Nello
specifico, l’articolo 23 ha istituito il diritto per dipendenti e parasubordinate, inserite nei percorsi di
protezione relativi alla violenza di genere, debitamente certificati dai
servizi sociali del Comune di residenza o dai Centri antiviolenza o dalle Case
rifugio (1), ad un congedo
massimo di tre mesi per motivi connessi
al suddetto percorso di protezione.
Salvo
i casi di oggettiva impossibilità, le donne che avessero la necessità di
astenersi dal servizio dovranno inoltrare al datore di lavoro, nel termine di
preavviso non inferiore a sette giorni, una preventiva comunicazione corredata dalla
relativa certificazione.
L’intero
periodo di congedo, durante il quale la lavoratrice riceverà l’intera
retribuzione, sarà computato a tutti gli effetti nell’anzianità di servizio,
nonché ai fini della maturazione delle ferie, della tredicesima mensilità e del
trattamento di fine rapporto.
Il
congedo in commento potrà essere usufruito, su base oraria o giornaliera,
nell’arco temporale di tre anni, nel rispetto di quanto previsto da successivi
accordi collettivi nazionali. In caso di mancata regolamentazione da parte
della contrattazione collettiva, la
dipendente potrà scegliere tra le due opzioni suddette.
La
fruizione su base oraria, tuttavia, sarà consentita in misura pari alla metà
dell’orario medio giornaliero del periodo di paga quadrisettimanale o mensile
immediatamente precedente a quello nel corso del quale abbia avuto inizio il
congedo.
Le
vittime di violenze di genere, inoltre, avranno diritto alla trasformazione del
rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale, verticale od orizzontale.
Su
successiva richiesta della lavoratrice, infine, l’azienda sarà obbligato a
convertire nuovamente in full-time il rapporto precedentemente trasformato in
part-time.
Valerio
Pollastrini
1)
-
di cui all’art.5-bis del D.L. n.93 del 14 agosto 2013, convertito, con modificazioni, dalla Legge n.119
del 15 ottobre 2013;
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