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giovedì 5 febbraio 2015

Infortuni sul lavoro: imprenditore responsabile per omessa formazione e vigilanza


Nella sentenza n.1918 del 3 febbraio 2015, la Corte di Cassazione ha precisato che in caso di mancato espletamento della formazione in materia infortunistica, nonché di mancata vigilanza sulla correttezza delle modalità di esecuzione delle prestazioni, il datore di lavoro è responsabile dell’infortunio subito dal dipendente.

Nel caso di specie, la Corte di Appello di L’Aquila, in riforma della sentenza resa in primo grado dal Tribunale di Chieti, aveva  accolto il gravame proposto da un imprenditore, respingendo la domanda dell’Inail, che aveva agito in via di regresso, di rifusione dell’onere sostenuto per l’indennizzo dell’infortunio sul lavoro subito da una dipendente.

In particolare, la Corte territoriale aveva escluso alla radice la sussistenza della colpa del datore per aver omesso la necessaria istruzione antinfortunistica, nonché la rilevanza penale dell’accertata colpa per omissione del dovere di vigilanza antinfortunistica ex art.2087 c.c., non essendo stata raggiunta la prova positiva dell’omissione di un comportamento doveroso, costituito, nella specie, dall’impedire l’intervento della dipendente sulla macchina in movimento.

Avverso questa pronuncia, l’Inail aveva proposto ricorso per Cassazione, lamentando l’erroneità della decisione per aver la Corte del merito sancito nei confronti della Società datrice l’esonero da responsabilità civile per l’infortunio occorso alla dipendente, nonostante la Società medesima, a fronte di quanto allegato e provato dall’Istituto circa l’esistenza dell’obbligazione lavorativa, del danno e del nesso causale di questo con la prestazione lavorativa, non avesse fornito la prova liberatoria in ordine all’adozione di tutte le misure idonee a prevenire l’evento implicando l’adempimento dell’obbligo di sicurezza tanto il fornire un’adeguata informazione ed istruzione antinfortunistica, comunque indispensabile quando si opera in prossimità di macchine in movimento che possono esporre a rischio la salute del lavoratore, quanto l’aver predisposto un adeguato servizio di vigilanza e di intervento in presenza dell’esposizione del lavoratore al predetto rischio, quale appunto può derivare dall’operare di questi in prossimità di macchine in movimento.

Investita della questione, la Cassazione ha ritenuto fondata la predetta censura.

A tale riguardo, gli ermellini hanno  richiamato il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità (1), secondo cui "in presenza di una fattispecie contrattuale che, come nell’ipotesi del contratto di lavoro, obblighi uno dei contraenti (il datore di lavoro) a prestare una particolare protezione rivolta ad assicurare l’integrità fisica e psichica dell’altro (ai sensi dell’art. 2087 c.c.), non può sussistere alcuna incompatibilità tra responsabilità contrattuale e risarcimento del danno morale, siccome la fattispecie astratta di reato è configurabile anche nei casi in cui la colpa sia addebitata al datore di lavoro per non aver fornito la prova liberatoria richiesta dall’art.1218 c.c.".

Da ciò discende, in relazione anche solo alla violazione del dovere di vigilanza accertata dalla Corte di merito, la configurabilità di una responsabilità del soggetto datore per inadempimento dell’obbligo di sicurezza, non potendosi condividere, alla stregua dell’orientamento di cui sopra, l’affermazione del giudice dell’appello per la quale "La responsabilità penale può essere affermata non quando manchi semplicemente la prova liberatoria, di avere tutelato l’incolumità dei dipendenti, ma soltanto sussista la prova positiva della emissione di comportamenti doverosi".

Per tale ragione, gli ermellini, accogliendo il ricorso, hanno cassato la sentenza impugnata, rinviando la decisione alla Corte di Appello di L’Aquila che, in diversa composizione,  dovrà provvedere in conformità all’enunciato principio di diritto.

 

Valerio Pollastrini

 

  1. - così Cass., Sentenza n.4184 del 24 febbraio 2006;  vedi anche Cass., Sentenza n.23162 del 7 novembre 2007; Cass., Sentenza n.6454 del 17 marzo 2009; Cass., Sentenza n.17693 del 6 agosto 2014;

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