Corte di
Cassazione – Sentenza n.13377 del 30 giugno 2015
Svolgimento del
processo
Con la sentenza
non definitiva n. 8939 del 2006, la Corte d'appello di Roma, riformando
parzialmente la sentenza del Tribunale della stesse sede che aveva rigettato il
ricorso proposto da M.P.R., dichiarava che fra questi e l’E.R. s.p.a. era
intercorso un rapporto di lavoro subordinato a far tempo dall’aprile 1987 e
fino al luglio 1991, periodo durante, il quale egli aveva collaborato con il
quotidiano (...) in qualità di libero professionista, dopo che dal 1960 vi
aveva lavorato in qualità di giornalista professionista con rapporto di lavoro
subordinato. A sostegno della decisione, la Corte argomentava che il P.R. era
quotidianamente presente in azienda, provvedendo alla redazione di molteplici
articoli e di rubriche fisse e ricevendo emolumenti in via continuativa.
Aggiungeva che dalle prove testimoniali era emerso che il lavoratore si era
dimesso dal precedente rapporto di lavoro subordinato in quanto gli era stato
promesso che in tal modo avrebbe avuto più spazio all’interno del giornale;
nulla era emerso peraltro in ordine ad un mutamento delle caratteristiche e
modalità del rapporto tra le parti, in precedenza pacificamente di natura
subordinata, per il periodo susseguente le dimissioni, essendo anzi risultata
la prestazione intensificata. Condannava la società al pagamento in favore del
lavoratore delle conseguenti differenze retributive e del TFR, avuto riguardo
alla qualifica di redattore ordinario, esclusi i compensi per lavoro notturno,
domenicale ed indennità redazionale. Disponeva con separata ordinanza per la
prosecuzione del giudizio ai fini della quantificazione del dovuto.
Per la
cassazione di tale sentenza la s.r.l. l'E.R. (già s.p.a.) ha proposto ricorso,
affidato a quattro motivi. M.P.R. è rimasto intimato. La causa e stata
inizialmente chiamata per l’udienza del 22.10.2014, alla quale e stato disposto
il rinnovo della comunicazione dell'udienza ex art. 377 u.c. c.p.c., risultata
tardiva.
Motivi della
decisione
1. Come primo
motivo la parte ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione degli
articoli 2094, 2104, 2105 e 2106 del codice civile; come secondo motivo
violazione e falsa applicazione degli articoli 2729, 2222, 2224 del codice
civile e 50 del d.p.r. numero 917 del 1986, 61 del decreto legislativo 276 del
2003 e 409 del codice di procedura civile; come terzo motivo violazione e falsa
applicazione degli articoli 2094, 2104, 2105 e 2106 del codice civile in
relazione allo specifico rapporto di lavoro subordinato giornalistico; come
quarto motivo insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto
controverso e decisivo per il giudizio;
1.1. Tutti i
motivi di ricorso attengono alla motivazione della Corte d'appello laddove ha
ritenuto la natura subordinata della prestazione svolta nel periodo
riconosciuto. Lamentano che tale qualificazione sia avvenuta sulla base delle
sole continuità, intensità e quotidianità della prestazione lavorativa e non
sulla base - in quanto attività giornalistica ad elevato contenuto
professionale- della sussistenza degli obblighi di diligenza, fedeltà e
obbedienza e del potere disciplinare del datore di lavoro. Sostiene la
ricorrente che la soluzione sarebbe stata adottata in violazione delle norme
legali in tema di definizione di lavoro subordinalo, in particolare con
riferimento al lavoro subordinato di natura giornalistica. La Corte avrebbe
inoltre omesso di accertare se gli elementi ritenuti sufficienti fossero
l’effetto di un obbligo contrattualmente assunto o se si trattasse circostanze
fattuali rilevate "a posteriori".
2. Il ricorso
non può essere accolto.
La motivazione
sulla base della quale la Corte d'appello che ha ritenuto che il rapporto di
lavoro per il periodo dal 1987 al 1991 avesse natura subordinata poggia,
seppure sinteticamente, su due distinte rationes decidendi: la prima attiene
alle caratteristiche che la prestazione del giornalista ha assunto in concreto
(la quotidiana presenza in azienda, la redazione di numerosi articoli, la
percezione di compensi in via continuativa); la seconda attiene invece al fatto
che in tale periodo non fossero risultate mutate - pur dopo le intervenute
dimissioni - le caratteristiche e le modalità del rapporto tra le parti, in
precedenza pacificamente di natura subordinata. La Corte d'appello ha infatti
valorizzato la circostanza che al contrario fosse emersa un’intensificazione
delle prestazioni in tale periodo, e che il teste escusso avesse riferito che
al P.R. era stato consigliato di dimettersi in quanto in tal modo avrebbe avuto
più spazio all'interno del giornale. Non ha quindi ritenuto sufficiente il
mutamento della natura formale del rapporto, quando le caratteristiche che esso
aveva assunto in concreto erano rimaste le stesse e non risultava la
sussistenza di un'effettiva volontà novativa.
2.1. Tutti i
motivi di ricorso attengono alla prima delle due rationes decidendi e
contestano gli elementi assunti dalla Corte capitolina nella valutazione delle
caratteristiche della prestazione. Nessuno degli argomenti proposti censura
invece specificamente l’altra concorrente motivazione, che attiene all'essere o
meno intervenuta una novazione nella fase del rapporto che ha fatto seguito
alla prestazione qualificata dalle parti di lavoro subordinato.
2.2. Non essendo
stata censurata la seconda ratto decidendi, non risulta la decisività delle
censure formulate dalla ricorrente al fine di revocare in dubbio la soluzione
adottata dalla Corte d'appello.
2.3. Questa
Corte Seziono Unite ha infatti in proposito ribadito con la sentenza n. 7931
del 29/03/2013 che il ricorso per cassazione non introduce un terzo grado ili
giudizio tramite il quale far valere la mera ingiustizia della sentenza
impugnata, caratterizzandosi, invece, come un rimedio impugnatone, a critica
vincolata ed a cognizione determinata dall'ambito della denuncia attraverso il
vizio o i vizi dedotti. Ne consegue che. qualora la decisione impugnata si
fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte ed autonome, ciascuna
delle quali logicamente e giuridicamente sufficiente a sorreggerla, è
inammissibile il ricorso che non formuli specifiche doglianze avverso una di
tali rationes decidendi, neppure sotto il profilo del vizio di motivazione.
2.4. La seconda
ratio decidendi della Corte d’appello è peraltro conforme all'insegnamento
consolidato di questa Corte, secondo il quale "La sopravvenuta
trasformazione di un rapporto di lavoro subordinato in un diverso rapporto di
lavoro, con il conseguente svolgimento della prestazione sulla base di un
titolo negoziale diverso, deve essere dimostrata dalla parte che deduce la
trasformazione a seguito di uno specifico negozio novativo, il quale
presuppone, Innanzi tulio, che risulti la chiara ed univoca volontà delle parti
di mutare il regime giuridico del rapporto (Cass. n. 8527 del 08/04/2009, Cass.
n. 6985 del 26/11/1986, Cass. n. 4670 del 26/02/2009).
3. Nulla sulle
spese, non avendo svolto l’intimato attività difensiva.
P.Q.M.
Rigetta il
ricorso. Nulla sulle spese.
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