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mercoledì 1 luglio 2015

Cassazione – Guardie giurate: anche se c’è il ritiro del porto d’armi il licenziamento non è automatico

Nella sentenza n.12072 del 10 giugno 2015, la Corte di Cassazione ha precisato che il ritiro del porto d’armi disposto ai danni di una guardia giurata determina una impossibilità della prestazione lavorativa che, tuttavia, va ritenuta parziale. Ai fini dell’irrogazione di un licenziamento legittimo, infatti, il datore di lavoro è chiamato ad effettuare un preventiva valutazione del suo eventuale interesse alla prestazione lavorativa residuale del proprio dipendente.

Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, sentenza n.12072 del 10 giugno 2015

Svolgimento del processo

1. Con ricorso depositato il 28.03.2008, (OMISSIS) adiva il Tribunale di Bergamo in funzione di Giudice del Lavoro, esponendo che aveva lavorato alle dipendenze della societa’ (OMISSIS) s.p.a., quale guardia giurata – 5 livello ruolo del personale amministrativo e che in particolare aveva svolto mansioni di centralinista presso la sede della centrale operativa di (OMISSIS), in uniforme, ma senza adoperare armi. Il giorno 11.07.2007, il Prefetto di Bergamo le aveva sospeso cautelarmente il decreto di approvazione per guardia particolare giurata ed il porto d’anni. Lo stesso giorno, la (OMISSIS) s.p.a., cui detta misura amministrativa era stata comunicata dalla stessa Prefettura di Bergamo, aveva sospeso la dipendente dal servizio e dalla retribuzione con contestuale comunicazione dell’avvio di un procedimento disciplinare Legge n. 300 del 1970, ex articolo 7. La Prefettura, con provvedimento del 26.10.2007, aveva respinto le osservazioni presentate dalla (OMISSIS) ed aveva confermato il provvedimento di sospensione. Il TAR Lombardia, sede di (OMISSIS), con ordinanza n. 19 del 10.01.2008 aveva sospeso la “sospensione” del decreto di guardia giurata adottata dalla Prefettura ma non quella del porto d’armi sicche’ la (OMISSIS) avrebbe potuto svolgere il compito di guardia giurata ma senza arma.

Non di meno la (OMISSIS) s.p.a., datrice di lavoro, intimava il licenziamento alla dipendente con missiva del 21.1.2008 del seguente tenore letterale: “La nostra societa’ rileva che a seguito del ritiro del suo porto d’armi da parte egli organi competenti, in data 11/07/2007 veniva sospesa dal servizio ai sensi e per gli effetti dell’articolo 120 CCNL vigente. Ad oggi risulta che la Prefettura non ha provveduto a rilasciarle il porto d’arma necessario per svolgere l’attivita’ di GPG. Il CCNL di categoria all’articolo 120 prevede: “Nel caso di sospensione o mancato rinnovo del decreto di nomina a guardia particolare giurata e/o della licenza di porto d’armi il datore di lavoro potra’ sospendere dal servizio e dalla retribuzione il lavoratore.

Trascorso il periodo di 180 giorni di calendario senza che il lavoratore sia ritornato in possesso dei documenti di cui sopra, il datore di lavoro potra’ risolvere il rapporto di lavoro penale motivo senza preavviso o indennita’ sostitutiva. Alla luce del fatto che dal ritiro della licenza di porto d’armi sono trascorsi oltre 180 giorni emerge l’integrazione della fattispecie di cui all’articolo 120 del CCNL ultimo comma, con la conseguenza che il datore di lavoro ha la facolta’ di risolvere il contratto. Sulla base della disposizione contrattuale sopra descritta la nostra societa’ intende risolvere il rapporto di lavoro a causa del mancato rinnovo della licenza di porto d’armi Alla luce di quanto sopra la nostra societa’ le intima il licenziamento. Il licenziamento produrra’ i propri effetti a far data dal ricevimento della presente. La invitiamo a consegnare tutti i documenti e i beni di proprieta’ della nostra societa’ entro cinque giorni dal ricevimento della presente”.

Deduceva la ricorrente che la datrice di lavoro, quindi, non aveva affatto valutato l’eventualita’ di ricollocare la lavoratrice in differenti mansioni.

Tutto cio’ premesso, la (OMISSIS), sperimentato vanamente il tentativo di conciliazione, chiedeva che il licenziamento fosse dichiarato illegittimo. Conseguentemente chiedeva di essere reintegrata sul posto di lavoro, ovvero, in subordine, che le fosse accordato l’indennizzo a norma della Legge n. 300 del 1970, articolo 18.

Si costitui’ la (OMISSIS) s.p.a. difendendo la legittimita’ del licenziamento in base al gia’ citato articolo 120 del CCNL di categoria.

Il Tribunale, respinta l’istanza cautelare tesa al reintegro sul posto di lavoro.; rigettava la domanda con compensazione delle spese. Il tribunale riteneva sussistere il giustificato motivo oggettivo di licenziamento nonche’ l’impossibilita’ di utile impiego della lavoratrice in altra mansione diversa da quella di guardia giurata.

2. La sentenza di primo grado veniva appellata dalla (OMISSIS) con ricorso depositato il 13.4.2011.

Pronunciandosi nell’instaurato contraddittorio con la societa’ appellata la Corte d’Appello di Brescia con la sentenza del 27 novembre 2011 – 5 novembre 2011 ha rigettato l’appello compensando le spese di lite.

La corte d’appello ha corretto la motivazione della sentenza di primo grado pur pervenendo alla medesima conclusione. Ha infatti ritenuto che la fattispecie non potesse inquadrarsi nel licenziamento per giustificato motivo oggettivo di cui alla Legge n. 604 del 1966, articolo 3; cio’ che avrebbe comportato l’onere per la societa’ datrice di lavoro di provare l’impossibilita’ del reimpiego della lavoratrice in altre mansioni.

La corte d’appello invece ha ritenuto che la fattispecie fosse da inquadrare nella disciplina dell’impossibilita’ sopravvenuta della prestazione lavorativa (articoli 1256 e 1463 c.c.). In riferimento a tale disciplina l’articolo 120, del contratto collettivo di categoria doveva considerarsi legittimo nella parte in cui prevedeva il licenziamento, o meglio la risoluzione del rapporto, dopo un periodo di 180 giorni ove la guardia giurata non fosse piu’ provvista del porto d’armi.

Inoltre la corte d’appello, pur ritenendo che non operasse il criterio, elaborato dalla giurisprudenza in tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, secondo cui il datore di lavoro deve dare la prova dell’impossibilita’ di adibire il lavoratore in altre mansioni, ha comunque preso in considerazione la circostanza che la lavoratrice di fatto era stata adibita a mansioni di addetta al centralino della centrale operativa. Cio’ non di meno – ha ritenuto la corte territoriale – la lavoratrice aveva in ogni caso l’obbligo di porto d’armi e, secondo le necessita’, poteva essere mandata, in servizio attivo fuori la centrale operativa.

3. Avverso questa pronuncia ricorre per cassazione la (OMISSIS) con quattro motivi.

Resiste con controricorso la parte intimata.

La ricorrente ha depositato memoria.

Motivi della decisione

1. Con il ricorso, articolato in quattro motivi, la ricorrente lamenta la violazione del principio del contraddittorio, per aver la corte d’appello ricostruito la fattispecie in termini di risoluzione per impossibilita’ assoluta della prestazione e non gia’ licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Deduce che la perdita del porto d’armi non significava impossibilita’ assoluta della prestazione lavorativa, stante anche l’inapplicabilita’ dell’articolo 2110 c.c.. In ogni caso era mancata la prova dell’impossibilita’ del reimpiego.

2. Il ricorso – i cui motivi possono essere esaminati congiuntamente – e’ infondato.

La questione che pone il presente giudizio e’ se il ritiro del porto d’armi (nella specie il provvedimento del prefetto e’ stato di sospensione della licenza e in questa parte e’ stato confermato dal Tar Lombardia che ha sospeso il provvedimento del prefetto solo nella parte riguardante la nomina a guardia giurata) costituisca, o no, ipotesi di sopravvenuta impossibilita’ della prestazione oppure di giustificato motivo oggettivo di licenziamento. In particolare il Tar Lombardia ha considerato distintamente il decreto di nomina a guardia particolare giurata e il porto d’armi ed ha accolto il ricorso cautelare disponendo la sospensione della revoca (anzi della sospensione) del primo decreto (quello di nomina a guardia particolare giurata) e non anche la sospensione della nomina a guardia particolare giurata.

L’articolo 120 del contratto di collettivo di categoria prevede che il rapporto di lavoro e’ risolto se la guardia giurata risulta priva del porto d’armi per un periodo superiore a 180 giorni. In proposito la giurisprudenza ha ritenuto trattarsi di una fattispecie di impossibilita’ sopravvenuta della prestazione ovvero di giustificato motivo oggettivo di licenziamento che richiedono vuoi la valutazione dell’interesse del datore di lavoro alla prestazione residua ancora possibile vuoi la verifica dell’impossibilita’ di adibire il dipendente a mansioni diverse.

In diritto la tesi dell’impossibilita’ sopravvenuta della prestazione appare preferibile: la ricorrente e’ stata assunta specificamente come guardia giurata; cio’ che presuppone la licenza di porto d’armi. L’esclusivita’ della qualifica delle mansioni di assunzione fanno si’ che quando queste non possono essere piu’ volte in conseguenza del ritiro del porto d’armi si determina altresi’ una situazione di impossibilita’ sopravvenuta della prestazione che e’ parziale e che comunque richiede la valutazione del residuo interesse del datore di lavoro alla prestazione lavorativa residuale. Cfr. Cass., sez. lav., 24 ottobre 2000, n. 13986, che ha affermato che il provvedimento di ritiro del porto d’armi, emesso nei confronti di lavoratore svolgente mansioni di guardia particolare giurata, puo’ autorizzare il datore di lavoro al licenziamento, per giustificato motivo oggettivo, ove dimostri che egli non ha un interesse apprezzabile alla prosecuzione del rapporto, alla stregua delle ragioni inerenti all’attivita’ produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa. Nella specie c’e’ da considerare che la corte d’appello ha comunque esaminato anche il profilo della residuale utilizzabilita’ della lavoratrice esclusivamente in mansioni che non richiedessero il porto d’armi ed e’ pervenuta al motivato convincimento che, anche se la lavoratrice era stata impiegata in mansioni di centralinista della centrale operativa, comunque era sempre pronta ad essere inviata all’esterno in servizio attivo; cio’ che richiedeva appunto il porto d’armi.

Questa considerazione il punto di fatto e’ sufficientemente motivata e comunque non e’ neanche particolarmente censurata dalla ricorrente.

3. Il ricorso va quindi rigettato.

Alla soccombenza consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali di questo giudizio di cassazione nella misura liquidata in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di cassazione liquidate in euro 100,00 (cento) oltre euro 3.500,00 (tremilacinquecento) per compensi d’avvocato ed oltre spese generali e accessori di legge.

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