Nel caso
di specie, il dipendente si era rivolto al Tribunale di Napoli per la
dichiarazione di illegittimità del licenziamento intimatogli dalla società
datrice di lavoro in seguito alle ripetute assenze non autorizzate.
Nella fase
disciplinare che aveva preceduto il recesso, l’azienda aveva inoltre contestato al lavoratore anche cinque episodi
di recidiva.
A detta
del ricorrente, le ore di permesso suddette sarebbero state riconducibili ai
congedi per gravi motivi di durata non superiore a tre giorni, per i quali l’art
2 del D.M. n.278 del 21 luglio 2000 richiede soltanto una comunicazione ed impone
al datore di lavoro di esprimersi entro ventiquattro ore, motivando l'eventuale
diniego con eccezionali ragioni organizzative.
Nel
rigettarne la domanda, il Tribunale aveva osservato, però, che la procedura
invocata dal lavoratore riguardasse solamente il caso di decesso di un
familiare o del convivente.
Questa
decisione, successivamente, era stata confermata anche dalla Corte di Appello,
che, in particolare, aveva precisato come, non risultando verificata, se non
una volta, l'ipotesi di lutto familiare, la mancata osservanza di dette
prescrizioni fosse stata sufficiente ad interrompere il vincolo fiduciario
necessariamente intercorrente fra la società ed il dipendente, il quale,
pertanto, era stato legittimamente licenziato.
Ricorrendo
in Cassazione, il lavoratore aveva sostenuto che la semplice comunicazione con
la quale aveva palesato l’intenzione di fruire dei permessi citati sarebbe bastata
al perfezionamento del relativo diritto di godimento, senza che la volontà,
positiva o negativa, del datore di lavoro potesse assumere alcun rilievo.
Investita
della questione, la Cassazione ha ritenuto infondata tale censura, a proposito
della quale gli ermellini hanno ricordato che, nonostante il diritto soggettivo
potestativo in commento sia caratterizzato dalla soddisfazione dell'interesse
del titolare per effetto della sua sola dichiarazione di volontà, ossia senza
necessità di comportamento collaborativo del soggetto passivo, che perciò versa
in una mera posizione di soggezione, ciò non toglie, tuttavia, che il suo
esercizio legittimo possa essere sottoposto ad un procedimento necessario alla
verifica, anche da parte del soggetto passivo, degli elementi costitutivi, così
come avviene anche per l'esercizio delle potestà pubbliche.
In
sostanza, difettando questo procedimento il diritto soggettivo non può realizzarsi
legittimamente.
Tornando
al caso di specie, la Suprema Corte ha quindi osservato come, tanto la norma di
riferimento, quanto la disposizione regolamentare connessa, prevedessero la
realizzabilità immediata del diritto al congedo solo nel caso di decesso del
familiare o del convivente, salva la prova o la verifica successiva degli
elementi costitutivi, e ciò per evidenti motivi di urgenza.
Al di
fuori di tali ipotesi, pertanto, il
lavoratore non avrebbe potuto assentarsi dall’azienda senza che il datore fosse
stato preventivamente posto in condizione di controllare l'effettiva
sussistenza delle sue giustificazioni e formulare, eventualmente, una proposta
di differimento del congedo o di fruizione parziale.
Queste,
in sostanza, le considerazioni in base alle quali la Suprema Corte ha disposto il
rigetto del ricorso.
Valerio
Pollastrini
Nessun commento:
Posta un commento