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mercoledì 1 luglio 2015

Cassazione - Rapporto di lavoro giornalistico: accertamento della natura subordinata

Nella sentenza n.13377 del 30 giugno 2015, la Corte di Cassazione ha ribadito che deve ritenersi di natura subordinata il lavoro svolto dal giornalista in qualità di libero professionista ove le sue prestazioni vengano rese con le stesse modalità intercorse in un precedente rapporto, qualificato come “dipendente, presso  la stessa redazione.  

Corte di Cassazione – Sentenza n.13377 del 30 giugno 2015

Svolgimento del processo

Con la sentenza non definitiva n. 8939 del 2006, la Corte d'appello di Roma, riformando parzialmente la sentenza del Tribunale della stesse sede che aveva rigettato il ricorso proposto da M.P.R., dichiarava che fra questi e l’E.R. s.p.a. era intercorso un rapporto di lavoro subordinato a far tempo dall’aprile 1987 e fino al luglio 1991, periodo durante, il quale egli aveva collaborato con il quotidiano (...) in qualità di libero professionista, dopo che dal 1960 vi aveva lavorato in qualità di giornalista professionista con rapporto di lavoro subordinato. A sostegno della decisione, la Corte argomentava che il P.R. era quotidianamente presente in azienda, provvedendo alla redazione di molteplici articoli e di rubriche fisse e ricevendo emolumenti in via continuativa. Aggiungeva che dalle prove testimoniali era emerso che il lavoratore si era dimesso dal precedente rapporto di lavoro subordinato in quanto gli era stato promesso che in tal modo avrebbe avuto più spazio all’interno del giornale; nulla era emerso peraltro in ordine ad un mutamento delle caratteristiche e modalità del rapporto tra le parti, in precedenza pacificamente di natura subordinata, per il periodo susseguente le dimissioni, essendo anzi risultata la prestazione intensificata. Condannava la società al pagamento in favore del lavoratore delle conseguenti differenze retributive e del TFR, avuto riguardo alla qualifica di redattore ordinario, esclusi i compensi per lavoro notturno, domenicale ed indennità redazionale. Disponeva con separata ordinanza per la prosecuzione del giudizio ai fini della quantificazione del dovuto.

Per la cassazione di tale sentenza la s.r.l. l'E.R. (già s.p.a.) ha proposto ricorso, affidato a quattro motivi. M.P.R. è rimasto intimato. La causa e stata inizialmente chiamata per l’udienza del 22.10.2014, alla quale e stato disposto il rinnovo della comunicazione dell'udienza ex art. 377 u.c. c.p.c., risultata tardiva.

Motivi della decisione

1. Come primo motivo la parte ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione degli articoli 2094, 2104, 2105 e 2106 del codice civile; come secondo motivo violazione e falsa applicazione degli articoli 2729, 2222, 2224 del codice civile e 50 del d.p.r. numero 917 del 1986, 61 del decreto legislativo 276 del 2003 e 409 del codice di procedura civile; come terzo motivo violazione e falsa applicazione degli articoli 2094, 2104, 2105 e 2106 del codice civile in relazione allo specifico rapporto di lavoro subordinato giornalistico; come quarto motivo insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio;

1.1. Tutti i motivi di ricorso attengono alla motivazione della Corte d'appello laddove ha ritenuto la natura subordinata della prestazione svolta nel periodo riconosciuto. Lamentano che tale qualificazione sia avvenuta sulla base delle sole continuità, intensità e quotidianità della prestazione lavorativa e non sulla base - in quanto attività giornalistica ad elevato contenuto professionale- della sussistenza degli obblighi di diligenza, fedeltà e obbedienza e del potere disciplinare del datore di lavoro. Sostiene la ricorrente che la soluzione sarebbe stata adottata in violazione delle norme legali in tema di definizione di lavoro subordinalo, in particolare con riferimento al lavoro subordinato di natura giornalistica. La Corte avrebbe inoltre omesso di accertare se gli elementi ritenuti sufficienti fossero l’effetto di un obbligo contrattualmente assunto o se si trattasse circostanze fattuali rilevate "a posteriori".

2. Il ricorso non può essere accolto.

La motivazione sulla base della quale la Corte d'appello che ha ritenuto che il rapporto di lavoro per il periodo dal 1987 al 1991 avesse natura subordinata poggia, seppure sinteticamente, su due distinte rationes decidendi: la prima attiene alle caratteristiche che la prestazione del giornalista ha assunto in concreto (la quotidiana presenza in azienda, la redazione di numerosi articoli, la percezione di compensi in via continuativa); la seconda attiene invece al fatto che in tale periodo non fossero risultate mutate - pur dopo le intervenute dimissioni - le caratteristiche e le modalità del rapporto tra le parti, in precedenza pacificamente di natura subordinata. La Corte d'appello ha infatti valorizzato la circostanza che al contrario fosse emersa un’intensificazione delle prestazioni in tale periodo, e che il teste escusso avesse riferito che al P.R. era stato consigliato di dimettersi in quanto in tal modo avrebbe avuto più spazio all'interno del giornale. Non ha quindi ritenuto sufficiente il mutamento della natura formale del rapporto, quando le caratteristiche che esso aveva assunto in concreto erano rimaste le stesse e non risultava la sussistenza di un'effettiva volontà novativa.

2.1. Tutti i motivi di ricorso attengono alla prima delle due rationes decidendi e contestano gli elementi assunti dalla Corte capitolina nella valutazione delle caratteristiche della prestazione. Nessuno degli argomenti proposti censura invece specificamente l’altra concorrente motivazione, che attiene all'essere o meno intervenuta una novazione nella fase del rapporto che ha fatto seguito alla prestazione qualificata dalle parti di lavoro subordinato.

2.2. Non essendo stata censurata la seconda ratto decidendi, non risulta la decisività delle censure formulate dalla ricorrente al fine di revocare in dubbio la soluzione adottata dalla Corte d'appello.

2.3. Questa Corte Seziono Unite ha infatti in proposito ribadito con la sentenza n. 7931 del 29/03/2013 che il ricorso per cassazione non introduce un terzo grado ili giudizio tramite il quale far valere la mera ingiustizia della sentenza impugnata, caratterizzandosi, invece, come un rimedio impugnatone, a critica vincolata ed a cognizione determinata dall'ambito della denuncia attraverso il vizio o i vizi dedotti. Ne consegue che. qualora la decisione impugnata si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte ed autonome, ciascuna delle quali logicamente e giuridicamente sufficiente a sorreggerla, è inammissibile il ricorso che non formuli specifiche doglianze avverso una di tali rationes decidendi, neppure sotto il profilo del vizio di motivazione.

2.4. La seconda ratio decidendi della Corte d’appello è peraltro conforme all'insegnamento consolidato di questa Corte, secondo il quale "La sopravvenuta trasformazione di un rapporto di lavoro subordinato in un diverso rapporto di lavoro, con il conseguente svolgimento della prestazione sulla base di un titolo negoziale diverso, deve essere dimostrata dalla parte che deduce la trasformazione a seguito di uno specifico negozio novativo, il quale presuppone, Innanzi tulio, che risulti la chiara ed univoca volontà delle parti di mutare il regime giuridico del rapporto (Cass. n. 8527 del 08/04/2009, Cass. n. 6985 del 26/11/1986, Cass. n. 4670 del 26/02/2009).

3. Nulla sulle spese, non avendo svolto l’intimato attività difensiva.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Nulla sulle spese.

 

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