Dal Rapporto Clusit 2015 emergono dati importanti in materia
di cybersecurity in Italia e nel mondo. Ma come è possibile proteggersi, in
particolare per un grande ente pubblico impegnato in un significativo processo
di digitalizzazione dei servizi? L’analisi del direttore centrale DcOd
dell’Istituto, Stefano Tomasini
ROMA – Inail in prima linea sul fronte della sicurezza
informatica. Le strategie promosse dall’Istituto in materia di cybersecurity
sono state oggetto di un intervento di Stefano Tomasini, responsabile della
direzione centrale Organizzazione digitale (DcOd) dell’Istituto, in occasione
dell’evento organizzato dalla DcOd in collaborazione con l’Associazione
italiana per la sicurezza informatica (Clusit).
Dalla DcOd una
giornata di studio e di confronto a tutto campo.
Attraverso l’evento – dal titolo “La tutela del patrimonio
al centro della strategia ICT” – la DcOd ha voluto coinvolgere i colleghi in un
incontro formativo e di confronto col Clusit con l’obiettivo di diffondere una
corretta cultura sulla sicurezza delle informazioni. Dopo la presentazione
della strategia e delle iniziative di sicurezza assunte da Inail, la giornata
di studio è stata articolata attraverso diversi seminari formativi che hanno
trattato il tema sicurezza anche negli aspetti tecnici e legali. Nella
mattinata, è stato presentato il Rapporto Clusit 2015 sulla sicurezza ICT in
Italia: frutto del lavoro di un centinaio di esperti del settore, il documento
traccia un profilo neutrale e approfondito sulla sicurezza ICT nel nostro Paese
e a livello internazionale, analizzando gli eventi di cyber-crime e incidenti
informatici più significativi del 2014 e le tendenze per il 2015.
A livello mondiale
una sempre maggiore diffusione di vulnerabilità.
Le risultanze del Rapporto – basato sull’analisi di un
campione rappresentativo di 900 significativi incidenti informatici avvenuti a
livello globale nel 2014 – definiscono uno scenario di vulnerabilità che
interessa ogni genere di organizzazione, tanto nel pubblico quanto nel privato.
“Il rischio teorico di essere colpiti da un attacco – valuta il Rapporto – è
diventato in pratica, nel breve/medio termine, una certezza che può interessare
tutti: il professionista che vede i suoi dati criptati, la pmi che scopre
(magari con mesi o anni di ritardo) di essere stata derubata del proprio
know-how, la Pa che si ritrova nell’impossibilità di offrire servizi essenziali
ai cittadini, la grande impresa che subisce un danno economico rilevante o
assiste al furto di milioni di dati personali dei propri clienti”.
Italia ai primi posti
per diffusione del malware.
Solo una decina di casi sui 900 del campione riguarda il
nostro Paese, ma il dato non deve trarre in inganno. Il numero è certamente
poco plausibile – stima il Rapporto – dal momento che l’Italia si posiziona
comunque ai primi posti nel mondo per diffusione del malware (i software creati
per causare danni a un computer, ai dati degli utenti o a un sistema
informatico su cui viene eseguito). A conferma di questa realtà anche lo studio
sui cyber-crimini condotto nel 2014 dal Ponemon Institute, secondo il quale il
39% delle aziende italiane intervistate ha dichiarato di avere subito almeno un
attacco andato a buon fine nei 12 mesi precedenti. Ulteriori studi di grandi
aziende del settore, che hanno collaborato alla stesura del Rapporto fornendo
dati e statistiche, valutano per l’Italia un tasso di esposizione al malware
superiore alla media degli altri paesi.
Un approccio
pervasivo al tema della sicurezza digitale.
Una valutazione complessiva della situazione italiana–
analizza, in definitiva, il Rapporto Clusit – porterebbe a ritenere la bassa
percentuale di attacchi gravi di dominio pubblico “una conseguenza di uno stato
di cronica mancanza di informazioni che affligge il nostro Paese su questo
tema, il che rappresenta un ulteriore vantaggio per criminali e
malintenzionati”. La realtà è, invece, e tale da dover indurre tutti quanti –
istituzioni, imprese, cittadini – a tenere sempre alta la guardia e suggerisce
la necessità di una diffusione il più possibile capillare di una corretta
cultura della sicurezza in tutti i suoi aspetti. “L’approccio del Rapporto è
totalmente condivisibile – valuta Tomasini – Oggi la sicurezza nel mondo
digitale non è un ambito che interessa soltanto il mondo dell’IT, ma deve
rappresentare un approccio pervasivo che deve tradursi in una consapevolezza
generale del problema e, necessariamente, in comportamenti adeguati da attivare
a tutti i livelli organizzativi”.
Nel Piano strategico
2014-2016 un nuovo modello di governo dell’IT pubblico.
Un nuovo modello di governo dell’IT pubblico è alla base del
Piano strategico 2014-2016, il documento di indirizzo promosso dalla DcOD che
indica – per il medio termine – le linee operative e di intervento in grado di
sostenere, in modo coerente, una ridefinizione radicale e innovativa delle
modalità di fruizione digitale dei servizi dell’Inail da parte di tutti i suoi
stakeholder: aziende, lavoratori e intermediari. Dalle potenzialità permesse
dallo “smart working” a una “fruizione” intensiva del patrimonio informativo
dell’Istituto – capace di elaborare i dati trasformandoli in conoscenza
autentica – fino alla definizione dell’Inail quale polo erogatore di servizi IT
anche a beneficio di altre pubbliche amministrazioni italiane, lo scenario
“Digital” previsto dal Piano è, senza dubbio, fortemente sfidante e innovativo,
sia dal punto di vista tecnologico che organizzativo. “In tale prospettiva
appare evidente – valuta Tomasini – come la scelta consapevole di perseguire
questa vision abbia delle implicazioni notevoli anche in termini di sicurezza,
rendendola risorsa essenziale per la garanzia di raggiungimento dei nostri
obiettivi”.
Un approccio
trasversale in tutti i processi di lavoro.
Proprio in virtù di questa complessità, il ruolo della
sicurezza è stato qualificato da una “trasversalità” che la rende elemento
onnipresente in tutte le linee di azione del Piano strategico. “Si tratta di un
approccio che abbiamo voluto sostanziare in DcOd anche a partire dalle recenti
revisioni organizzative e dei processi di lavoro, cercando di introdurre
competenza in materia di sicurezza all’interno di ciascun processo e di ciascun
ufficio – afferma Tomasini – Per troppo tempo si è pensato alla sicurezza IT
come a un’entità a sé stante, ma è un’impostazione ormai abbondantemente
superata. Se l’Inail vuole essere a tutti gli effetti un’istituzione in grado
di esprimere il proprio valore nel rapporto continuo con l’utenza, e se la
digitalizzazione gioca in tale rapporto un ruolo fondamentale, allora la
sicurezza IT non può essere un’entità autonoma e isolata, ma deve configurarsi
essa stessa come espressione di questo valore intrinseco”.
La sicurezza IT come
“elemento virtuoso” dal valore aggiunto.
I risultati di questa impostazione si stanno già vedendo. Se
l’Inail è riconosciuto già adesso come uno dei soggetti pubblici maggiormente
avanzati sul fronte della digitalizzazione dei servizi, anche la sicurezza
informatica si sta affermando come “elemento virtuoso” in questo complesso
processo di sviluppo. “Non siamo certo una infrastruttura critica o un
bersaglio per gli attivisti, ma le minacce comunque esistono, sono reali e in
DcOd le fronteggiamo ogni giorno, anche quando esternamente non ne vediamo gli
effetti – sostiene Tomasini –L’azione silente della sicurezza, esercitata
quotidianamente, rappresenta per l’Istituto un risultato importante: ogni
servizio applicativo che resiste a un tentativo di spegnerlo è, infatti, per
noi un valore, così come ogni click day che si chiude regolarmente, ogni utenza
dei sistemi informativi utilizzata esclusivamente dal suo legittimo titolare e
ogni dato sulla salute di un infortunato gestito senza finire nelle mani di chi
non deve averlo”.
Il fattore umano come
elemento strategico.
Ma il conseguimento degli obiettivi di sicurezza non è
soltanto una questione esclusivamente tecnologica. “Come in tutti i processi di
vasta dimensione e dove le dinamiche del cambiamento sono fortemente
accelerate, al fattore organizzativo e a quello tecnologico deve concorrere
necessariamente anche quello umano – conclude Tomasini – In particolare è
proprio quest’ultimo l’elemento che ci garantisce di governare la tecnologia
senza esserne schiavi, e soprattutto, la capacità di diventare noi stessi, coi
nostri comportamenti ed esercitando le giuste attenzioni , un elemento di
sicurezza e di mitigazione del rischio”.
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