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MEDIA-LABOR Srl - News dal mondo del lavoro e dell'economia


martedì 30 settembre 2014

Va risarcito il lavoratore per il ritardo nell’assunzione obbligatoria

Nella sentenza n.19609 del 17 settembre 2014,  la Corte di Cassazione ha precisato che, nell’ambito del collocamento obbligatorio,  in caso di ritardata assunzione,   il datore di lavoro deve risarcire al soggetto svantaggiato il pregiudizio subito nel periodo in cui si è protratta l’inadempienza.

Nella pronuncia in commento, inoltre, la Suprema Corte ha chiarito come, per quanto riguarda la quantificazione del danno, il lavoratore non sia gravato da alcun onere probatorio. A tal fine, infatti, è sufficiente valutare le retribuzioni che quest’ultimo avrebbe potuto conseguire, ove fosse stato tempestivamente assunto.

Dal canto aziendale, tuttavia, resta ferma la possibilità di dimostrare l’eventuale aliunde perceptum, così come la negligenza del dipendente nel cercare altra proficua occupazione.

Valerio Pollastrini

Rientro in servizio prima della scadenza della malattia

Nel Messaggio n.6973 del 12 settembre 2014, l'Inps ha chiarito  che, in caso di rientro anticipato dalla malattia, il lavoratore è tenuto a fornire all’azienda un certificato medico di rettifica dell’originaria prognosi.

La nota è rivolta a tutti i dipendenti che, consideratisi guariti dalla malattia, intendano
riprendere  il lavoro prima della data preventivata dal  medico curante.

Come detto, l’Istituto ha specificato che il rientro in servizio anticipato potrà essere consentito in solo in presenza di un certificato medico di rettifica dell’originaria prognosi.

Con riferimento al pubblico impiego, l’Inps ha ricordato che, ai sensi del D.Lgs. n.165 del 30 marzo 2001 (1), l’assenza per malattia dei lavoratori alle dipendenze della Pubblica Amministrazione deve  essere attestata mediante certificato medico inoltrato per via telematica, secondo le modalità stabilite dalla normativa vigente per il settore privato.

Dopo aver ribadito che, in applicazione dell’art.2087 c.c., il datore di lavoro è tenuto ad adottare tutte le misure  necessarie per la tutela dell’integrità fisica  dei dipendenti, il Messaggio ha sottolineato come allo stesso non sia dato conoscere la diagnosi della malattia. Il datore di lavoro, infatti, può solo  disporre dell’attestato dell’evento morboso e di quello relativo ai giorni di assenza accordati dal medico.

Proprio per la suddetta impossibilità di  conoscere diagnosi ed effettivo contenuto incapacitante della malattia, l’Istituto ha precisato come, parimenti, il  datore di lavoro non sia in grado di valutare se ed in quale misura il dipendente – che desideri rientrare in servizio anticipatamente rispetto alla prognosi formulata nel certificato prodotto – abbia effettivamente recuperato le proprie energie psicofisiche, tali da preservare se stesso e l’ambiente aziendale da eventuali rischi connessi ad una capacità di impegno non completamente riacquisita.

Diversamente, il datore di lavoro non potrebbe ottemperare agli obblighi impostigli dalle  normative  in materia di salute e sicurezza sul lavoro.

Queste, in sostanza, le motivazioni che hanno indotto l’Inps a disporre, a carico del dipendente assente per malattia, che intendesse riprendere anticipatamente il lavoro, l’onere di munirsi di  un certificato medico di rettifica dell’originaria prognosi.

Valerio Pollastrini

1)      – Testo Unico sul pubblico impiego;

domenica 21 settembre 2014

Spesa pensionistica insostenibile

Il 19 settembre 2014,  il Fondo Monetario Internazionale ha invitato l’Italia a rivedere le pensioni nell’ambito delle previsioni sul taglio della spesa pubblica.

Il nostro Paese, infatti, spende per le prestazioni pensionistiche il 30% degli 800 miliardi del totale della spesa pubblica.

Per la sola previdenza, l’Italia ha speso nel 2013 circa 254 miliardi, pari al  16,3% del Pil, con un incremento, rispetto al 2011 del 4,5%, corrispondente ad 11 miliardi.

La lettura dei dati risulta ancor più preoccupante se si considera che in questo periodo, connaturato dalla riduzione del Pil nazionale, nessun capitolo di spesa è aumentato come quella per l’erogazione delle pensioni. 

Risalendo a 10 anni orsono, le statistiche dell'Istat evidenziano che  il costo del sistema previdenziale è salito di oltre 50 miliardi.

Si tratta di una corsa apparentemente inarrestabile, visto che le stime, risalenti al periodo precedente all’ulteriore peggioramento  delle generali condizioni macro-economiche, lasciavano presagire, per il periodo 2014-2018, un aumento della spesa pensionistica di oltre 6 miliardi all’anno, con un tasso di incremento medio del 2,5% l'anno.  

Secondo il Fondo Monetario Internazionale, il taglio delle auto blu e delle spese della politica e dei ministeri a nulla varrebbe se non accompagnato dalla riduzione  dei costi per le pensioni.

L’Istituzione europea indica tra le criticità del welfare italiano l'aumento del numero di pensionati e pre-pensionati e la riduzione della forza lavoro. 

Tuttavia, i fattori che maggiormente contribuiscono al dissesto sono quelli  delle baby-pensioni, delle pensioni di anzianità, nonché quello  delle pensioni pubbliche, mediamente più ricche del 40% rispetto alle prestazioni riservate ai dipendenti privati.



Valerio Pollastrini

Nata la Wikipedia della salute e della sicurezza sul lavoro

Dopo alcuni mesi di sperimentazione, lo scorso 25 agosto  “Eu-Osha” ha presentato al Congresso Mondiale sulla Sicurezza e la Salute sul Lavoro di Francoforte la prima piattaforma online che consente agli esperti degli Enti di Ricerca e alle varie Istituzioni di creare, collaborare e condividere contenuti  sul fenomeno infortunistico e sulle malattie professionali.

La piattaforma web,  “OSHwiki”, consentirà ai suoi utenti di attingere ad una fonte di informazioni costantemente aggiornate nell’ambito della sicurezza sul lavoro, offrendo loro, allo stesso tempo,  la possibilità di creare contenuti e  collaborare in tutte le lingue.

OSHwiki mira a diventare una risorsa di riferimento non solo per gli esperti del settore, ma anche per altri soggetti impegnati nello sforzo di garantire luoghi di lavoro sani e sicuri.

Il varo della nuova piattaforma segna un passo importante nel tentativo di migliorare la salute e la sicurezza all’interno delle aziende europee, oltre a fornire un valore aggiunto ai soggetti coinvolti sia  professionalmente, che a livello personale.

Per avere la possibilità di pubblicare i propri contenuti sulla nuova enciclopedia online, gli utenti dovranno iscriversi ed accreditarsi presso l’Eu-Osha, previa valutazione di specifici requisiti, quali una comprovata esperienza nel settore e l’appartenenza ad un’organizzazione professionale operante nell’ambito della salute e della sicurezza, oppure ad un organismo nazionale o internazionale con competenze specifiche nella materia.

Allo stato attuale, risultano già coinvolti nel progetto alcuni esperti in sicurezza e salute sul lavoro alle dipendenze di numerosi istituti di ricerca, nonché organizzazioni nazionali come l’Inail.

Nel redigere i contenuti, gli esperti dovranno  rispettare i principi di OSHwiki, fornendo, in particolare,  punti di vista neutrali la cui verifica possa essere effettuata  mediante la citazione delle fonti bibliografiche.

Mentre la web community si occuperà di controllare  testi e traduzioni, per i temi più delicati e per particolari problematiche, l’Agenzia realizzerà un’analisi di tipo proattivo/preventivo.

Ad oggi, sono più di 300 gli articoli pubblicati su OSHwiki, i cui contenuti spaziano dalla gestione e organizzazione della Ssl, alle strategie di controllo e prevenzione, dalle modalità per un utilizzo sicuro delle sostanze pericolose, alle regole di ergonomia ed, infine, dall’analisi di gruppi di rischio specifici, alle questioni psicosociali.



Valerio Pollastrini

Licenziamento per violazione del segreto bancario

Nella sentenza n.19612 del 17 settembre 2014, la Corte di Cassazione ha ritenuto legittimo il licenziamento irrogato alla dipendente di un istituto bancario che aveva avvisato il cliente degli accertamenti disposti sul suo conto corrente.

Dopo che il Tribunale aveva ritenuto illegittimo il recesso, la Corte di Appello di Roma aveva sconfessato la pronuncia di primo grado, condannando la lavoratrice a restituire all’azienda le somme percepite a titolo risarcitorio.

Secondo la Corte del merito, infatti, la condotta contestata alla dipendente era stata di una gravità tale da giustificare il licenziamento.

Contro questa sentenza, la lavoratrice aveva adito la Cassazione, precisando  come, non avendo potuto subito visionare in prima persona la richiesta, avesse supposto che si trattasse di accertamenti disposti non dall’A.G. penale, ma da quella civile nell’ambito d’un processo per separazione personale fra coniugi riguardante il cliente.

La ricorrente, inoltre, aveva sostenuto di avere agito in conformità con le direttive aziendali, in base alle quali,  trattandosi di un  cliente di particolare importanza, avrebbe dovuto curarne personalmente la posizione.

A proposito della ritenuta violazione del segreto bancario, la lavoratrice aveva dedotto che questo non atterrebbe al rapporto fiduciario tra la banca ed il dipendente o tra la banca ed i terzi, bensì ai vincoli tra la banca ed il cliente.  Rapporto che, sempre a detta della ricorrente, sarebbe stato da lei  salvaguardato nel rispetto della prassi aziendale.

La lavoratrice aveva quindi contestato alla Corte territoriale la ravvisata  giusta causa di licenziamento, lamentando  la sproporzione tra la sanzione espulsiva e l’infrazione contestatale.

A sostegno della tesi volta a negare la lesione del rapporto fiduciario posto alla base del rapporto di lavoro, la ricorrente aveva sottolineato come la banca, in seguito alla sua reintegrazione disposta al termine del primo grado di giudizio, le avesse affidato, per oltre tre anni, la direzione di un’altra importante filiale.

Infine, la lavoratrice aveva ricordato che il procedimento penale, che l’aveva vista coinvolta per i fatti oggetto di contestazione, si era concluso con il suo proscioglimento dall’accusa di favoreggiamento.

Investita della questione, la Cassazione ha ritenuto infondate le censure mosse dalla ricorrente.

In particolare la Suprema Corte ha precisato che l’analisi volta ad accertare  se la violazione disciplinare addebita avesse compromesso irrimediabilmente la fiducia necessaria al permanere del rapporto di lavoro, deve riferirsi all’affidamento circa il futuro corretto adempimento dell’obbligazione lavorativa in funzione della realizzazione di leciti interessi aziendali.

Per quanto riguarda un istituto di credito, costituisce un lecito interesse quello di poter contare su lavoratori che eseguano correttamente la prestazione richiesta, eseguendo tutte le direttive aziendali senza esporre la banca a potenziali responsabilità.

Di contro, sarebbe un interesse illecito quello di fidelizzare il proprio cliente fornendogli non già migliori condizioni contrattuali, ma un aiuto, penalmente sanzionabile,  ad eludere indagini e/o misure cautelari reali legittimamente disposte dall’A.G., aiuto che, nella specie, la ricorrente aveva prestato al cliente informandolo degli accertamenti a suo carico.

Dopo questa premessa, gli ermellini hanno affermato che solo il primo di quelli sopra richiamati rappresenta un interesse giuridicamente tutelabile.

A proposito del secondo, la Corte ha precisato di non ignorare che alcuni istituti di credito possono, tacitamente o meno, incoraggiare i dipendenti affinché curino i clienti di maggior riguardo anche mediante aiuti illeciti come quello innanzi descritto.

Tuttavia, ciò non toglie che il dipendente a tanto sollecitato può andare esente da responsabilità solo ove provi di aver eseguito un preciso ordine o dimostri l’esistenza di cogenti prassi aziendali in tal senso, il che nella vicenda in oggetto non poteva dirsi emerso.

Si tratta di una conclusione che non risulta inficiata dall’asserita supposizione che gli accertamenti in corso fossero stati disposti non dall’A.G. penale, ma da quella civile nell’ambito d’un processo per separazione personale fra coniugi riguardante il cliente, in quanto ciò non esclude l’infrazione, né ne attenua la gravità.

Parimenti, il fatto che, a seguito dell’ordine di reintegra emesso in prime cure, la società abbia affidato alla ricorrente la direzione di un’altra importante filiale non smentisce l’intervenuta lesione del rapporto fiduciario tra le parti, in quanto tale provvedimento era stato disposto in applicazione del combinato disposto degli artt. 18 della legge n.300/1970 e 2103 c.c., ai sensi dei quali,  la dipendente, che già in precedenza espletava mansioni di direttrice di un’importante filiale, non poteva essere dequalificata in occasione dell’ottemperanza alla sentenza del Tribunale, provvisoriamente esecutiva.

In sostanza, la Suprema Corte ha ribadito come i giudici dell’appello avessero correttamente valutato, sia sotto il profilo oggettivo che per quello soggettivo, la proporzionalità tra infrazione disciplinare e sanzione.

Da ultimo, gli ermellini hanno ritenuto  ininfluente il proscioglimento della lavoratrice dall’accusa di favoreggiamento, non avendo il ricorso neppure allegato l’esistenza dei presupposti di vincolatività di un eventuale giudicato penale. 

Per tutte le ragioni sopra richiamate, la Cassazione ha concluso con il rigetto del ricorso, con conseguente condanna della dipendente al pagamento delle spese del processo di legittimità, liquidate in 4.000,00 € per compensi professionali, 100,00 € per esborsi,  oltre accessori come per legge.



Valerio Pollastrini

Anche il lavoratore risponde delle ritenute fiscali non versate dall’azienda

Nella sentenza n.19580 del 17 Settembre 2014, la Corte di Cassazione ha affermato che il Fisco può richiedere direttamente al dipendente  le ritenute non versate dal datore di lavoro.

Nel caso di specie, l’Agenzia delle Entrate aveva richiesto ad un dipendente la maggiore tassazione dovuta su alcuni emolumenti ricevuti dal datore di lavoro.

Il lavoratore aveva contestato la relativa cartella esattoriale, sostenendo che fosse l’azienda a dover provvedere al versamento.

Investita della questione, la Cassazione ha sottolineato come, in materia tributaria, tra sostituto d’imposta e soggetto sostituito intercorra un rapporto giuridico di solidarietà passiva nei confronti dell’Erario.

Di conseguenza, nei confronti del datore di lavoro e del dipendente risultano applicabili i principi disciplinanti tale tipo di obbligazioni, ivi compreso quello di cui all'art.1306 c. c., riguardante l'estensione del giudicato.

La Suprema Corte ha quindi concluso affermando che, pur essendo il datore di lavoro sostituto d’imposta obbligato al pagamento delle ritenute, il dipendente sostituito rimane pur sempre  obbligato solidalmente per il versamento di detti emolumenti. 

In applicazione dei principi generali della solidarietà passiva, pertanto, l’Erario può richiedere al lavoratore l’estinzione del debito relativo all’imposta non versata dall’azienda.



Valerio Pollastrini

Le modelle non sono artiste

Nella sentenza n.1672/17/14, depositata lo scorso 11 settembre, la Commissione Tributaria Regionale della Toscana ha stabilito che le top model non rivestono la qualifica di artiste.

Conseguentemente, ai compensi erogati  alle indossatrici straniere non può essere applicata, ai fini fiscali, la ritenuta del 30%,  prevista  dall'art.23 del Dpr n.600/1973 a carico dei soggetti non residenti.

Nel caso di specie, una nota casa di moda italiana, in vista della  settimana della moda di Milano, aveva acquistato da un'agenzia inglese un pacchetto di servizi per la fornitura delle modelle.

In seguito, l’Agenzia delle Entrate aveva emesso a carico dell’azienda un avviso di accertamento per il mancato versamento delle ritenute a titolo d'imposta del 30% sui compensi erogati per prestazioni professionali rese da soggetti non residenti.

Dopo che la Commissione Tributaria Provinciale di Firenze aveva accolto il ricorso dell’azienda, l’Agenzia delle Entrate si era rivolta alla Commissione Regionale.

Investito della questione, il Collegio dell’appello ha preliminarmente osservato la necessità di individuare la corretta qualificazione dell'attività di indossatrice.

In proposito, è stato osservato come il tratto distintivo dell'attività artistica sia quello della creatività, nonché quello dell’interpretazione, nonostante quest’ultimo elemento assuma rilevanza solamente al verificarsi di determinate condizioni.

Tornando al caso di specie, la Corte ha  escluso la sussistenza delle circostanze suddette.

L’azienda committente, infatti, rivolgendosi all’agenzia straniera, aveva contrattato solamente la prestazione di modelle genericamente indicate, senza richiedere la presenza di specifiche indossatrici.

Le  modalità del servizio, pertanto, avevano determinato il venir meno dell’infungibilità tipica della prestazione artistica, limitandosi le modelle a presentare, sia pure con scioltezza ed eleganza, dei capi di abbigliamento senza il significativo valore aggiunto derivante da apporti personali.

I compensi corrisposti all'agenzia inglese dovevano quindi essere inquadrati come reddito d'impresa.

A sostegno di questa interpretazione, si aggiunga che il corrispettivo pattuito comprendeva anche le competenze dell'agenzia per l'attività di selezione, l'organizzazione delle trasferte e le spese accessorie.

Risultando l’agenzia fornitrice priva di qualsiasi stabile organizzazione in Italia, tali redditi, pertanto,  in forza della convenzione Italia-Regno Unito, dovevano  essere tassati interamente nel Paese di residenza.



Valerio Pollastrini

Pubblico impiego: dirigente responsabile per l’assenteismo del dipendente

Nella sentenza n.139/2014, la Corte dei Conti della Toscana ha esteso al dirigente la responsabilità del danno contabile subito dall’Ente Pubblico a causa dell’assenteismo di un lavoratore.

Secondo la Corte, infatti, in simili casi  la responsabilità del danno deve essere imputata per due terzi al dipendente, mentre il restante terzo è a carico del dirigente, colpevole per l’omesso controllo.

Nella pronuncia in commento è stato ricordato come il legislatore abbia conferito ai dirigenti pubblici i poteri e le capacità del privato datore di lavoro.

Il caso sottoposto alla Corte dei Conti  è quello di un dipendente pubblico che, in sede penale, aveva patteggiato la condanna inflittagli per le numerose assenze ingiustificate dal lavoro, durante le quali aveva svolto l’attività di maestro di tennis.

A proposito del dirigente, rimasto estraneo alla vicenda penale, la Corte ha riconosciuto la sua responsabilità per l’omissione dei controlli dovuti sull’operato del lavoratore.

Ai fini della quantificazione del danno subito dall’Ente, il Collegio ha considerato i compensi illegittimamente percepiti per i periodi in cui il dipendente si era arbitrariamente assentato, quelli illegittimamente percepiti per la seconda attività svolta senza l’autorizzazione dell’Amministrazione, nonché i danni apportati all’immagine. 

I fini risarcitori, il dirigente è stato condannato a rifondere all’Ente un terzo dei danni suddetti.



Valerio Pollastrini

venerdì 19 settembre 2014

Al via l'apprendistato per gli studenti


A partire da quest'anno, i ragazzi iscritti agli ultimi due anni delle scuole superiori avranno  la possibilità di svolgere un periodo formativo presso le aziende, attraverso   un contratto di apprendistato.

 

La misura in commento, introdotta in via sperimentale per il triennio 2014-2016, mira ad introdurre nel nostro Paese il modello duale tedesco.

 

La prima grande impresa ad aderire al progetto è stata l’Enel che, in questi giorni, ha  ufficializzato l’intenzione di accogliere 145 studenti-apprendisti.

 

Valerio Pollastrini

Nuovo tasso di rateazione e di dilazione per i premi Inail

Nella Circolare n.38 del 9 settembre 2014, l’Inail ha comunicato che, in seguito all’intervento con il quale la Banca Centrale Europea ha fissato il tasso minimo di partecipazione per le operazioni di rifinanziamento nella misura dello 0,05%, l’Istituto ha provveduto ad aggiornare il nuovo tasso di interesse dovuto per rateazioni e dilazioni di pagamento per premi ed accessori. 

Dal 10 settembre 2014, pertanto, il nuovo tasso per le rate di pagamento nei confronti dell’Inail risulta pari al 6,05%, mentre per il calcolo delle sanzioni civili dovrà essere applicato quello del 5,55%.



Valerio Pollastrini

Diniego di emersione lavoro irregolare

Nella sentenza n.4636 dell’11 settembre 2014, il Consiglio di Stato ha confermato la legittimità del rigetto della procedura di emersione opposto ad un cittadino straniero per il mancato invio da parte del datore di lavoro della documentazione inerente alla sussistenza della disponibilità alloggiativa.

Nella vicenda in commento, un cittadino straniero aveva impugnato dinnanzi al Tar per il Lazio  il provvedimento  di reiezione della domanda di emersione di lavoro irregolare  presentata il 23 settembre 2009 a suo favore  e finalizzata all’assistenza di persona affetta da patologia o handicap, in quanto il datore di lavoro non aveva prodotto la documentazione medica ed alloggiativa necessaria ai termini di legge a pena di inammissibilità (1).

Richiamando una precedente sentenza (2), il TAR aveva respinto il ricorso, ritenendo provato che il datore di lavoro, nonostante avesse ricevuto in data  3 settembre  2011 il preavviso di rigetto, non si era presentato alla convocazione nella quale gli era stato intimato di fornire  la documentazione necessaria (3).

L’appellante aveva contestato  l’analogia tra il caso di cui alla sentenza richiamata dal TAR e quello in esame, deducendo l’assenza di motivazioni  rispetto alle questioni prospettate nel caso specifico.

In particolare non sarebbe stata considerata l’omessa comunicazione al lavoratore straniero interessato della convocazione e del preavviso di rigetto.

A detta del ricorrente, la mancanza di tali comunicazioni avrebbe avuto una influenza determinante sull’esito del procedimento. Diversamente, infatti, il lavoratore avrebbe potuto far presente che la documentazione medica fosse già in possesso dell’Amministrazione, in quanto  prodotta per altro badante precedentemente regolarizzato.

L’appellante, inoltre, aveva lamentato che ricondurre l’esito della procedura di emersione alla condotta del datore di lavoro sarebbe anticostituzionale. In tal senso, l’art.1-ter, comma 7, della Legge n.102/2009 prevede che l’assenza di ambo alle parti in risposta alla convocazione determina il suo annullamento.  Conseguentemente, sempre a detta del ricorrente,  sarebbe bastata la sua sola presenza.  

Investito della questione, il Consiglio di Stato aveva accolto l’istanza cautelare per la sospensione della sentenza appellata, rilevando che nel corso del giudizio fossero emersi elementi che richiedevano un riesame da parte delle competenti autorità, al fine di   verificare se le pur rilevanti circostanze alla base delle motivazioni del provvedimento impugnato in primo grado potessero rientrare tra le irregolarità amministrative sanabili in applicazione delle disposizioni di cui all’art.5, comma 5, primo periodo, del D.Lgs. n.286/1998.

Sul punto, la Questura di Roma - Sportello Unico per l’Immigrazione di Roma - aveva provveduto al riesame richiesto,  concludendo  che la predetta documentazione, quand’anche  fosse stata  successivamente prodotta o acquisita mediante istruttoria in giudizio,  non avrebbe potuto  sanare la mancata presentazione all’interno del procedimento amministrativo, essendo stata la datrice di lavoro puntualmente avvisata della mancanza e non essendosi presentata senza alcuna giustificazione.

Il Consiglio di Stato,  chiamata e trattenuta in decisione la causa, ha ritenuto l’appello infondato.

In premessa, il Collegio ha precisato che il riesame da parte della competente autorità amministrativa, disposto ed eseguito sulla base della ordinanza cautelare, corrisponde ed esaurisce la possibile tutela giurisdizionale riconoscibile al tipo di interesse fatto valere in giudizio da parte dello straniero interessato alla procedura di emersione.

In relazione alla mancata presentazione della datrice di lavoro o di un suo rappresentante, infatti, il provvedimento impugnato è stato giudicato legittimo.

Nonostante l’appellante avesse asserito che fosse stata fornita debita giustificazione della suddetta assenza,  unitamente alla richiesta di altra data,  l’Amministrazione, anche in sede di riesame, aveva negato tale circostanza.

Di conseguenza, deve ritenersi assodata la mancata risposta alla convocazione ed il mancato deposito della documentazione necessaria.

La Corte ha quindi ribadito come spettasse alla datrice di lavoro  informare lo straniero della convocazione e dell’avviso di procedimento, e di come di tale  condotta omissiva non potesse certo essere attribuita alcuna responsabilità all’autorità procedente.  

Per tutte le considerazioni sopra riportare, il Consiglio di Stato ha concluso con il rigetto del ricorso.
 

Valerio Pollastrini



  1. - art.1-ter della Legge n.102/2009;
  2. – Tar del Lazio, Sentenza n.986/2012;
  3. - art.1-ter, comma 7, della Legge n.102/2009;

Visite mediche periodiche - Accesso ai documenti da parte del sindacato

Nella sentenza n.2288 del 1° settembre 2014, il Tar della Regione Lombardia ha riconosciuto l’interesse legittimo del sindacato ad accedere ai dati relativi alle visite mediche periodiche dei propri iscritti, inviate dall’Amministrazione al medico competente per la sicurezza.

Nel caso in questione, l'organizzazione sindacale ricorrente aveva ricevuto segnalazioni da parte di alcuni iscritti, dipendenti dall'Agenzia delle Dogane nella Provincia di Como, di alcune  anomalie nella conduzione delle visite mediche periodiche, nell'ambito del piano di sorveglianza sanitaria relativo all'anno 2013.

Il sindacato, pertanto, aveva presentato un’istanza di accesso agli atti, chiedendo la recente documentazione indirizzata dalla Direzione al Medico Competente in occasione delle visite mediche periodiche, già effettuate e ancora da svolgersi, nell’ambito del Piano di sorveglianza sanitaria relativo all’ano 2013.

Con una nota del 20 dicembre 2013, detta istanza, ritenuta generica e non motivata in relazione alla ragione della richiesta, era stata però rigettata.

Con nuova istanza, l'organizzazione sindacale aveva presentato una richiesta di ostensione, specificando di voler accedere alle note redatte dalla Direzione dell'Ufficio delle Dogane di Como, trasmesse al medico competente nell'ambito del piano di sorveglianza sanitario relativo all'anno 2013, precisando, sotto il profilo dell'interesse, come  tali documenti assumano rilevanza sia ai fini della corretta organizzazione del lavoro che della adozione delle misure in materia di igiene e sicurezza sul luogo di lavoro con garanzia della salute dei dipendenti.

Anche la seconda istanza era stata rigettata dall’Ufficio delle Dogane di Como che, con provvedimento del 18 febbraio 2014, aveva negato che il sindacato  godesse  di un interesse concreto ed attuale  ai documenti richiesti.

L’organizzazione sindacale aveva quindi impugnato il diniego di accesso dinnanzi al Tar della Lombardia, chiedendone l’annullamento, nonché l’accertamento del proprio diritto all’ostensione di quanto richiesto.

Investito della questione, il Tribunale Amministrativo ha ritenuto il ricorso fondato e meritevole di accoglimento.

Sotto il profilo della legittimazione, il giudicante ha riconosciuto il diritto dell'organizzazione sindacale ad esercitare il potere di accesso per la cognizione di documenti che possano coinvolgere sia le prerogative del sindacato quale istituzione esponenziale di una determinata categoria di lavoratori, sia le posizioni di lavoro dei singoli iscritti nel cui interesse e rappresentanza opera l'associazione (1).

Tornando alla vicenda in commento, il Tar ha sottolineato come, nel caso di specie, ricorressero tutti i presupposti previsti dall’art.22, comma 1, lett. b), della Legge n.241/1990,  avendo l’organizzazione sindacale un interesse diretto, concreto ed attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata ai documenti in relazione ai quale era stato chiesto l’accesso.

Le tre note prodotte in giudizio dall’Avvocatura dello Stato  contenevano una descrizione della mansioni svolte dai dipendenti, al fine di verificare, da parte del medico competente, la sussistenza dei presupposti per l’esclusione del dipendente stesso da determinate attività.

Si tratta di note riguardanti  l’organizzazione del lavoro e la materia della sicurezza dei lavoratori, ambiti nei quali la sussistenza dell’interesse del sindacato risulta strettamente correlata alla finalità dell’associazione, che, tra le proprie prerogative, detiene anche quelle inerenti alle materie suddette.

A tal fine, il giudicante ha inoltre chiarito che alcuna questione legata alla privacy potesse essere fondatamente opposta. La tutela della riservatezza dei dati sanitari, infatti,  può essere adeguatamente contemperata con il diritto di accesso ai documenti attraverso semplici modalità di oscuramento del nome del dipendente.

Parimenti, non è sostenibile che l’istanza presentata fosse preordinata ad un controllo generalizzato sull’attività dell’Amministrazione. Tale locuzione, infatti, sarebbe legittima se riferita ad un’istanza ostensiva connotata da un interesse meramente esplorativo, volto ad una sorta di sindacato diffuso sull’attività dell’Amministrazione e sull’efficienza dei pubblici poteri. Circostanza del tutto esclusa nel caso di specie. 

Per tutte le considerazioni sin qui riportate, il Tar ha  ordinato all’Ufficio delle Dogane di Como di consentire all’organizzazione sindacale ricorrente l’accesso agli atti entro 10 giorni dalla comunicazione o notificazione a cura di parte della presente decisione, mediante estrazione di copie di tutte le note inviate dal predetto Ufficio al medico competente.
 

Valerio Pollastrini



  1. – Consiglio di  Stato, Sentenza n.5511 del 20 novembre 2013; T.A.R. Campania, Sentenza n.4690 del  21 novembre 2012; T.A.R. Trieste, Sentenza n.175 del  10 maggio 2012;

Negoziazione assistita per le controversie di lavoro

Nell’ambito delle misure finalizzate ad assicurare una maggiore efficienza della giustizia civile, il D.L. n.132 del 12 settembre 2014 ha introdotto, per le controversie di lavoro,  la possibilità di ricorrere ad una procedura di negoziazione assistita esclusivamente da un avvocato, modificando quanto disposto, in materia di rinunce e transazioni,  dall’art.2113 del codice civile.

Dal momento che ogni tipo di controversia di lavoro potrà dare luogo ad  una domanda di procedura di negoziazione assistita dall’avvocato, oggetto della stessa potranno essere, ad esempio, la retribuzione, la qualifica, le mansioni, l'inquadramento, l'applicazione del contratto collettivo, il licenziamento, e ogni altra controversia del rapporto di lavoro subordinato e di quelli parasubordinati, come i contratti a progetto o le partita iva.

Salvo i diritti indisponibili, in presenza di diritti inderogabili  sarà possibile azionare la procedura in commento, attraverso la quale il lavoratore, con l'assistenza dell'avvocato, potrà chiedere al datore di lavoro di stipulare la convenzione di negoziazione per addivenire ad una soluzione conciliativa della controversia.

In caso di accettazione da parte del datore di lavoro, le parti provvederanno a sottoscrivere il relativo accordo di negoziazione,  avviando così la procedura finalizzata  ad ottenere l'accordo conciliativo. 

Qualora le parti giungano ad un accordo entro il termine, prorogabile, fissato dalla convenzione di negoziazione, dovranno sottoscriverlo, rendendo quanto concordato immune da possibili impugnazioni.



Valerio Pollastrini

Problematiche legate al 730 pre-compilato

Per l’ennesima volta, la burocrazia italiana sembra avere la meglio sugli sbandierati intenti di semplificazioni. Il riferimento è al  modello 730 on-line.

Nel progetto di attuazione della dichiarazione precompilata, infatti, è stato  previsto che Caf ed intermediari abilitati alla trasmissione delle dichiarazioni dei redditi debbano richiedere ai contribuenti interessati la relativa delega, che dovrà essere inviata telematicamente, unitamente al codice fiscale, all'Agenzia delle Entrate.

L’Agenzia, inoltre, non fornirà il  modello precompilato in tempo reale, bensì in un momento successivo.

Di conseguenza, sono destinati ad allungarsi i tempi tra il rilascio della delega ed il ricevimento del modello. 

A quanto detto, si aggiungano i problemi, ancora irrisolti, legati alla privacy della raccolta delle deleghe e all'accesso alle informazioni.



Valerio Pollastrini

Cumulo della pensione con i redditi da lavoro autonomo. Dichiarazione reddituale

In relazione al divieto di cumulo della pensione con i redditi di lavoro autonomo, il quanto comma dell’art.10 del D.Lgs. n.503 del 30 dicembre 1992 dispone che i titolari di pensione sono tenuti a produrre all'ente erogatore della pensione la dichiarazione dei redditi da lavoro autonomo riferiti all'anno precedente, entro lo stesso termine previsto per la dichiarazione ai fini dell'IRPEF per il medesimo anno.

I titolari di pensione con decorrenza compresa entro l'anno 2013, soggetti al divieto di cumulo parziale della pensione con i redditi da lavoro autonomo, per detto anno sono, pertanto, tenuti a dichiarare entro il 30 settembre 2014, data di scadenza della dichiarazione dei redditi dell'anno 2013, i redditi da lavoro autonomo conseguiti nell'anno 2013.

Con il Messaggio n.7133 del 19 settembre 2014, l’Inps ha fornito alcuni chiarimenti in merito all'individuazione dei pensionati tenuti alla comunicazione dei redditi da lavoro autonomo conseguiti nell'anno 2013.

Pensionati esclusi dall’obbligo di dichiarare i redditi da lavoro autonomo conseguiti nel 2013

Sono esclusi dall'obbligo di dichiarazione, in quanto non soggetti al divieto di cumulo della pensione con i redditi da lavoro autonomo:

  • i titolari di pensione e assegno di invalidità avente decorrenza compresa entro il 31 dicembre 1994;

  • i titolari di pensione di vecchiaia (1);

  • i titolari di pensione di vecchiaia liquidata nel sistema contributivo (2);

  • i titolari di pensione di anzianità e di trattamento di prepensionamento a carico dell’assicurazione generale obbligatoria e delle forme sostitutive ed esclusive della medesima, in quanto dal 1° gennaio 2009 tali prestazioni sono totalmente cumulabili con i redditi da lavoro (3);

  • i titolari di pensione o assegno di invalidità a carico dell’assicurazione generale obbligatoria dei lavoratori dipendenti, delle forme di previdenza esonerative, esclusive, sostitutive della medesima, delle gestioni previdenziali dei lavoratori autonomi con un’anzianità contributiva pari o superiore a 40 anni (4).Si precisa che ai fini dei 40 anni è utile anche la contribuzione relativa a periodi successivi alla decorrenza della pensione, purché già utilizzata per la liquidazione di supplementi (5).

Con riferimento agli assegni di invalidità, la nota  ha ricordato che le disposizioni di cui all’art.1, comma 42, della Legge n.335/1995, secondo cui all’assegno di invalidità, nei casi di cumulo con i redditi da lavoro dipendente, autonomo o di impresa, si applicano le riduzioni di cui alla tabella G allegata alla predetta legge, continuano ad operare anche nei casi in cui l’assegno di invalidità sia stato liquidato con un’anzianità contributiva pari o superiore a 40 anni (6).

Pensionati soggetti all’obbligo di dichiarare i redditi da lavoro autonomo conseguiti nel 2013

I soggetti obbligati saranno tenuti ad effettuare la comunicazione dei redditi da lavoro autonomo conseguiti nell'anno 2013 entro il 30 settembre 2014.

A tal proposito, l’Inps ha ritenuto opportuno richiamare alcune situazioni particolari.

L'articolo 10, comma 2, del Decreto n.503/1992 stabilisce che le disposizioni in materia di incumulabilità con i redditi da lavoro non si applicano nei confronti dei titolari di pensione di invalidità dalla cui attività, dipendente o autonoma, derivi un reddito complessivo annuo non superiore all'importo del trattamento minimo del Fondo pensioni lavoratori dipendenti relativo al corrispondente anno.

Conseguentemente, i titolari di pensione di invalidità e di assegno di invalidità che,  in linea di principio, sarebbero soggetti al divieto parziale di cumulo della pensione con i redditi da lavoro autonomo, di fatto, non sono assoggettati a tale divieto qualora nell'anno 2013 abbiano conseguito un reddito da lavoro autonomo pari o inferiore a 6.440,59 €.

Il successivo comma 5, invece, stabilisce che i trattamenti pensionistici sono totalmente cumulabili con i redditi derivanti da attività svolte nell'ambito di programmi di reinserimento degli anziani in attività socialmente utili promosse da enti locali ed altre istituzioni pubbliche e private. Pertanto gli anzidetti redditi non assumono alcun rilievo ai fini dell'applicazione del divieto di cumulo con la pensione.

A sua volta, il comma 4-bis dell'articolo 11 della Legge  n.374 del 21 novembre 1991 (7) stabilisce che le indennità percepite per l'esercizio della funzione di giudice di pace sono cumulabili con i trattamenti pensionistici e di quiescenza comunque denominati.

Le indennità e i gettoni di presenza (8) percepiti dagli amministratori locali non costituiscono reddito da lavoro ai fini del cumulo con la pensione (9).

Del pari, tutte le indennità comunque connesse a cariche pubbliche non costituiscono redditi da lavoro ai fini del cumulo con la pensione (10).

Sono altresì cumulabili con il trattamento pensionistico le indennità percepite dai giudici onorari aggregati per l’esercizio delle loro funzioni (11).

A norma dell’art.86 della Legge n.342 del  21 novembre 2000, i pensionati che svolgono la funzione di giudice tributario sono esclusi dal divieto di cumulo per le indennità percepite per l’esercizio di tale funzione (12).

Redditi da dichiarare

I redditi da lavoro autonomo devono essere dichiarati al netto dei contributi previdenziali e assistenziali e al lordo delle ritenute erariali.

Il reddito d'impresa deve essere dichiarato al netto anche delle eventuali perdite deducibili imputabili all'anno di riferimento del reddito.

Con la medesima comunicazione sarà possibile dichiarare i redditi percepiti negli anni precedenti, ove non si fosse già provveduto.

Modalità di presentazione della dichiarazione

I soggetti tenuti alla dichiarazione individuati a livello centrale hanno ricevuto la richiesta di presentare la dichiarazione in argomento con il “bustone”.

Coloro che non avessero ricevuto la richiesta, pur essendo tenuti a rendere la dichiarazione, possono scaricare il modulo 503 AUT dalla sezione dedicata del portale dell’Istituto: www.inps.it – MODULI, compilarlo e inviarlo a mezzo PEC alla sede competente.

Regime sanzionatorio

I titolari di pensione che omettano di produrre la dichiarazione dei redditi da lavoro autonomo sono tenuti a versare all'ente previdenziale di appartenenza una somma pari all'importo annuo della pensione percepita nell'anno cui si riferisce la dichiarazione medesima. Detta somma sarà prelevata dall'ente previdenziale competente sulle rate di pensione dovute al trasgressore (13).

Dichiarazione a preventivo per l’anno 2014

Le trattenute delle quote di pensione non cumulabili con i redditi da lavoro autonomo vengono effettuate provvisoriamente dagli enti previdenziali sulla base della dichiarazione dei redditi che i pensionati prevedono di conseguire nel corso dell'anno (14).

A tal fine gli interessati sono tenuti a rilasciare all'ente previdenziale competente apposita dichiarazione.

Le trattenute sono conguagliate sulla base della dichiarazione dei redditi effettivamente percepiti, rilasciata dagli interessati entro lo stesso termine previsto per la dichiarazione dei redditi ai fini dell'IRPEF.

Pertanto, i pensionati, nei cui confronti trova applicazione il divieto di cumulo della pensione con i redditi da lavoro autonomo, che svolgano nel corrente anno attività di lavoro autonomo sono tenuti a comunicare il reddito che prevedono di conseguire nel corso del 2014.

Le trattenute che verranno operate sulla pensione "a preventivo" saranno conguagliate sulla base della dichiarazione dei redditi 2014 resa a consuntivo nell'anno 2015.

 Acquisizione dei redditi dichiarati dai pensionati

I redditi da lavoro autonomo dichiarati dai pensionati devono essere acquisiti con le procedure di ricostituzione delle pensioni secondo le modalità in atto.

Sono tenuti a presentare la dichiarazione reddituale a consuntivo anche i pensionati per i quali la situazione reddituale dichiarata a preventivo non abbia avuto variazioni 

Del pari sono tenuti a presentare la dichiarazione reddituale a preventivo anche i pensionati per i quali la situazione reddituale dell’anno in corso non è variata rispetto a quella dichiarata a consuntivo per l’anno precedente.
 

Valerio Pollastrini



  1. - Si ricorda che per effetto dell’articolo 72 della legge 23 dicembre 2000, n. 388 dal 1° gennaio 2001 le pensioni di vecchiaia a carico dell’assicurazione generale obbligatoria dei lavoratori dipendenti e delle forme di previdenza esonerative, esclusive, sostitutive della medesima e delle gestioni previdenziali dei lavoratori autonomi sono interamente cumulabili con i redditi da lavoro autonomo, indipendentemente dall’anzianità contributiva utilizzata per il riconoscimento e la liquidazione della prestazione;
  2. - in quanto dal 1 gennaio 2009 tale pensione è totalmente cumulabile con i redditi da lavoro, per effetto dell’articolo 19 del d.l. 25.6.2008, n. 112 convertito in legge 6.8.2008, n. 133;
  3. - v. circolare Inps n. 108 del 9.12.2008, p. 2);
  4. - v. circolare Inps n. 20 del 26 gennaio 2001;
  5. - v. circolare Inps n. 22 dell’8 febbraio 1999 e messaggio Inps n. 4233 del 23 luglio 1999;
  6. - v. circolari Inps  n. 234, punto 2, del 25 agosto 1995 e n. 20, punto 3, del 26 gennaio 2001;
  7. – aggiunto dall'articolo 15 della legge 6 dicembre 1994, n. 673;
  8. - di cui all’articolo 82, commi 1 e 2, del TUEL;
  9. - v. messaggio Inps  n. 340 del 26.9.2003, lettera B;
  10. - v. circolare Inps n. 58 del 10 marzo 1998, p. 2.1 e n. 197 del 23 dicembre 2003, p. 1;
  11. - v. circolare Inps  n. 67 del 24 marzo 2000;
  12. - v. circolare Inps n. 20 del 26 gennaio 2001;
  13. - ai sensi del comma 8 bis, aggiunto all’ articolo 10 del D. Lgs. n. 503 del 1992, dall'articolo 1, comma 211, della legge 23 dicembre 1996, n. 662;
  14. - a norma del comma 4-bis, aggiunto all'articolo 10 del D. Lgs. n. 503 del 1992 dall'articolo 1, comma 210, della legge 23 dicembre 1996, n. 662;

Le telecamere negli spogliatoi aziendali ledono la privacy

Con il Provvedimento n.357 del 10 luglio 2014 (1), il Garante della Privacy  ha ribadito il divieto per  le aziende di  installare  telecamere all’interno degli spogliatoi dei dipendenti, in quanto un simile sistema di videosorveglianza violerebbe la legittima aspettativa di intimità e la dignità dei lavoratori.

Nel caso di specie un’azienda aveva predisposto il sistema di videosorveglianza per limitare le numerose infrazioni agli armadietti dei lavoratori, dal momento che i sistemi di protezione utilizzati, così come la telecamera sita all’ingresso degli spogliatoi, avevano ottenuto scarsi risultati. 

Nel corso del procedimento, il datore di lavoro aveva  allegato alcune denunce effettuate dagli stessi dipendenti per i furti subiti, tuttavia, il Garante ha ritenuto che l’installazione di detto impianto di video sorveglianza ledesse la riservatezza dei lavoratori, proprio in virtù del fatto che la telecamera da installare avrebbe consentito di  riprendere integralmente l’intera area dello spogliatoio, zona, di per sé, connotata da una particolare aspettativa di riservatezza e di tutela della intimità e dignità della persona.
 

Valerio Pollastrini



  1. - Newsletter del 17 settembre 2014;