorsi in quanto aventi ad oggetto la medesima sentenza.

Sempre in via preliminare deve darsi atto che non risulta agli atti di questa S.C. l’iscrizione a ruolo dell’autonomo ricorso per cassazione della dott.ssa O. che, secondo quel che si legge nel controricorso e nella memoria ex art. 378 c.p.c. dell’ACISMOM, sarebbe stato notificato il 9.9.13, dunque dopo la notifica del controricorso con ricorso incidentale da parte della dott.ssa O. medesima.

Ad ogni modo, tale separato e successivo ricorso sarebbe stato inammissibile per avvenuta consumazione del potere di impugnare (cfr., ex aliis, Cass. n. 24219/06; Cass. n. 23976/04; Cass. n. 23/2000; Cass. n. 11386/99; Cass. n. 7272/97; Cass. n. 6471/93).

2- Con il primo motivo il ricorso principale lamenta violazione di varie norme di legge nella parte in cui l'impugnata sentenza ha ritenuto che la dott.ssa O., una volta cessata dall'incarico di direttrice della farmacia dell'Ospedale S. Giovanni Battista di Roma e destinata a mansioni di farmacista coadiutore, non rivestisse più un incarico dirigenziale e che, per l'effetto, potesse godere della tutela reale del posto di lavoro prevista dall'art. 18 legge n. 300/70. Obietta a riguardo parte ricorrente non solo che la qualifica di farmacista coadiutore è anch'essa di natura dirigenziale come quella di direttore di farmacia, ma anche che, se l'incarico dirigenziale è a termine e può scadere senza che il dipendente abbia diritto alla sua riassegnazione o ad altro analogo incarico, ciò non significa che dalla categoria dirigenziale si possa retrocedere a quella impiegatizia, come desumibile dall'art. 15 ter d.lgs. n. 502/92 e dall'art. 19 d.lgs. n. 165/01. Confermano - prosegue il ricorso - la natura dirigenziale della qualifica di farmacista coadiutore gli artt. 32 e ss. d.P.R. n. 483/97 e l'art. 1 CCNL 1994-97 della dirigenza sanitaria, nonché la sentenza n. 16392/11 delle S.U. di questa S.C.

Con il secondo motivo il ricorso principale denuncia violazione dell'art. 2119 c.c. e vizio di motivazione nella parte in cui la gravata pronuncia, nel valutare la giusta causa di recesso, non ha tenuto conto della qualità delle parti e della delicatezza delle mansioni dirigenziali di farmacista coadiutore della dott.ssa O., alla luce delle quali la sua condotta - consistita nel rifiutarsi di espletare le mansioni assegnatele e di barricarsi nella stanza riservata al direttore della farmacia - costituiva sicuramente grave e plateale insubordinazione e, quindi, giusta causa di licenziamento.

Con il terzo motivo il ricorso principale deduce, in subordine, violazione e falsa applicazione dell'art. 18 Stat. e dell'art. 10 legge n. 604/66 per avere la sentenza impugnata riconosciuto alla dott.ssa O. la tutela reale nel posto di lavoro nonostante la qualifica dirigenziale ricoperta e l'inapplicabilità, nel caso di specie, dell'art. 51 d.lgs. n. 165/01 (che, nell'impiego pubblico contrattualizzato, estende la tutela reale del posto di lavoro anche ai dirigenti), atteso che sia la costituzione del rapporto di lavoro quale farmacista coauditore sia l'assegnazione dell'incarico di direttore di farmacia (ossia direttore di struttura complessa) erano avvenute iure privatorum, senza alcun coinvolgimento di procedure ad evidenza pubblica.

3- Il primo e il terzo motivo del ricorso principale, da esaminarsi congiuntamente perché aventi ad oggetto l'applicabilità dell'art. 18 Stat., sono da disattendersi, essendo irrilevante che quella di farmacista coadiutore sia o non una qualifica dirigenziale.

Infatti, in virtù dell’espresso disposto dell’art. 51 co. 2° d.lgs. n. 165/01, la legge n. 300/70, con le successive modificazioni e integrazioni, si applica alle pubbliche amministrazioni a prescindere dal numero dei dipendenti.

La giurisprudenza di questa Corte Suprema è assolutamente costante nel senso dell’applicabilità anche dell’art. 18 Stat. al pubblico impiego contrattualizzato e ai relativi dirigenti quanto al rapporto fondamentale sottostante, mentre all’incarico dirigenziale si applica la disciplina del rapporto a termine sua propria (cfr. Cass. n. 8077/14; Cass. n. 18198/13; Cass. n. 2233/07).

E che il rapporto di lavoro dei medici dipendenti dell'ACISMOM sia equiparato in tutto e per tutto a quello dei medici del S.S.N. si ricava dall’art. 4, co. 13, d.lgs. n. 502/92, secondo cui i rapporti tra le strutture del Sovrano Militare Ordine di Malta e il S.S.N., relativamente all’attività assistenziale, sono disciplinati da apposito accordo da stipularsi con il Governo italiano.

Da tale accordo - raggiunto il 21.12.2000 e ratificato con legge n. 157/03 - emerge che l’attività svolta, nel quadro dell'assistenza sanitaria, dalle istituzioni del Sovrano Militare Ordine di Malta è posta su un piano identico rispetto a quella delle omologhe strutture pubbliche italiane (cfr., in motivazione, Cass. S.U. n. 11513/12 e Cass. S.U. n. 3360/92), con conseguente applicazione al personale di tali strutture equiparate (a quelle pubbliche italiane) degli artt. 15 e ss. d.lgs. n. 502/92, dei contratti collettivi di lavoro del comparto sanitario e, più in generale, di tutta la disciplina del pubblico impiego contrattualizzato del settore sanitario.

4- Anche il secondo motivo del ricorso principale è infondato.

La dott.ssa O. è stata licenziata - secondo quel che si legge nella gravata pronuncia - per tre mancanze disciplinari:

a) per essersi ingiustificatamente assentata dal lavoro dal 25.12.05 all'11.1.06; b) per essersi rifiutata di svolgere le mansioni di farmacista coadiutore; c) per aver occupato la stanza destinata al preposto al servizio farmacia senza poi ottemperare all'invito rivoltole affinché se ne allontanasse.

La sussistenza delle prime due mancanze è stata esclusa in punto di fatto dalla Corte territoriale, sicché rispetto ad esse non è nemmeno a parlarsi di valutazione della proporzionalità dell'infrazione alla luce del particolare rapporto fiduciario proprio del lavoro dirigenziale.

Quanto all'ultima mancanza, i giudici di merito ne hanno correttamente escluso l'idoneità a costituire giusta causa di recesso.

La Corte condivide tale conclusione, non sussistendo la lamentata violazione dell’art. 2119 c.c.

Invero, premesso che anche in sede di legittimità (cfr., ex aliis e da ultimo, Cass. n. 14324/15 e Cass. 4984/14) va esaminata l’astratta riconducibilità dell’addebito al concetto di giusta causa contenuto nell’art. 2119 c.c. (norma caratterizzata da contenuto assiologico variabile, alias c.d. norma elastica), è indubbio che la residua infrazione contestata all’odierna controricorrente non sia tale da integrare un inadempimento tanto grave da minare in modo irrimediabile il vincolo fiduciario tra le parti, trattandosi di un contegno di per sé insuscettibile di creare serio nocumento all’attività di parte datoriale e alla sua organizzazione gerarchica.

Per analoghe ragioni non merita censura l’apprezzamento a riguardo eseguito in punto di fatto, con motivazione immune da vizi logico-giuridici (in quanto tale insindacabile in sede di legittimità: cfr., ex aliis, Cass. n. 7948/11), dai giudici d’appello, anche essi giunti alla conclusione (così come in prime cure aveva fatto il Tribunale) che neppure nel concreto dei risvolti fattuali della vicenda in oggetto possa parlarsi di mancanza disciplinare di gravità tale da meritare una sanzione espulsiva.

5- L'integrale rigetto del ricorso principale assorbe la disamina di quello incidentale condizionato, con il quale la dott.ssa O. in sostanza coltiva, sotto forma di denuncia di violazione e falsa applicazione dell'art. 23 CCNL 8.6.2000 per

R.G. n. 5958/13 Ud. 8.7.15 ACISMOMc. O. Estensore: dott. Antonio Manna la dirigenza dell'area medico-veterinaria, un ulteriore motivo di illegittimità del licenziamento che era stato disatteso dalla Corte territoriale, vale a dire il difetto - nell’iter disciplinare - del parere preventivo del Comitato dei Garanti.

6- In conclusione, il ricorso principale è da rigettarsi, con assorbimento di quello incidentale condizionato.

Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Riuniti i ricorsi, rigetta il ricorso principale, dichiara assorbito quello incidentale condizionato e condanna parte ricorrente principale a pagare alla ricorrente incidentale le spese del giudizio di legittimità, liquidate in euro 100,00 per esborsi e in euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge.

Ai sensi dell’art. 13 co. 1 quater d.P.R. n. 115/2002, come modificato dall’art. 1 co. 17 legge 24.12.2012 n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del co. 1 bis dello stesso articolo 13.

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