Corte di Cassazione, Sentenza
n.17435 del 2 settembre 2015
Svolgimento del
processo
Con sentenza del 12
dicembre 2012 la Corte d’appello di Roma ha confermato la sentenza del
Tribunale di Roma dell’8 giugno 2010 con la quale era stata rigettata la
domanda di D.R. intesa ad ottenere la dichiarazione dell'illegittimità del
licenziamento irrogatogli dalla F. Azienda Farmasociosanitaria Capitolina in
data 2 marzo 2006. La Corte territoriale ha motivato tale pronuncia
considerando che i fatti addebitati al ricorrente con contestazione del 9
gennaio 2006 ed avvenuti fra il 19 dicembre 2005 ed il 4 gennaio 2006, e che
richiama anche i fatti addebitati con una precedente lettera di contestazione
del 19 dicembre 2005, non sono mai stati contestati dal lavoratore che ha
invece lamentato un atteggiamento complessivamente persecutorio nei suoi confronti
che ha causato un clima di tensione che non giustificherebbe comunque
l’impugnato licenziamento. La Corte capitolina ha considerato che l’espletata
istruttoria non ha confermato l’atteggiamento persecutorio lamentato dal
lavoratore, mentre ha confermato l’esistenza di un clima di tensione
nell’azienda che giustifica il disposto licenziamento.
Il D. ha proposto
ricorso per cassazione avverso tale sentenza articolato su sette motivi.
Resiste la F. con
controricorso.
Il ricorrente ha
presentato memoria.
Motivi della decisione
Con il primo motivo si
lamenta violazione di norme di legge, violazione e falsa applicazione di norme
di diritto e di principi giuridici; omesso esame di un fatto decisivo della
causa; artt. 2119 cod. civ., 7 legge n. 300 del 1970, 44 CCNL Aziende
Farmaceutiche, ai sensi dell’art. 360, punti 3, 4 e 5 cod. proc. civ. In
particolare si deduce che il licenziamento sarebbe stato intimato oltre il
termine perentorio stabilito dalla contrattazione collettiva, termine comunque da considerarsi integrante l’elemento
essenziale della norma sostanziale art. 2119 cod. civ.
Con il secondo motivo
si deduce violazione di norme di legge, violazione e falsa applicazione di
norme di diritto e di principi giuridici; omesso esame di un fatto decisivo
della causa; artt. 2 della legge n. 604 del 1966, 7 della legge n. 300 del
1970, 44 comma 9 CCNL Aziende Farmaceutiche ex art. 360, punti 3 e 5 cod. proc.
civ. In particolare si lamenta che il licenziamento sarebbe inefficace poiché
l’azienda avrebbe omesso di fornire specifici motivi benché ritualmente
richiesti ex art. 2 della legge 604 del 1966.
Con il terzo motivo si
assume violazione di norme di legge, violazione e falsa applicazione di norme
di diritto e di principi giuridici; artt. 2119 cod. civ., 5 legge n. 604 del
1966, 111 Cost., 99, 112 e 113 cod. proc. civ. ex art. 360, punti 3, 4 e 5 cod.
proc. civ. In particolare si deduce che l’azienda avrebbe licenziato il
lavoratore per episodi contestati con lettera del 19 dicembre 2005; il lavoratore
avrebbe impugnato il licenziamento poiché infondato; i giudici di merito lo
avrebbero invece ritenuto fondato sulla base di una diversa lettera di
contestazione del 9 gennaio 2006 i cui episodi sono stati ritenuti dall’azienda
implicitamente giustificati dal lavoratore e, per questo, mai sanzionati.
Con il quarto motivo
si lamenta violazione di norme di legge, violazione e falsa applicazione di
norme di diritto e di principi giuridici; artt. 5 della legge n. 604 del 1966,
2119 cod. civ., 111 Cost., 99, 112, 113, 115 e 116 cod. proc. civ. ex art. 360,
punti 3, 4 e 5 cod. proc. civ. In particolare si deduce che la Corte d’appello
avrebbe ritenuto fondati i fatti posti a base del licenziamento poiché il
lavoratore, non provando la scriminante delle provocazioni, implicitamente non
li avrebbe contestati, senza considerare che tale prova era stata ammessa per
la diversa domanda di risarcimento danni da persecuzione, che sui fatti che
hanno portato al licenziamento non era stata ammessa alcuna prova, e che per
legge, in ogni caso, l’onere della prova dei fatti integranti la giusta causa
di licenziamento è a carico del datore.
Con il quinto motivo
si assume violazione di norme di legge, violazione e falsa applicazione di
norme di diritto e di principi giuridici; artt. 5 della legge 604 del 1966,
2119 cod. civ., 111 Cost., 115 e 116 cod. proc. civ. ex art. 360, punti 3 e 5
cod. proc. civ" In particolare si deduce che la Corte d’appello avrebbe
ritenuto fondati i fatti posti a base del licenziamento sulla base di
dichiarazioni rese prima e fuori dal processo e benché contestate dal
lavoratore, così violando le regole del processo.
Con il sesto motivo si
lamenta violazione di norme di legge, violazione e falsa applicazione di norme
di diritto e di principi giuridici;vizio di omesso esame di un fatto decisivo
per il giudizio; artt. 2119 cod. civ., 7 legge 300 del 1970, 1 e segg. legge
604 del 1966, 112, 113, 115 e 116 cod, proc. civ., 111 Cost. ex art. 360, punti
3 e 5 cod. proc. civ. In particolare si deduce che la Corte d’appello non
avrebbe considerato quanto stabilito dall’art. 2119 cod. civ. che dispone la
ricorrenza di elementi oggettivi e soggettivi per integrare una grave lesione
del vincolo fiduciario, e non avrebbe considerato che il licenziamento
risultava totalmente privo di prova, quindi carente degli elementi costitutivi
stabiliti per legge, ed avrebbe ritenuto integrante la giusta causa fatti
estranei alla contestazione ed alla motivazione formulata dalla stessa azienda,
non provati in giudizio e ritenuti giustificati dall’azienda.
Con il settimo motivo
si deduce violazione di norme di legge, violazione e falsa applicazione di
norme di diritto e di principi giuridici;vizio di omesso esame di un fatto
decisivo per il giudizio; artt. 2119 cod. civ., 27 Cost., 1175 e 1206 cod.
civ., 1 e segg. legge 604 del 1966, ex art. 360, punti 3 e 5 cod. proc. civ. In
particolare si afferma che i giudici dell’appello non avrebbero considerato
l’elemento essenziale e costitutivo della giusta causa di licenziamento
costituito dalla proporzione fra i fatti contestati e la sanzione, tenendo
conto dell’elemento soggettivo della condotta e l’atteggiarsi complessivo del
lavoratore.
Il primo motivo è
inammissibile. La censura è infatti relativa a circostanza non trattata nella
sentenza impugnata per cui, in mancanza di precisa indicazione del modo con cui
era stata proposta la doglianza nei precedenti gradi di merito, deve ritenersi
che il motivo in questione sia nuovo e quindi inammissibile non essendo
consentito sollevare in sede di legittimità questioni non precedentemente proposte
nei gradi di merito.
Anche il secondo
motivo si riferisce a doglianza non trattata nella sentenza impugnata, per cui
valgono le medesime argomentazioni di cui al primo motivo, con la conseguente
inammissibilità del motivo in assenza di precise indicazioni sulle modalità con
cui è stata proposta la doglianza nei gradi di merito.
Il terzo motivo è
infondato. Con esso sostanzialmente il ricorrente deduce che la sentenza
impugnata avrebbe fondato la propria motivazione sugli addebiti contenuti
nell’atto di contestazione del 9 gennaio 2006 per i quali il lavoratore non era
mai stato sanzionato, mentre il licenziamento era stato in realtà comminato
sulla base della diversa precedente contestazione del 20 dicembre 2005. In
realtà il ricorrente confonde le due contestazioni che invece la sentenza
impugnata, nella sua chiara motivazione, considera nella loro esatta portata,
nel senso che il licenziamento per cui è processo si riferisce a tutti i fatti
contenuti nelle due contestazioni del 20 dicembre 2005 e del 9 gennaio 2006,
per cui, da un lato non appare esatta l’affermazione del ricorrente secondo cui
i fatti addebitati con la seconda delle due contestazioni non sarebbero stati
sanzionati, e dall’altro appare invece esatta e conseguente l’affermazione contenuta
nella stessa sentenza secondo cui il lavoratore appellante nulla ha dedotto in
merito ai fatti contenuti nella prima contestazione soffermandosi solo sui
fatti di cui alla seconda contestazione deducendo, erroneamente come detto, che
per i medesimi non era stato sanzionato.
Anche in ordine al
quarto motivo il ricorrente opera una confusione, in particolare fra i fatti
addebitati, il cui onere è a carico del datore di lavoro, con quella
dell’atteggiamento persecutorio tenuto dallo stesso datore e che è carico del
lavoratore. Nel caso in esame la sentenza impugnata, ha ritenuto non contestati
i fatti addebitati al lavoratore, e non provato, da parte di questi,
l’atteggiamento persecutorio nei suoi confronti. La sentenza impugnata ha
correttamente applicato il principio di diritto secondo cui, ogni volta che sia
posto a carico di una delle parti un onere di allegazione, l’altra ha l’onere
di constare il fatto allegato nella prima difesa utile, dovendo, in mancanza,
ritenersi pacifico e non più gravata la controparte del relativo onere
probatorio (Cass. 12636/2005). La stessa Corte d’appello ha ritenuto, con
giudizio di fatto non censurabile in questa sede, che il lavoratore non ha
contestato i fatti addebitatigli, anzi ammettendoli ritenendoli solo giustificati
quale reazione all’atteggiamento datoriale nei suoi confronti, e concentrando
la sua difesa sulla sussistenza di un comportamento persecutorio che è stato
ritenuto non provato, parimente con giudizio di fatto non censurabile in sede
di legittimità.
Il quinto ed il sesto
motivo sono inammissibili in quanto si riferiscono alla valutazione del
materiale probatorio che, a detta del ricorrente, non giustificherebbe le
conclusioni a cui è pervenuto il giudice dell’appello secondo cui i fatti
addebitati, da un lato non sono stati contestati, e dall’altro hanno trovato
conferma nella prova documentale acquisita, affermazioni, come detto, non
censurabili in sede di legittimità se non per incompletezza o illogicità che,
nel caso concreto, non sussistono.
Il settimo motivo non
è fondato. Per costante giurisprudenza di questa Corte il giudizio di
proporzionalità della sanzione costituisce giudizio di fatto come tale
riservato al giudice del merito e non censurabile in sede di legittimità se,
congruamente e logicamente motivato. Nel caso in esame, fra l’altro, la Corte
d’appello ha anche verificato la legittimità del licenziamento sulla base del
CCNL di categoria applicabile alla fattispecie e che espressamente prevede il
licenziamento senza preavviso per i comportamenti contestati al lavoratore nel
caso in esame (comportamento ingiurioso o minaccioso durante il servizio,
violazione di ogni norma di legge riguardante il deposito, la vendita o il
trasporto di medicinali).
Il ricorso deve dunque
essere rigettato.
Le spese di giudizio,
liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso;
Condanna il ricorrente
al pagamento delle spese del presente giudizio liquidate in complessive €
100,00 per esborsi ed € 3.000,00 per compensi professionali oltre accessori di
legge:
Ai sensi dell’art. 13
comma 1 quater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei
presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo
a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma
del comma 1-bis dello stesso articolo 13.
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