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lunedì 16 settembre 2013

La condanna per spaccio legittima il licenziamento del dipendente

Sovente, negli ultimi mesi, abbiamo segnalato alcune sentenze della Corte di Cassazione, univoche nell’escludere che la condotta posta in essere dal dipendente al di fuori del contesto aziendale possa condizionare la prosecuzione del rapporto di lavoro.

Nella pronuncia in commento, la Suprema Corte ha invece ritenuto che la condanna del lavoratore per il reato di spaccio di cocaina, pur se commesso all’esterno dell’azienda ed indipendente dalle dinamiche lavorative, fosse idonea a legittimare il recesso, in quanto sufficiente a ledere irreparabilmente il vincolo fiduciario del rapporto lavorativo.

Il fatto
Il caso di specie attiene al licenziamento  del dipendente di una casa di cura per anziani condannato per spaccio di sostanze stupefacenti. Il recesso era stato intimato nonostante il reato fosse stato consumato al di fuori del luogo di lavoro.

Il lavoratore, nell’impugnare il licenziamento, lamentava il fatto che lo specifico Contratto Collettivo Nazionale applicato non includesse tra le causali passibili di licenziamento la fattispecie contestata dall’azienda.

La pronuncia della Cassazione
Con la sentenza n.20158 del 3 settembre 2013 la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso del lavoratore, ricordando, preliminarmente, il carattere puramente indicativo delle  fattispecie annoverate dalla contrattazione collettiva come punibili con il licenziamento. Al di fuori di tali causali, infatti, il datore di lavoro può ricercare il fondamento del  recesso nella nozione legale di giusta causa,  che  legittima il licenziamento in presenza di ogni comportamento la cui gravità sia tale da ledere il vincolo fiduciario tra le parti.

Per la Corte questo particolare vincolo, elemento indispensabile per la prosecuzione del rapporto di lavoro, può dirsi pienamente reciso nel caso di specie, anche in considerazione dell’ambiente particolarmente delicato nel quale il dipendente era chiamato a svolgere le proprie mansioni.

In sostanza, il reato commesso dal lavoratore, pur se consumato al di fuori dell’azienda, risulta essere connotato da un elevato disvalore ambientale e, pertanto, potenzialmente idoneo ad esporre la Casa di cura ad eventuali danni e ripercussioni negative ove la circostanza venisse a conoscenza dei parenti delle persone assistite.


Valerio Pollastrini

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