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venerdì 13 febbraio 2015

Legittimo il licenziamento se il permesso non è autorizzato

Se non è stato autorizzato, il permesso goduto dal lavoratore può giustificarne il licenziamento. E’ quanto precisato dalla Corte di Cassazione nella sentenza n.2803 del 12 febbraio 2015.

Nel caso di specie, il dipendente si era rivolto al Tribunale di Napoli per la dichiarazione di illegittimità del licenziamento intimatogli dalla società datrice di lavoro in seguito alle ripetute assenze non autorizzate.

Nella fase disciplinare che aveva preceduto il recesso, l’azienda aveva inoltre contestato al lavoratore anche cinque episodi di recidiva.

A detta del ricorrente, le ore di permesso suddette sarebbero state riconducibili ai congedi per gravi motivi di durata non superiore a tre giorni, per i quali l’art 2 del D.M. n.278 del 21 luglio 2000  richiede soltanto una comunicazione ed impone al datore di lavoro di esprimersi entro ventiquattro ore, motivando l'eventuale diniego con eccezionali ragioni organizzative.

Nel rigettarne la domanda, il Tribunale aveva osservato, però, che la procedura invocata dal lavoratore riguardasse solamente il caso di decesso di un familiare o del convivente.

Questa decisione, successivamente, era stata confermata anche dalla Corte di Appello, che, in particolare, aveva precisato come, non risultando verificata, se non una volta, l'ipotesi di lutto familiare, la mancata osservanza di dette prescrizioni fosse stata sufficiente ad interrompere il vincolo fiduciario necessariamente intercorrente fra la società ed il dipendente, il quale, pertanto, era stato legittimamente licenziato.

Ricorrendo in Cassazione, il lavoratore aveva sostenuto che la semplice comunicazione con la quale aveva palesato l’intenzione di fruire dei permessi citati sarebbe bastata al perfezionamento del relativo diritto di godimento, senza che la volontà, positiva o negativa, del datore di lavoro potesse assumere alcun rilievo.

Investita della questione, la Cassazione ha ritenuto infondata tale censura, a proposito della quale gli ermellini hanno ricordato che, nonostante il diritto soggettivo potestativo in commento sia caratterizzato dalla soddisfazione dell'interesse del titolare per effetto della sua sola dichiarazione di volontà, ossia senza necessità di comportamento collaborativo del soggetto passivo, che perciò versa in una mera posizione di soggezione, ciò non toglie, tuttavia, che il suo esercizio legittimo possa essere sottoposto ad un procedimento necessario alla verifica, anche da parte del soggetto passivo, degli elementi costitutivi, così come avviene anche per l'esercizio delle potestà pubbliche.

In sostanza, difettando questo procedimento il diritto soggettivo non può realizzarsi legittimamente.

Tornando al caso di specie, la Suprema Corte ha quindi osservato come, tanto la norma di riferimento, quanto la disposizione regolamentare connessa, prevedessero la realizzabilità immediata del diritto al congedo solo nel caso di decesso del familiare o del convivente, salva la prova o la verifica successiva degli elementi costitutivi, e ciò per evidenti motivi di urgenza.

Al di fuori di tali ipotesi, pertanto,  il lavoratore non avrebbe potuto assentarsi dall’azienda senza che il datore fosse stato preventivamente posto in condizione di controllare l'effettiva sussistenza delle sue giustificazioni e formulare, eventualmente, una proposta di differimento del congedo o di fruizione parziale.

Queste, in sostanza, le considerazioni in base alle quali la Suprema Corte ha disposto il rigetto del ricorso.

Valerio Pollastrini

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