IL TESTO ORGANICO DELLE TIPOLOGIE CONTRATTUALI:
NOVITA’ IN TEMA DI LAVORO A TEMPO PARZIALE E
CONTRATTO DI LAVORO INTERMITTENTE
Considerazioni
introduttive
Con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale n. 144 del 24
giugno 2015, trova attuazione, dal 25 giugno 2015, il Decreto Legislativo 15
giugno 2015, n. 81, conformemente a quanto stabilito dall’art. 1 (co. 7) della
L. n. 183/2014, il quale delega il Governo ad emanare un decreto volto a “riordinare
i contratti di lavoro vigenti per renderli maggiormente coerenti con le attuali
esigenze del contesto occupazionale e produttivo”.
Nel presente contributo saranno analizzate quelle che sono
le novità principali relative rapporto di lavoro part-time ed intermittente.
Lavoro a tempo
parziale (Artt. da 4 a 12)
L’intento della riforma, che nel D.Lgs 81/2015 emerge a caratterizzare
le modifiche della disciplina del contratto di lavoro a tempo parziale, pare
teso a garantire certezza e flessibilità al rapporto di lavoro, assicurando l’applicazione
piena della disciplina anche nelle remote ipotesi di assenza di previsioni specifiche
da parte della contrattazione collettiva.
L’obiettivo è fissato assegnando da un lato alle parti il
potere di regolare il rapporto di lavoro, dall’altro prevedendo contenuti legali
puntuali, elementi che, entrambi, consentono la piena attuazione di ogni
aspetto del contratto part-time, a prescindere da una specifica disciplina contrattuale.
Per la verità occorre anche sottolineare che, finalmente, la disciplina
contenuta nel decreto n. 81/2015 si applica indistintamente al settore pubblico
e al settore privato.
Contratto di lavoro
(art. 5)
Le nuove disposizioni confermano le definizioni normative
già previste negli artt. 2 e 8 del D.Lgs n. 61/2000, oggi integralmente abrogato
dopo l’entrata in vigore del presente Decreto, anche se non mancano alcune novità
rilevanti. La prima nota da evidenziare è che scompare, almeno nella
terminologia, la distinzione tra le tre tipologie di part-time (orizzontale,
verticale e misto) alle quali si era abituati.
È una semplificazione più formale che sostanziale, infatti
l’art. 5, comma 2 recita: “Nel contratto di lavoro a tempo parziale è contenuta
puntuale indicazione della durata della prestazione lavorativa e della
collocazione temporale dell'orario con riferimento al giorno, alla settimana,
al mese e all'anno.”
Appare evidente, quindi, che pur avendone eliminato la distinzione
formale, i concetti e i modelli di part-time orizzontale, verticale e misto
permangono nella descrizione dell’orario di lavoro che dovrà essere riportata
nel contratto individuale da stipularsi sempre in forma scritta ai fini della prova
(art. 5, comma 1).
Informazione alle
rappresentanze sindacali
L’art. 2 co. 2 del D.Lgs. n. 61/2000 poneva a carico del
datore di lavoro l’obbligo di “informare le rappresentanze sindacali aziendali,
ove esistenti, con cadenza annuale, sull'andamento delle assunzioni a tempo
parziale, la relativa tipologia ed il ricorso al lavoro supplementare.”
Nel nuovo Decreto non è riscontrabile una disposizione
analoga, pertanto, stante la totale abrogazione del D.Lgs. n. 61/2000, sembra
possibile affermare che in materia di informazioni alle rappresentanze
sindacali aziendali assumeranno rilevanza esclusiva i soli obblighi previsti
dalla contrattazione collettiva.
Prestazione di lavoro
supplementare e straordinario(Art. 6 c.1-3)
Novità in materia di lavoro da svolgere oltre l’orario
previsto dal contratto individuale.
In particolare, il regime del lavoro supplementare che il
datore di lavoro può richiedere al lavoratore viene consentito anche in caso di
mancata regolamentazione della contrattazione collettiva.
Infatti, se da un lato è confermato che i contratti
collettivi di qualsiasi livello potranno regolamentare il numero massimo delle
ore di lavoro che possono essere svolte oltre l’orario concordato con il
contratto a tempo parziale, nel limite dell’orario normale di lavoro per il
tempo pieno, nonché la relativa maggiorazione spettante, dall’altro è previsto
che in caso di assenza di regolamentazione contrattuale il datore di lavoro
possa comunque richiederle.
Specificamente potranno essere richieste al lavoratore prestazioni
di lavoro supplementare in misura non superiore al 25 per cento delle ore di
lavoro settimanali concordate e tali ore verranno retribuite con una
maggiorazione del 15 per cento della retribuzione oraria globale di fatto,
comprensiva dell'incidenza della retribuzione delle ore supplementari sugli istituti
retributivi indiretti e differiti.
Il lavoratore potrà comunque rifiutare di svolgere il lavoro
supplementare in assenza di previsioni contrattuali collettive ove ciò sia
giustificato da comprovate esigenze lavorative, di salute, familiari o di
formazione professionale.
Viene poi consentito lo svolgimento di prestazioni di lavoro
straordinario, ovvero quelle prestazioni oltre l’orario normale di lavoro che
eccedono la parte di prestazioni considerabili lavoro supplementare senza più
considerare la limitazione prevista dal
previgente art. 3 c. 5 D.Lgs. 61/2000 il quale ne
circoscriveva l’uso alle tipologie di part-time verticale o misto.
Clausole elastiche
(Art. 6 c. 4-6)
Quello delle clausole elastiche costituisce un ulteriore
elemento di novità in quanto il legislatore, di fatto, assorbe, le clausole flessibili
all’interno della definizione delle clausole elastiche.
Il comma 4 dell’art. 6, infatti, recita che le parti possono
pattuire, per iscritto, clausole elastiche relative alla variazione della
collocazione temporale della prestazione lavorativa (in realtà questa era la
definizione delle clausole flessibili nella vecchia disciplina), ovvero relative
alla variazione in aumento della sua durata (clausola elastica).
Il Decreto in commento prevede anche per questa fattispecie una
disciplina legale, operante in assenza di regolamentazione contrattuale, che fa
da supporto all’accordo, comunque necessario, delle parti.
L’accordo delle parti, che deve essere certificato davanti
ad una delle commissioni individuate dall’art. 76 del D.Lgs. n. 276/2003 quali
competenti a gestire il procedimento di certificazione in materia di lavoro,
deve contenere, innanzi tutto ed a pena di nullità, l’indicazione di:
a) preavviso di due giorni lavorativi (art. 6, comma 5) a
carico del datore di lavoro che dispone la modifica per la comunicazione della
stessa al lavoratore;
b) condizioni e modalità delle possibilità di modifica della
collocazione temporale della prestazione o della variazione in aumento;
c) misura massima dell’aumento della prestazione lavorativa,
che in ogni caso non può essere superiore al limite del 25% della normale
prestazione annua a tempo parziale individuata dal contratto di lavoro (art. 6,
comma 6).
L’accordo, inoltre deve prevedere il riconoscimento al
lavoratore di una maggiorazione della retribuzione oraria pari al 15 per cento
della retribuzione oraria globale di fatto, comprensiva dell’incidenza della
retribuzione sugli istituti retributivi diretti e indiretti.
L’art. 6, comma 6 oltre a stabilire che le clausole
elastiche non disciplinate dal CCNL, devono essere pattuite dalle parti avanti alle
commissioni di certificazione, specifica anche che il lavoratore ha facoltà di
farsi assistere, nella procedura di certificazione, da un rappresentante
sindacale o da un avvocato o da un consulente del lavoro (ponendo quindi
l’accento sulla riserva di legge prevista dall’art. 1 L.12/79).
Diritto alla
trasformazione del rapporto di lavoro (art. 8)
La casistica connessa al riconoscimento di particolari
esigenze di salute o familiari, che già godono del riconoscimento di specifici diritti
in tema di trasformazione del rapporto di lavoro, da tempo pieno a part-time e
viceversa, risulta confermata e, in alcuni casi ampliata, dalla nuova disciplina.
In particolare il diritto alla trasformazione del rapporto
di lavoro da tempo pieno a parziale e la ricostituzione del rapporto a tempo
pieno a richiesta dell’interessato, già riconosciuto ai dipendenti affetti da
patologie oncologiche, risulta adesso esteso a qualunque caso di “gravi
patologie cronico degenerative ingravescenti”, mentre è del tutto nuovo il
diritto a sostituire il congedo parentale con la conversione del contratto di
lavoro da tempo pieno a part-time. La novità del diritto alla riduzione
dell’orario di lavoro, nei casi di gravi patologie, ha anche il riflesso
sociale di consentire, in alcuni casi, la conservazione del posto di lavoro
evitando il superamento del periodo di comporto. Occorre anche precisare che
qualora il lavoratore, o la lavoratrice, assistono una persona convivente con
totale e permanente inabilità lavorativa (esplicito è il richiamo all’art. 3
c.3, L. n. 104/1992) viene loro riconosciuta la priorità alla trasformazione
del contratto da tempo pieno a tempo parziale.
Di particolare interesse è la previsione contenuta nel comma
7 dell’art. 8 del Decreto; infatti il lavoratore, o la lavoratrice può chiedere,
per una sola volta, in luogo del congedo parentale, la trasformazione del
rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto di lavoro a tempo parziale per un
periodo corrispondente alla durata, anche residua, del congedo, con una
riduzione d’orario non superiore al 50%. La norma non aggiunge ulteriori
requisiti specifici per questo tipo di conversione che si pone in ogni caso come
un diritto del lavoratore il quale deve essere concesso entro i quindici giorni
successivi alla richiesta. Il rinvio esplicito al congedo parentale “spettante ai
sensi del capo V del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151”, consente
evidentemente di attingere a quelle norme per la disciplina di questa nuova
ipotesi di conversione, cui bisogna rifarsi quanto alla durata, condizioni di
riconoscimento e modalità e tempi della richiesta.
Lavoro intermittente (art. 13-18)
Il Decreto regolamenta il lavoro intermittente negli
articoli da 13ma 18, riproducendo, sostanzialmente, la normativa già contenuta nel
D.Lgs 276/2003, cosi come modificato dai vari interventi legislativi
succedutesi nel tempo.
Nello specifico l'articolo 13 comma 1 indica che il datore
di lavoro può utilizzare la prestazione lavorativa secondo le esigenze
individuate dai contratti collettivi di qualsiasi livello, anche (nel testo
previgente tale possibilità era posta come alternativa, infatti veniva indicata
la congiunzione disgiuntiva "ovvero" mentre ora viene utilizzato
“anche”) con riferimento alla possibilità di svolgere le prestazioni in periodi
predeterminati nell'arco della settimana, del mese o dell'anno.
Tale modifica consente quindi ai contratti di individuare
sia le esigenze ed anche i periodi in cui poter ricorrere alle prestazioni di
lavoro intermittente.
Viene quindi riproposto il ruolo essenziale della
contrattazione collettiva circa la regolamentazione del ricorso al lavoro a chiamata
e, solo in sua assenza, in via sussidiaria e cedevole, si prevede l'intervento
di un decreto ministeriale che ne individui i casi di utilizzo. Proprio l’anomia
contrattuale e la mancata emanazione del decreto hanno generato, tra i datori
di lavoro e gli addetti ai lavori, i maggiori dubbi operativi nel periodo immediatamente
alla pubblicazione in Gazzetta del decreto in commento. Infatti dal punto di vista
più strettamente pratico è necessario valutare se il lavoro a chiamata, dopo
l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 81/2015 (il 25 giugno 2015), sia ancora utilizzabile,
oltre che per i pochi CCNL che lo hanno disciplinato, (Studi professionali,
Commercio limitatamente al settore del marketing e pochissimi altri ancora)
anche per le attività discontinue indicate nella tabella del Regio Decreto 2657
del 1923.
Il dilemma nasce dal fatto che l’art. 13, comma 1 del
decreto prevede che, in mancanza di CCNL, i casi di utilizzo del contratto intermittente
sono individuati con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali.
Pertanto, secondo una interpretazione restrittiva, in attesa
dell’adozione del decreto, non si renderebbe più applicabile il richiamo al
R.D. n.2657/1923 contenuto nel DM 23/10/2004 in quanto trovava le sue ragioni,
peraltro transitoriamente, nell’abrogato articolo 40 del D.Lgs 276/2003.
In assenza di espressa previsione del legislatore pare comunque
opportuno evidenziare come l’art. 55 (abrogazioni e norme transitorie) del
D.Lgs n.81/2015 al comma 3 reciti: “sino all’emanazione dei decreti richiamati
dalle disposizioni del presente decreto legislativo, trovano applicazione le regolamentazioni
vigenti”. Secondo tale indicazione parrebbe che, anche in vigenza del D.Lgs.
n.81/2015, sia comunque possibile stipulare dei contratti a chiamata facendo
ancora riferimento alla tabella delle mansioni allegata al suddetto R.D. n.2657/1923.
Certamente è necessario un quanto mai opportuno chiarimento
ministeriale anche perché il legislatore, nel caso del contratto a tempo
determinato, nell’individuazione delle attività stagionali ha invece
espressamente evidenziato (si veda art. 21 c. 2) come sia applicabile la
previgente disciplina in attesa dell’emanazione del decreto ministeriale regolamentativo.
Per completezza occorre ricordare che il lavoro
intermittente può essere, in ogni caso, concluso con lavoratori di età superiore
a 55 anni e di età inferiore a 24 anni, (purché le prestazioni lavorative siano
svolte entro il venticinquesimo anno art. 13, comma 2).
Nel testo poi si possono riscontrare due distinte novità: la
prima, rinvenibile nell’art. 16 comma 5, laddove vengono disciplinate le conseguenze
connesse al rifiuto ingiustificato di rispondere alla chiamata. In particolare
si evidenzia che la previgente disciplina (art. 36 co. 6 del D.Lgs. n. 276/03)
affermava espressamente che il rifiuto di rispondere alla chiamata poteva
comportare da un lato, la restituzione della quota di indennità di
disponibilità riferita al periodo successivo all'ingiustificato rifiuto,
dall’altro “un congruo risarcimento del danno nella misura fissata dai contratti
collettivi o, in mancanza, dal contratto di lavoro”.
Tuttavia la nuova regolamentazione non fa più alcun
riferimento al congruo risarcimento, prevedendo come eventuali conseguenze
soltanto il licenziamento, nonché la perdita dell’indennità di disponibilità
relativa al periodo successivo all’ingiustificato rifiuto.
La seconda innovazione è riscontrabile nell’art. 17 relativo
al principio di non discriminazione. In via preliminare si rappresenta che
l’art. 38 del D.Lgs. n. 276/03 stabiliva espressamente che “per tutto il
periodo durante il quale il lavoratore resta disponibile a rispondere alla
chiamata del datore di lavoro non è titolare di alcun diritto riconosciuto ai lavoratori
subordinati ne' matura alcun trattamento economico e normativo, salvo
l'indennità di disponibilità “.
Tuttavia, la nuova disposizione del Decreto pur essendo
scritta sulla falsariga della precedente (soprattutto con riferimento alla maturazione
dei trattamenti economici e normativi) non riproduce la parte che escludeva la titolarità
di qualsiasi diritto riconosciuto ai lavoratori subordinati.
In passato la giurisprudenza facendo leva sull’assenza di titolarità
dei diritti, nonché sulla circostanza che il lavoratore non maturava alcun
trattamento economico/normativo, era giunta ad affermare con riferimento al
rapporto di lavoro intermittente senza obbligo di disponibilità, che “nel
momento in cui il datore di lavoro cessa le chiamate del lavoratore (o se si preferisce
le proposte di attuazione del regolamento negoziale predeterminato) non esiste
alcun rapporto tra le parti, inteso come fascio di situazioni giuridiche
soggettive passive e attive né sul versante retributivo né contributivo”,
ritenendo in radice esclusa anche l'applicazione delle tutele di cui l'art. 18
St. lav. (Tribunale di Perugia, sent. del 02.05.2014).
Ne consegue che l’abrogazione del disposto relativo alla
totale insussistenza di diritti potrebbe aprire in futuro qualche perplessità
in ordine alla fascia di prerogative spettanti ai soggetti che vertono in tale
situazione.
Norme di rinvio ai
contratti collettivi (art. 51)
In ultimo pare necessario evidenziare come, salvo diversa espressa
previsione, ogni volta in cui nel decreto vengono richiamati i contratti
collettivi per tali dovranno intendersi i contratti collettivi di qualsiasi livello
(nazionale, territoriale o aziendali) stipulati da (e non “dalle”, quindi si
ritiene sufficiente la sottoscrizione anche da parte di una sola sigla
sindacale) associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano
nazionale e i contratti collettivi stipulati dalle loro rappresentanze
sindacali aziendali ovvero dalla rappresentanza sindacale unitaria.
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