Corte di
Cassazione, Sezione Lavoro, sentenza n.12072 del 10 giugno 2015
Svolgimento del
processo
1. Con ricorso
depositato il 28.03.2008, (OMISSIS) adiva il Tribunale di Bergamo in funzione
di Giudice del Lavoro, esponendo che aveva lavorato alle dipendenze della
societa’ (OMISSIS) s.p.a., quale guardia giurata – 5 livello ruolo del
personale amministrativo e che in particolare aveva svolto mansioni di
centralinista presso la sede della centrale operativa di (OMISSIS), in
uniforme, ma senza adoperare armi. Il giorno 11.07.2007, il Prefetto di Bergamo
le aveva sospeso cautelarmente il decreto di approvazione per guardia
particolare giurata ed il porto d’anni. Lo stesso giorno, la (OMISSIS) s.p.a.,
cui detta misura amministrativa era stata comunicata dalla stessa Prefettura di
Bergamo, aveva sospeso la dipendente dal servizio e dalla retribuzione con contestuale
comunicazione dell’avvio di un procedimento disciplinare Legge n. 300 del 1970,
ex articolo 7. La Prefettura, con provvedimento del 26.10.2007, aveva respinto
le osservazioni presentate dalla (OMISSIS) ed aveva confermato il provvedimento
di sospensione. Il TAR Lombardia, sede di (OMISSIS), con ordinanza n. 19 del
10.01.2008 aveva sospeso la “sospensione” del decreto di guardia giurata
adottata dalla Prefettura ma non quella del porto d’armi sicche’ la (OMISSIS)
avrebbe potuto svolgere il compito di guardia giurata ma senza arma.
Non di meno la
(OMISSIS) s.p.a., datrice di lavoro, intimava il licenziamento alla dipendente
con missiva del 21.1.2008 del seguente tenore letterale: “La nostra societa’
rileva che a seguito del ritiro del suo porto d’armi da parte egli organi
competenti, in data 11/07/2007 veniva sospesa dal servizio ai sensi e per gli
effetti dell’articolo 120 CCNL vigente. Ad oggi risulta che la Prefettura non
ha provveduto a rilasciarle il porto d’arma necessario per svolgere l’attivita’
di GPG. Il CCNL di categoria all’articolo 120 prevede: “Nel caso di sospensione
o mancato rinnovo del decreto di nomina a guardia particolare giurata e/o della
licenza di porto d’armi il datore di lavoro potra’ sospendere dal servizio e
dalla retribuzione il lavoratore.
Trascorso il
periodo di 180 giorni di calendario senza che il lavoratore sia ritornato in
possesso dei documenti di cui sopra, il datore di lavoro potra’ risolvere il
rapporto di lavoro penale motivo senza preavviso o indennita’ sostitutiva. Alla
luce del fatto che dal ritiro della licenza di porto d’armi sono trascorsi
oltre 180 giorni emerge l’integrazione della fattispecie di cui all’articolo
120 del CCNL ultimo comma, con la conseguenza che il datore di lavoro ha la
facolta’ di risolvere il contratto. Sulla base della disposizione contrattuale
sopra descritta la nostra societa’ intende risolvere il rapporto di lavoro a
causa del mancato rinnovo della licenza di porto d’armi Alla luce di quanto
sopra la nostra societa’ le intima il licenziamento. Il licenziamento produrra’
i propri effetti a far data dal ricevimento della presente. La invitiamo a
consegnare tutti i documenti e i beni di proprieta’ della nostra societa’ entro
cinque giorni dal ricevimento della presente”.
Deduceva la
ricorrente che la datrice di lavoro, quindi, non aveva affatto valutato
l’eventualita’ di ricollocare la lavoratrice in differenti mansioni.
Tutto cio’
premesso, la (OMISSIS), sperimentato vanamente il tentativo di conciliazione,
chiedeva che il licenziamento fosse dichiarato illegittimo. Conseguentemente
chiedeva di essere reintegrata sul posto di lavoro, ovvero, in subordine, che
le fosse accordato l’indennizzo a norma della Legge n. 300 del 1970, articolo
18.
Si costitui’ la
(OMISSIS) s.p.a. difendendo la legittimita’ del licenziamento in base al gia’
citato articolo 120 del CCNL di categoria.
Il Tribunale,
respinta l’istanza cautelare tesa al reintegro sul posto di lavoro.; rigettava
la domanda con compensazione delle spese. Il tribunale riteneva sussistere il giustificato
motivo oggettivo di licenziamento nonche’ l’impossibilita’ di utile impiego
della lavoratrice in altra mansione diversa da quella di guardia giurata.
2. La sentenza
di primo grado veniva appellata dalla (OMISSIS) con ricorso depositato il 13.4.2011.
Pronunciandosi
nell’instaurato contraddittorio con la societa’ appellata la Corte d’Appello di
Brescia con la sentenza del 27 novembre 2011 – 5 novembre 2011 ha rigettato
l’appello compensando le spese di lite.
La corte
d’appello ha corretto la motivazione della sentenza di primo grado pur
pervenendo alla medesima conclusione. Ha infatti ritenuto che la fattispecie
non potesse inquadrarsi nel licenziamento per giustificato motivo oggettivo di
cui alla Legge n. 604 del 1966, articolo 3; cio’ che avrebbe comportato l’onere
per la societa’ datrice di lavoro di provare l’impossibilita’ del reimpiego
della lavoratrice in altre mansioni.
La corte
d’appello invece ha ritenuto che la fattispecie fosse da inquadrare nella
disciplina dell’impossibilita’ sopravvenuta della prestazione lavorativa
(articoli 1256 e 1463 c.c.). In riferimento a tale disciplina l’articolo 120,
del contratto collettivo di categoria doveva considerarsi legittimo nella parte
in cui prevedeva il licenziamento, o meglio la risoluzione del rapporto, dopo
un periodo di 180 giorni ove la guardia giurata non fosse piu’ provvista del
porto d’armi.
Inoltre la corte
d’appello, pur ritenendo che non operasse il criterio, elaborato dalla
giurisprudenza in tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo,
secondo cui il datore di lavoro deve dare la prova dell’impossibilita’ di
adibire il lavoratore in altre mansioni, ha comunque preso in considerazione la
circostanza che la lavoratrice di fatto era stata adibita a mansioni di addetta
al centralino della centrale operativa. Cio’ non di meno – ha ritenuto la corte
territoriale – la lavoratrice aveva in ogni caso l’obbligo di porto d’armi e,
secondo le necessita’, poteva essere mandata, in servizio attivo fuori la
centrale operativa.
3. Avverso questa
pronuncia ricorre per cassazione la (OMISSIS) con quattro motivi.
Resiste con
controricorso la parte intimata.
La ricorrente ha
depositato memoria.
Motivi della
decisione
1. Con il
ricorso, articolato in quattro motivi, la ricorrente lamenta la violazione del
principio del contraddittorio, per aver la corte d’appello ricostruito la
fattispecie in termini di risoluzione per impossibilita’ assoluta della
prestazione e non gia’ licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Deduce
che la perdita del porto d’armi non significava impossibilita’ assoluta della
prestazione lavorativa, stante anche l’inapplicabilita’ dell’articolo 2110
c.c.. In ogni caso era mancata la prova dell’impossibilita’ del reimpiego.
2. Il ricorso –
i cui motivi possono essere esaminati congiuntamente – e’ infondato.
La questione che
pone il presente giudizio e’ se il ritiro del porto d’armi (nella specie il
provvedimento del prefetto e’ stato di sospensione della licenza e in questa
parte e’ stato confermato dal Tar Lombardia che ha sospeso il provvedimento del
prefetto solo nella parte riguardante la nomina a guardia giurata) costituisca,
o no, ipotesi di sopravvenuta impossibilita’ della prestazione oppure di
giustificato motivo oggettivo di licenziamento. In particolare il Tar Lombardia
ha considerato distintamente il decreto di nomina a guardia particolare giurata
e il porto d’armi ed ha accolto il ricorso cautelare disponendo la sospensione
della revoca (anzi della sospensione) del primo decreto (quello di nomina a
guardia particolare giurata) e non anche la sospensione della nomina a guardia
particolare giurata.
L’articolo 120
del contratto di collettivo di categoria prevede che il rapporto di lavoro e’
risolto se la guardia giurata risulta priva del porto d’armi per un periodo superiore
a 180 giorni. In proposito la giurisprudenza ha ritenuto trattarsi di una
fattispecie di impossibilita’ sopravvenuta della prestazione ovvero di
giustificato motivo oggettivo di licenziamento che richiedono vuoi la
valutazione dell’interesse del datore di lavoro alla prestazione residua ancora
possibile vuoi la verifica dell’impossibilita’ di adibire il dipendente a
mansioni diverse.
In diritto la
tesi dell’impossibilita’ sopravvenuta della prestazione appare preferibile: la
ricorrente e’ stata assunta specificamente come guardia giurata; cio’ che
presuppone la licenza di porto d’armi. L’esclusivita’ della qualifica delle
mansioni di assunzione fanno si’ che quando queste non possono essere piu’
volte in conseguenza del ritiro del porto d’armi si determina altresi’ una
situazione di impossibilita’ sopravvenuta della prestazione che e’ parziale e
che comunque richiede la valutazione del residuo interesse del datore di lavoro
alla prestazione lavorativa residuale. Cfr. Cass., sez. lav., 24 ottobre 2000,
n. 13986, che ha affermato che il provvedimento di ritiro del porto d’armi,
emesso nei confronti di lavoratore svolgente mansioni di guardia particolare
giurata, puo’ autorizzare il datore di lavoro al licenziamento, per
giustificato motivo oggettivo, ove dimostri che egli non ha un interesse
apprezzabile alla prosecuzione del rapporto, alla stregua delle ragioni
inerenti all’attivita’ produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare
funzionamento di essa. Nella specie c’e’ da considerare che la corte d’appello
ha comunque esaminato anche il profilo della residuale utilizzabilita’ della
lavoratrice esclusivamente in mansioni che non richiedessero il porto d’armi ed
e’ pervenuta al motivato convincimento che, anche se la lavoratrice era stata
impiegata in mansioni di centralinista della centrale operativa, comunque era
sempre pronta ad essere inviata all’esterno in servizio attivo; cio’ che
richiedeva appunto il porto d’armi.
Questa
considerazione il punto di fatto e’ sufficientemente motivata e comunque non e’
neanche particolarmente censurata dalla ricorrente.
3. Il ricorso va
quindi rigettato.
Alla soccombenza
consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali di
questo giudizio di cassazione nella misura liquidata in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta
il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio
di cassazione liquidate in euro 100,00 (cento) oltre euro 3.500,00
(tremilacinquecento) per compensi d’avvocato ed oltre spese generali e accessori
di legge.
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