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MEDIA-LABOR Srl - News dal mondo del lavoro e dell'economia


mercoledì 30 gennaio 2013

Sottrazione di documentazione riservata del datore di lavoro

Il caso affrontato dalla Corte di Cassazione, nella sentenza n.20163, è quello di un lavoratore licenziato con l’accusa di essersi impossessato di documentazione riservata dell’azienda al fine di denunciare il proprio datore di lavoro.

La Suprema Corte ha confermato le pronunce dei precedenti gradi di giudizio che avevano dichiarato l’illegittimità dell’atto di recesso. Si legge nel dispositivo che “il lavoratore aveva posto la documentazione a fondamento di una denuncia proposta unicamente al fine di far valere i propri diritti nonché a far emergere condotte inadempienti e antisindacali da parte del datore di lavoro”.

Dunque la sottrazione di documenti aziendali non configura una violazione dell’obbligo di fedeltà nei confronti dell’azienda se perpetrato al fine dell’esercizio di un diritto.

Valerio Pollastrini

martedì 29 gennaio 2013

Rifiuto del lavoratore di ritirare la lettera di licenziamento

Il licenziamento è un atto unilaterale recettizio, nel senso che assume efficacia solamente nel momento in cui la controparte ne viene a conoscenza.

La sentenza della Cassazione n.21017/2012 affronta la questione del lavoratore che si rifiuti di ritirare la comunicazione del recesso. Nel caso di specie il lavoratore aveva rifiutato di ricevere direttamente la comunicazione dal datore di lavoro, chiedendo che gli venisse inviata per posta, salvo poi lamentare di non averla ricevuta.

La Suprema Corte ha ritenuto valido il licenziamento in quanto il rifiuto del destinatario di ricevere l’atto non esclude che la comunicazione debba ritenersi regolarmente avvenuta.

La circostanza che si tratti di un atto recettizio non impedisce l’applicazione del principio generale in base al quale il rifiuto della prestazione da parte del destinatario non può risolversi a danno dell’obbligato, ed alla regola della presunzione di conoscenza dell’atto desumibile dall’Art.1335 c.c.

Valerio Pollastrini

Legittimo l’insulto al capo arrogante purché proferito senza minacce

La sentenza n.4245 del 2013 si segnala per alcuni spunti interessanti relativi alla gestione dei rapporti “umani” all’interno delle aziende.

Nel caso di specie la Corte di Cassazione ha giudicato pienamente legittima l’offesa pronunciata da un lavoratore al proprio capo, reo di aver posto in essere nei suoi confronti condotte offensive e vessatorie. 

Se il “vaffa” in questo caso è giustificato, altrettanto non può dirsi per la frase “ti spacco la faccia”, idonea, a detta della Suprema Corte, ad incutere timore  e quindi configurabile come minaccia.

Dunque legittima è l’offesa pronunciata in risposta al mobbing ma non la minaccia per la quale il lavoratore ha subito una condanna al risarcimento del danno.

Valerio Pollastrini

lunedì 28 gennaio 2013

ASSICURAZIONE INAIL CONTRO GLI INFORTUNI DOMESTICI

La legge n.493/1999 promuove iniziative dirette a tutelare la sicurezza e la salute attraverso la prevenzione delle cause di nocivita' in ambiente domestico ed ha introdotto  una forma assicurativa contro il rischio infortunistico derivante dal lavoro svolto negli ambienti di civile abitazione.
Si tratta della c.d. assicurazione Inail per le casalinghe. Nelle pagine seguenti di riporta il vademecum elaborato dall’Istituto sugli obblighi di iscrizione.
Chi si deve assicurare
Sono obbligati ad assicurarsi coloro, in età compresa tra i 18 ed i 65 anni, che svolgono in via non occasionale, gratuitamente e senza vincolo di subordinazione, lavoro finalizzato alle cure della propria famiglia e dell’ambiente in cui si dimora. Sono esclusi coloro che svolgono altra attività che comporti l’iscrizione a forme obbligatorie di previdenza sociale.

Come ci si assicura
Prima iscrizione
Ritirare il bollettino di pagamento (intestato ad INAIL Assicurazione Infortuni Domestici, P.le Pastore, 6 - 00144 Roma) presso gli Uffici Postali, le Sedi INAIL, le Associazioni di categoria (Donne Europee Federcasalinghe, Moica e Scale Ugl). Compilare il bollettino facendo attenzione ad inserire esattamente i dati e soprattutto il codice fiscale.
Versare l'importo di € 12,91 presso gli uffici Postali alla data di maturazione dei requisiti assicurativi.
Tale importo (o premio) non è frazionabile su base mensile, ed è deducibile ai fini fiscali.

Rinnovo iscrizione
Coloro che si sono già iscritti negli anni passati riceveranno, entro la fine di ogni anno, una lettera dell’INAIL con il bollettino precompilato contenente anche i dati dell’assicurato e l’importo da versare entro il 31 gennaio. Se tale termine scade in un giorno festivo, è prorogato di diritto al giorno seguente non festivo.

Coloro che, per eventuali disguidi, non dovessero ricevere la suddetta documentazione a domicilio, dovranno utilizzare lo specifico bollettino di c/c n.30621049  di € 12,91 intestato ad INAIL Assicurazione Infortuni Domestici, P.le Pastore, 6 - 00144 Roma, reperibile presso gli Uffici postali, le Sedi INAIL, le Associazioni di categoria. Il bollettino dovrà essere compilato facendo attenzione ad inserire esattamente i dati e soprattutto il codice fiscale.

Richiesta online del bollettino di pagamento
È possibile richiedere il bollettino online. Tale funzione potrà essere utilizzata sia da coloro che non hanno ricevuto il bollettino di pagamento al proprio domicilio o lo hanno smarrito e sia da coloro che devono effettuare la prima iscrizione. Per poter procedere con la richiesta è necessaria la registrazione al portale INAIL indicando il profilo "Cittadino". Per ulteriori informazioni sulla richiesta online del bollettino è possibile consultare il manuale appositamente predisposto.
Pagamento del premio online
È possibile effettuare il pagamento del premio assicurativo online attraverso il servizio di c/c online (home banking) e, per i titolari di carta di credito VISA o Mastercard, carta prepagata Postepay o conto Bancoposta, anche sul portale www.inail.it.
Pagamento del premio tramite bonifico bancario
Il pagamento del premio può essere effettuato anche tramite bonifico bancario indicando il codice IBAN n. IT90D0760103200000030625008, presente anche sul bollettino precompilato. Nella causale del bonifico è necessario indicare il codice fiscale della casalinga/o, l'anno di competenza del premio, il codice utente, il nome e il cognome della casalinga/o.

Coloro, che si iscrivono per la prima volta all'assicurazione e vogliono pagare il premio tramite bonifico bancario devono indicare lo stesso codice IBAN e nella causale del bonifico il codice fiscale della casalinga/o, l'anno di competenza del premio, il nome e il cognome della casalinga/o e l'indirizzo.

Soggetti che non devono pagare il premio
Il premio è a carico dello Stato se l'assicurato per l'anno precedente ha un reddito che non supera i 4.648,11 Euro e se appartiene ad un nucleo familiare il cui reddito complessivo non supera i 9.296,22 Euro.
I soggetti per i quali il pagamento del premio è a carico dello Stato:

  • in caso di prima iscrizione devono compilare il modulo di autocertificazione che attesti il possesso dei requisiti per l'esonero. Il modello di autocertificazione (in formato pdf) è anche reperibile presso le Associazioni delle casalinghe, i Patronati, le Sedi INAIL e, una volta compilato, può essere consegnato agli stessi.
  • per gli anni successivi alla prima iscrizione:
    • se rientrano nei limiti di reddito restano automaticamente assicurati senza effettuare nessuna comunicazione
    • se superano i limiti di reddito devono pagare il premio di 12,91 euro entro il 31 gennaio
    • se perdono anche uno solo dei requisiti per l'iscrizione devono chiedere la cancellazione utilizzando l'apposito modello (.doc 30 kb).
Ulteriori informazioni possono essere richieste:
  • Chiamando il numero del Contact Center
  • Sul portale internet www.inail.it
  • Presso tutte le Sedi INAIL
  • Presso le Associazioni delle Casalinghe (DonnEuropee Federcasalinghe 06-68806804; Movimento Italiano Casalinghe/MOICA 030-2006951 dal lun. al ven. dalle ore 9.30 alle ore 12.00; Sindacato Casalinghe Lavoratrici Europee-SCALE UGL 06-32482242 - lun. mer. ven. dalle ore 15.00 alle ore 16.30) ed i Patronati.

venerdì 25 gennaio 2013

Un grazie ai nostri lettori per le 10.000 visualizzazioni

La Media-Labor Onlus è un’associazione impegnata nella divulgazione  gratuita di tutte le novità legislative rientranti nel campo del diritto del lavoro, con particolare riguardo alla tutela dei lavoratori subordinati.
In questi sei mesi il nostro blog “Lavoro, Sindacato e Previdenza” ha superato le 10 mila visualizzazioni. Con questa breve nota vogliamo pertanto ringraziare il Dott. Valerio Pollastrini che ne gestisce la redazione e coloro che ci seguono ormai in tutto il mondo.

Lavoro in cooperativa – sospensione dei rapporti per cause economiche

In caso di difficoltà economica, le cooperative hanno la possibilità di sospendere temporaneamente il rapporto di lavoro dei soci lavoratori a patto che tale possibilità sia contemplata nel regolamento interno approvato dall’assemblea.
A stabilirlo è l’interpello n.1/2013 con il quale il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha risposto all’istanza promossa dall’Associazione Generale Cooperative italiane, dalla Confcooperative e dalla Legacoop.
La Direzione generale per l’Attività Ispettiva ha ricordato che la legge n.142/2001, così come modificata dalla legge n.30/2003, prevede una peculiare disciplina del rapporto di lavoro instaurato tra una cooperativa ed i suoi soci lavoratori. Questi ultimi, attraverso la propria adesione, stabiliscono con l’azienda un ulteriore rapporto giuridico, di natura autonoma o subordinata, contribuendo in tal modo al raggiungimento degli scopi sociali.
Ai soci devono essere garantite tutte le garanzie e le tutele previste  per la generalità degli altri lavoratori, specie per quanto riguarda gli aspetti retributivi. Nel contempo, con la sottoscrizione del contratto associativo, essi aderiscono a tutte le clausole previste dal regolamento interno.
La legge n.30/2003 ha eliminato la precedente previsione normativa che impediva al regolamento interno di introdurre disposizioni derogatorie anche in peius rispetto alle clausole estranee al trattamento economico contrattuale.
Sulla base del quadro normativo così delineato, l’assemblea di una cooperativa ha la facoltà di deliberare all’occorrenza un piano di crisi aziendale, volto alla salvaguardia dei livelli occupazionali, mediante il quale può stabilire “la possibilità di una riduzione temporanea dei trattamenti economici integrativi”, nonché “il divieto per l’intera durata del piano di distribuzione degli utili”.
In risposta all’interpello, il Ministero ha tenuto a precisare che l’eventuale deliberazione aziendale dello stato di crisi deve avere carattere di eccezionalità, ciò al fine di evitare che vengano perpetrati abusi in danno dei soci lavoratori.
Alla luce delle considerazioni appena esposte, il regolamento interno può quindi modificare esclusivamente aspetti di carattere normativo contemplati dalla contrattazione collettiva nazionale di settore, quali ad esempio, l’allungamento del periodo di prova, nonché introdurre ulteriori istituti normativi che non risultano disciplinati dal medesimo contratto collettivo, garantendo il rispetto dei principi di trasparenza e parità di trattamento nei confronti dei soci lavoratori.
Nello specifico, in caso di riduzione dell’attività lavorativa per cause di forza maggiore o di circostanze oggettive, ovvero nelle ipotesi di crisi determinate da difficoltà temporanee della cooperativa, il regolamento interno potrebbe prevedere l’istituto della sospensione del rapporto di lavoro e, dunque, della sospensione delle reciproche obbligazioni contrattuali, scongiurando in tal modo il rischio di licenziamenti.
In conformità ai principi inderogabili di trasparenza e parità di trattamento, è comunque necessario che le cause legittimanti la sospensione temporanea dell’attività siano specificatamente individuate dal regolamento interno e di volta in volta deliberate dal consiglio di amministrazione della cooperativa o comunque da chi abbia titolo secondo statuto.
Risulta inoltre di fondamentale importanza che nell’ambito del regolamento interno siano declinate inequivoche condizioni che consentano, nel periodo di sospensione concordata delle reciproche prestazioni, un equilibrato utilizzo di tutta la forza lavoro della cooperativa, mediante specifica individuazione di criteri oggettivi di turnazione/rotazione del personale.

Valerio Pollastrini

giovedì 24 gennaio 2013

Violazioni in materia di apprendistato

Trasmettiamo integralmente la circolare n.5/2013 con la quale il MInistero del lavoro e delle politiche sociali ha voluto fornire alcune indicazioni operative relative alle violazioni in materia di apprensistato.


Oggetto: L.n.92/2012 - violazioni in materia di apprendistato - indicazioni operative per il personale ispettivo

La L. n. 92/2012 è intervenuta a modificare anche la disciplina dell’apprendistato, contenuta nel recente D.Lgs. n. 167/2011. Si tratta, da un lato, di interventi che interessano trasversalmente tutte le tipologie di apprendistato disciplinate dal Decreto (per la qualifica e per il diploma professionale, professionalizzante o contratto di mestiere, di alta formazione e ricerca) e, dall’altro, di interventi legati alla specifica disciplina del contratto di apprendistato professionalizzante.
In relazione sia alle “vecchie” che alle “nuove” disposizioni appare necessario fornire indicazioni di carattere operativo al personale ispettivo, al fine di una corretta applicazione delle sanzioni contenute nell’art. 7, commi 1 e 2, del D.Lgs. n. 167/2011, declinando altresì una casistica esemplificativa delle violazioni più ricorrenti.
Va infatti sin da subito evidenziato che il D.Lgs. n. 167/2011 prevede, in relazione a ciascuna tipologia di apprendistato ed in osservanza dell’art. 117 Cost., un riparto di competenze fra Stato e Regioni sensibilmente diverso quanto a profili formativi, il che determina una specifica responsabilità in ordine alla attivazione della stessa formazione.
Da ciò deriva che anche l’attività di vigilanza debba necessariamente diversificarsi in relazione alla tipologia di apprendistato posta in essere, tenendo in debito conto che l’apprendistato per la qualifica e il diploma professionale nonché quello di alta formazione e ricerca richiedono un intervento da parte delle Regioni talvolta indispensabile ai fini di un corretto adempimento degli obblighi formativi.
1. Obblighi formativi e accertamento delle violazioni
Relativamente agli aspetti sanzionatori il Legislatore stabilisce anzitutto, all’art. 7, comma 1, del D.Lgs. n. 167/2011, che “in caso di inadempimento nella erogazione della formazione di cui sia esclusivamente responsabile il datore di lavoro e che sia tale da impedire la realizzazione delle finalità di cui agli articoli 3, 4 e 5, il datore di lavoro è tenuto a versare la differenza tra la contribuzione versata e quella dovuta con riferimento al livello di inquadramento contrattuale superiore che sarebbe stato raggiunto dal lavoratore al termine del periodo di apprendistato, maggiorata del 100 per cento, con esclusione di qualsiasi altra sanzione per omessa contribuzione”.
La disposizione evidenzia, così come già avveniva con l’art. 53 del D.Lgs. n. 276/2003, il duplice requisito della esclusiva responsabilità del datore di lavoro e della gravità della violazione, tale da impedire il raggiungimento dell’obiettivo formativo.
Rispetto a ciascuna tipologia di apprendistato occorre dunque mettere in evidenza quali siano i “margini” della responsabilità datoriale in ordini agli obblighi formativi, in quanto solo rispetto a tali “margini” è possibile un intervento ispettivo volto a ripristinare un corretto svolgimento del rapporto di apprendistato ovvero l’applicazione del regime sanzionatorio indicato.
1.2 Apprendistato per la qualifica e per il diploma professionale
Come già chiarito con circ. n. 29/2011, in caso di apprendistato per la qualifica o per il diploma professionale la responsabilità del datore di lavoro si configura nell’ipotesi in cui lo stesso non consenta al lavoratore di seguire i percorsi formativi esterni all’azienda previsti dalla regolamentazione regionale e/o non effettui quella parte di formazione interna eventualmente prevista dalla stessa regolamentazione regionale.
Ciò presuppone tuttavia che i percorsi formativi esterni all’azienda, oltre ad essere stati disciplinati, siano stati anche di fatto “attivati”.
In assenza della loro attivazione il datore di lavoro non potrà infatti essere ritenuto “esclusivamente” responsabile dell’obbligo formativo in questione, con la conseguente inapplicabilità della disposizione sanzionatoria di cui al citato art. 7, comma 1, del D.Lgs. n. 167/2011.
In tali casi resterebbero in capo al datore di lavoro gli eventuali adempimenti di carattere amministrativo previsti dalla Regione ai fini del coinvolgimento dell’apprendista nei percorsi formativi.
Qualora, viceversa, i percorsi formativi siano stati attivati e il datore di lavoro non abbia posto in essere i citati adempimenti di carattere amministrativo, il personale ispettivo sarà tenuto ad applicare la procedura sanzionatoria di cui all’art. 7, comma 1, del D.Lgs. n. 167/2011 provvedendo, laddove possibile, alla emanazione di una disposizione.
Occorre ancora precisare che l’eventuale attivazione dei percorsi formativi regionali solo dopo l’avvio del rapporto di apprendistato (ad esempio dopo un anno dall’inizio del rapporto) non comporterà automaticamente un obbligo di “recupero”, in capo al datore di lavoro, di tutta la formazione non effettuata nel periodo antecedente, ferma restando la possibilità, da parte delle Regioni, di disciplinare specificatamente gli obblighi formativi concernenti i rapporti di apprendistato già avviati.

1.3 Apprendistato professionalizzante o contratto di mestiere
In relazione al contratto di apprendistato professionalizzante le responsabilità legate al corretto adempimento degli obblighi formativi vanno inquadrate diversamente a seconda che si tratti di formazione trasversale o di formazione di tipo professionalizzante o di mestiere.
Per quanto concerne la formazione trasversale, poiché quest’ultima è disciplinata e gestita dalle Regioni, è possibile rinviare a quanto già chiarito in relazione al contratto di apprendistato per la qualifica o il diploma professionale. Al riguardo è solo possibile precisare che:
- laddove la Regione decida di rendere facoltativa tale formazione, in assenza della configurabilità di un vero e proprio obbligo, in caso di mancata formazione non è possibile l’adozione di un provvedimento di carattere sanzionatorio e quindi della disposizione;
- laddove il contratto collettivo di riferimento scelga di rimettere al datore di lavoro l’obbligo di erogare anche la formazione trasversale, nelle more dell’intervento della Regione, non potrà non ravvisarsi un corrispondente “ampliamento” delle responsabilità datoriali e pertanto dei connessi poteri sanzionatori in capo al personale ispettivo.
Quanto alla formazione di tipo professionalizzante o di mestiere è sufficiente ribadire quanto già chiarito con circ. n. 29/2011, secondo cui la responsabilità del datore di lavoro si potrà configurare nell’ipotesi in cui lo stesso non effettui la formazione interna in termini di “quantità”, contenuti e modalità previsti dal contratto collettivo e declinati nel piano formativo individuale.
1.4 Apprendistato di alta formazione e ricerca
Quanto all’apprendistato di alta formazione e ricerca, l’art. 5, comma 2, del D.Lgs. n. 167/2011 stabilisce anzitutto che “la regolamentazione e la durata del periodo di apprendistato (…) è rimessa alle Regioni, per i soli profili che attengono alla formazione, in accordo con le associazioni territoriali dei datori di lavoro e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, le università, gli istituti tecnici e professionali e altre istituzioni formative o di ricerca comprese quelle in possesso di riconoscimento istituzionale di rilevanza nazionale o regionale e aventi come oggetto la promozione delle attività imprenditoriali, del lavoro, della formazione, della innovazione e del trasferimento tecnologico”.
In tale ipotesi è possibile dunque rinviare alle medesime considerazioni svolte in relazione al contratto di apprendistato per la qualifica o per il diploma professionale. È cioè possibile adottare provvedimenti di carattere sanzionatorio - previa disposizione, ove possibile - solo laddove, una volta disciplinati ed attivati i percorsi formativi, il datore di lavoro non ponga in essere tutti quegli
adempimenti di carattere amministrativo volti a consentire il corretto svolgimento del percorso formativo.
Il comma 3 del citato art. 5 stabilisce tuttavia che “in assenza di regolamentazioni regionali l’attivazione dell’apprendistato di alta formazione o ricerca è rimessa ad apposite convenzioni stipulate dai singoli datori di lavoro o dalle loro associazioni con le Università, gli istituti tecnici e professionali e le istituzioni formative o di ricerca di cui al comma che precede” (trattasi di “istituzioni formative o di ricerca comprese quelle in possesso di riconoscimento istituzionale di rilevanza nazionale o regionale e aventi come oggetto la promozione delle attività imprenditoriali, del lavoro, della formazione, della innovazione e del trasferimento tecnologico”).
In tali ipotesi il personale ispettivo avrà come unico parametro di riferimento, ai fini della individuazione responsabilità datoriali, le citate convenzioni, rispetto alle quali occorrerà distinguere:
- da un lato la formazione esterna, rispetto alla quale il datore di lavoro rimane responsabile nei limiti di cui si è già detto in relazione alle precedenti tipologie di apprendistato;
- dall’altro la “quantità”, i contenuti e le modalità della formazione interna, rispetto alla quale il personale ispettivo deve operare analogamente a quanto avviene in relazione agli accertamenti sullo svolgimento della formazione in apprendistato professionalizzante o di mestiere.
2. Obblighi formativi e sanzioni
L’inadempimento formativo “di cui sia esclusivamente responsabile il datore di lavoro,
qualora recuperabile, deve essere oggetto di disposizione, così come prevede l’art. 7, comma 1, del D.Lgs. n. 167/2011. Solo laddove non sia possibile recuperare il “debito formativo”, così come chiarito con circ. n. 29/2011, sarà dunque applicabile la sanzione prevista dallo stesso art. 7.
Sul punto va ricordato che le eventuali violazioni legate alla mancata formazione dell’apprendista sono di esclusiva competenza del personale ispettivo di questo Ministero; ciò sia in ragione della previsione che richiede l’utilizzo della disposizione al fine di ripristinare un corretto svolgimento del rapporto - potere notoriamente assegnato ai soli ispettori del lavoro ai sensi dell’art. 10 del D.P.R. n. 520/1955 e dell’art. 14 del D.Lgs. n. 124/2004 - sia in quanto solo con riferimento alle violazioni amministrative di cui all’art. 7, comma 2, del D.Lgs. n. 167/2011 è prevista esplicitamente una competenza anche del personale ispettivo degli Istituti.
Occorre poi chiarire che la formazione di cui si tratta è la c.d. formazione formale. Sul punto può richiamarsi la corrispondente nozione di “apprendimento formale” di cui all’art. 4, comma 52, della L. n. 92/2012 nonché di cui al Decreto interministeriale del 26 settembre 2012 di recepimento dell’accordo del 19 aprile 2012 sancito in sede di Conferenza permanente fra Stato, Regioni e P.A. di Trento e Bolzano “per la definizione di un sistema nazionale di certificazione delle competenze comunque acquisite in apprendistato a norma dell’art. 6 del D.Lgs. n. 167/2011”. In tale occasione
è stato infatti stabilito che per apprendimento formale si intende: l’“apprendimento erogato in un contesto organizzativo e strutturato appositamente progettato come tale, in termini di obiettivi di apprendimento e tempi o risorse per l’apprendimento. L’apprendimento formale è intenzionale dal punto di vista del discente. Di norma si conclude in una convalida e in una certificazione”.
Ai fini delle verifiche in questione il personale ispettivo dovrà pertanto considerare la “quantità”, i contenuti e le modalità della formazione formale individuata come tale dalla contrattazione collettiva e declinata nel piano formativo individuale provvedendo sia a verificare la documentazione che “certifica” la formazione svolta, sia ad acquisire le dichiarazioni del lavoratore interessato e di altri soggetti in grado di confermare l’effettività di tale formazione.
Ciò premesso, l’emanazione della disposizione dovrà tener conto della possibilità di recuperare il debito formativo, il che appare proporzionalmente più difficile in relazione all’approssimarsi della scadenza del periodo formativo inizialmente individuato.
Al fine di uniformare il comportamento ispettivo è dunque possibile fornire le seguenti indicazioni, sinteticamente esposte nella tabella che segue, circa la possibilità di emanare il provvedimento di disposizione ovvero direttamente la sanzione di cui all’art. 7, comma 1, del D.Lgs. n. 167/2011.
Al riguardo si rappresenta che, nei casi di più complessa valutazione, si ritiene opportuno procedere alla emanazione della disposizione, sia al fine di consentire pur sempre una possibilità di recupero del debito formativo sia in quanto, in assenza di tale recupero, sarà applicabile comunque la sanzione di cui al citato art. 7 nonché la sanzione amministrativa di cui all’art. 11 del D:P.R. n. 520/1955.
In ogni caso la disposizione potrà/non potrà essere emanata nelle ipotesi che seguono:

durata del periodo formativo pari a 3 anni
Accertamento durante il primo
anno di apprendistato
Accertamento durante il
secondo anno di apprendistato
Accertamento durante il terzo
anno di apprendistato
La disposizione va sempre
emanata
La disposizione non è emanata in
caso di formazione formale
effettuata meno del 40% di quella
prevista sommando le ore
richieste nel PFI nel primo anno +
la “quota parte” delle ore previste
nel secondo anno
La disposizione non è emanata in
caso di formazione formale
effettuata meno del 60% di quella
prevista sommando le ore
richieste nel PFI nel primo e nel
secondo anno + la “quota parte”
delle ore previste nel terzo anno
A titolo esemplificativo
Ipotesi: contratto di apprendistato professionalizzante che prevede un periodo formativo pari a 3 anni ed un monte ore di formazione formale tecnico-professionale e specialistica di 120+120+120 (tot. 360 ore).
- accertamento nel corso della metà del secondo anno di apprendistato, in un momento in cui l’apprendista avrebbe dovuto effettuare 120 ore di formazione (quella prevista per il primo anno) + 60 ore di formazione (quella prevista per la “quota parte” del secondo anno), per un totale di 180 ore. La formazione effettuata è tuttavia pari a 60 ore e cioè al 33% del totale della formazione dovuta. La disposizione non può essere emanata e si procede direttamente con la sanzione prevista dall’art. 7, comma 1, del D.Lgs. n. 167/2011;
- accertamento nel corso della metà del terzo anno di apprendistato, in un momento in cui l’apprendista avrebbe dovuto effettuare 120 ore di formazione (quella prevista per il primo anno) + 120 ore di formazione (quella prevista per il secondo anno) + 60 ore di formazione (quella prevista per la “quota parte” del terzo anno), per un totale di 300 ore. La formazione effettuata è tuttavia pari a 220 ore e cioè al 73% del totale della formazione dovuta. La disposizione deve essere emanata ai fini del recupero del debito formativo.

durata del periodo formativo pari a 5 anni
Accertamento
durante il primo
anno di
apprendistato
Accertamento
durante il secondo
anno di
apprendistato
Accertamento
durante il terzo
anno di
apprendistato
Accertamento
durante il quarto
anno di
apprendistato
Accertamento
durante il quinto
anno di
apprendistato
La disposizione va sempre emanata
La disposizione non è emanata in caso di formazione formale effettuata meno del 40% di quella prevista sommando le ore richieste nel PFI nel primo anno + la “quota parte” delle ore previste nel secondo anno
La disposizione
non è emanata in caso di formazione formale effettuata meno del 50% di quella prevista sommando le ore richieste nel PFI nel primo e nel secondo anno + la “quota parte” delle ore previste nel terzo anno
La disposizione
non è emanata in caso di formazione formale effettuata meno del 60% di quella prevista sommando le ore richieste nel PFI nel primo, nel secondo e nel terzo anno + la “quota parte” delle ore previste nel quarto
anno
La disposizione
non è emanata in caso di formazione formale effettuata meno del 70% di quella prevista sommando le ore richieste nel PFI nel primo, nel secondo, nel terzo e nel quarto anno +
la “quota parte” delle ore previste nel quinto anno
A titolo esemplificativo
Ipotesi: contratto di apprendistato professionalizzante che prevede un periodo formativo pari a 5 anni ed un monte ore di formazione formale tecnico-professionale e specialistica di 120+120+120+120+120 (tot. 600 ore).
- accertamento nel corso della metà del quarto anno di apprendistato, in un momento in cui l’apprendista avrebbe dovuto effettuare 120 ore di formazione (quella prevista per il primo anno) + 120 ore di formazione (quella prevista per il secondo anno) + 120 ore di formazione (quella prevista per il terzo anno) + 60 ore di formazione (quella prevista per la “quota parte” del quarto anno), per un totale di 420 ore. La formazione effettuata è tuttavia pari a 350 ore e cioè al 83% del totale della formazione dovuta. La disposizione deve essere emanata ai fini del recupero del debito formativo.

Sanzioni amministrative
In caso di applicazione della sanzione di cui all’art. 7, comma 1, del D.Lgs. n. 167/2011 il personale ispettivo, oltre ad effettuare le relative comunicazioni all’Istituto, adotterà le consuete sanzioni amministrative legate al “disconoscimento” del rapporto di apprendistato ed alla sua riconduzione a quella che costituisce “la forma comune di rapporto di lavoro”.
Va infatti precisato che, sebbene l’apprendistato rappresenti già un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, il suo “disconoscimento” determina importanti conseguenze quantomeno sotto il profilo del computo del lavoratore nell’ambito dell’organico aziendale.
Pertanto, la violazione degli adempimenti amministrativi (quantomeno di quello relativo alla comunicazione al Centro per l’impiego e della consegna di una sua copia al lavoratore) non può non rilevare sotto il profilo sanzionatorio.
3. Presenza del tutor o referente aziendale
Appare opportuno chiarire l’ipotesi in cui il datore di lavoro, nonostante espresse previsioni del contratto collettivo, non individui o non disponga l’affiancamento di un tutor o referente aziendale all’apprendista.
Sul punto si premette che l’affiancamento della figura del referente aziendale accanto a quella del tutor rappresenta una “formalizzazione” di terminologie già adoperate dalla contrattazione collettiva (v. ad es. l’accordo fra Confcommercio FILCAMS-CGIL, FISASCATCISL e UILTUCS-UIL del 23 settembre 2009) senza che da ciò possano derivare conseguenze sul piano delle attività rimesse a tali soggetti.
La disciplina in materia è infatti demandata esclusivamente alla contrattazione collettiva ai sensi dell’art. 2, comma 1 lett. d), del D.Lgs. n. 167/2011, ferma restando la possibilità di prevedere analoghe disposizioni da parte delle Regioni in relazione al corretto adempimento degli obblighi formativi di loro competenza (ad es., per l’apprendistato professionalizzante, le 120 triennali di formazione “esterna”).
In linea di principio, pertanto, il tutor o referente aziendale comunque esso venga definito e in ragione della capacità di autodeterminazione delle parti sociali prevista dal Legislatore, deve essere in possesso esclusivamente dei requisiti individuati dalla contrattazione collettiva, essendo sostanzialmente abrogato il D.M. 28 febbraio 2000.
Allo stesso tutor le parti sociali possono inoltre assegnare compiti assolutamente diversificati, che vanno dall’insegnamento delle materie oggetto di formazione interna a quello della semplice “supervisione” circa il corretto svolgimento della formazione. Talvolta il tutor svolge pertanto delle funzioni esclusivamente di “controllo” della corretta effettuazione della formazione e/o di “raccordo” tra apprendista e soggetto formatore.
Ciò premesso non può certamente sostenersi che violazioni della disciplina in materia di “presenza di un tutore o referente aziendale” determinino automaticamente l’applicazione del regime sanzionatorio di cui all’art. 7, comma 1, del D.Lgs. n. 167/2011 per mancata formazione dell’apprendista.
In tali ipotesi occorre infatti evidenziare:
- in primo luogo se la formazione è stata comunque effettuata secondo “quantità”, contenuti
e modalità previste dal contratto collettivo e
- in secondo luogo, quale sia il ruolo assegnato al tutor dallo stesso contratto. Cosicché, qualora il tutor svolga un ruolo esclusivamente di “controllo”, la sua assenza non potrà mai comportare una mancata formazione. In tal caso, pertanto, il personale ispettivo dovrà comunque esplicitare e documentare le carenze formative derivanti dall’assenza del tutor che si riverberano sul mancato raggiungimento degli obiettivi formativi.

Analoghe conclusioni possono aversi nell’ipotesi in cui il tutor individuato dal datore di lavoro sia privo dei requisiti richiesti dalla contrattazione collettiva.
Eventuali violazioni in materia saranno dunque sanzionabili esclusivamente ai sensi dell’art. 7, comma 2, del D.Lgs. n. 167/2011, con sanzione amministrativa pecuniaria da € 100 a € 600 diffidabile ai sensi dell’art. 13 del D.Lgs. n. 124/2004 (in caso di recidiva la sanzione varia da € 300 a € 1.500).

4. Limiti numerici di assunzione di personale apprendista
L’art. 1, comma 16 lett. c), della L. n. 92/2012 sostituisce il comma 3 dell’art. 2 del D.Lgs. n. 167/2011, introducendo una disciplina in parte nuova in relazione ai limiti numerici di assunzione di apprendisti.
Secondo la riforma, il numero complessivo di apprendisti che un datore di lavoro può assumere, direttamente o indirettamente per il tramite delle agenzie di somministrazione di lavoro ai
sensi dell’articolo 20 del D.Lgs. n. 276/2003, “non può superare il rapporto di 3 a 2 rispetto alle maestranze specializzate e qualificate in servizio presso il medesimo datore di lavoro”.
A titolo esemplificativo, pertanto, qualora il datore di lavoro possa disporre, ad esempio, di 10 lavoratori specializzati o qualificati, il numero di apprendisti da poter impiegare sarà pari a 15. In sostanza ogni 2 lavoratori specializzati o qualificati è dunque possibile assumere 3 apprendisti (10/2x3=15).
Si tratta dunque di un incentivo all’utilizzo di tale tipologia contrattuale ma che trova applicazione esclusivamente per le imprese di medie o grandi dimensioni - dalle 10 unità in poi - e solo a partire dal 1° gennaio 2013. Resta infatti confermato, “per i datori di lavoro che occupano un numero di lavoratori inferiore a dieci unità”, il precedente rapporto del 100% fra maestranze specializzate e qualificate e apprendisti.
Resta altresì confermata la disposizione secondo cui:
- il datore di lavoro che non abbia alle proprie dipendenze lavoratori qualificati o specializzati, o che comunque ne abbia in numero inferiore a 3, può assumere apprendisti in numero non superiore a 3;
- la speciale disciplina prevista per le imprese artigiane dall’art. 4 della L. n. 443/1985.

Sul punto appare opportuno ricordare che questo Ministero, con risposta ad interpello n. 11/2010, ha fornito una interpretazione della disciplina sui limiti numerici già prevista dal D.Lgs. n. 276/2003, seguendo principi che possono ritenersi applicabili anche in relazione al nuovo apprendistato.
In particolare è stato precisato che detto limite (“100 per cento delle maestranze specializzate e qualificate”) “è evidentemente legato alla necessità di garantire una adeguata formazione e affiancamento del lavoratore” e pertanto è possibile il “computo di lavoratori comunque rientranti nella medesima realtà imprenditoriale, anche se operanti in unità produttive o sedi diverse da quelle in cui opera l’apprendista”.
Sulla base di tali premesse appare altresì corretto considerare quali “maestranze specializzate e qualificate”, ai fini dell’individuazione dei limiti numerici, anche i soci o i coadiuvanti familiari che prestano attività lavorativa con carattere di continuità e abitualità, sempreché siano in possesso di adeguate competenze. Al fine di accertare il possesso di tali competenze é sufficiente verificare in via alternativa che tale personale:
- abbia i requisiti richiesti per rivestire la qualità di tutor o referente aziendale;
- sia in possesso di una qualifica o specializzazione attribuita da un datore di lavoro in forza di precedente rapporto di lavoro subordinato in applicazione di un contratto collettivo.

Ciò premesso, qualora il personale ispettivo riscontri una violazione dei citati limiti numerici provvederà a ricondurre le assunzioni effettuate in violazione degli stessi limiti a dei “normali” rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato.
La “trasformazione” dei rapporti tuttavia, atteso che il contratto di apprendistato è già un contratto di natura subordinata a tempo indeterminato, operativamente darà luogo ad azioni di recupero contributivo (senza tuttavia applicazione della sanzione di cui all’art. 7, comma 1, del D.Lgs. n. 167/2011 ricollegabile esclusivamente ad un inadempimento sul piano formativo) e alla impossibilità, da parte del datore di lavoro, di recedere dal rapporto senza giusta causa o giustificato motivo al termine del periodo formativo ai sensi dell’art. 2, comma 1 lett. l), del D.Lgs. n. 167/2011, ferma restando l’applicazione delle “consuete” sanzioni di carattere amministrativo.
Va ulteriormente chiarito che l’eventuale violazione di limiti numerici introdotti dalla contrattazione collettiva ma che non si concretizzino nella violazione dei limiti legali, non potrà avere effetti sul piano pubblicistico, dando luogo ad una “trasformazione” dei relativi rapporti di lavoro. Tali clausole limitatrici, avendo valenza esclusivamente “obbligatoria”, potranno infatti determinare effetti esclusivamente sul piano della violazione contrattuale per le aziende iscritte alle
organizzazioni firmatarie del relativo contratto collettivo.
5. Apprendistato e pregresse esperienze lavorative
In relazione a ciascuna tipologia di apprendistato il Legislatore individua particolari requisiti di carattere “anagrafico” in capo al lavoratore ovvero, come si è detto, particolari requisiti “numerici” e di “stabilizzazione” in capo dal datore di lavoro.
Un problematica particolarmente delicata, concernente i requisiti del lavoratore apprendista, attiene anche alla “qualificazione” dello stesso che, ovviamente non deve essere già posseduta all’atto dell’instaurazione del rapporto.
In tal caso, infatti, il contratto di apprendistato sarebbe nullo per l’impossibilità di formare il lavoratore rispetto a competenze di cui è già in possesso.
Va tuttavia chiarito che un rapporto di lavoro preesistente di durata limitata, anche di apprendistato, non pregiudica la possibilità di instaurare un successivo rapporto formativo.
Sul punto, in mancanza di esplicite previsioni normative o contrattuali, si ritiene infatti possibile richiamare i principi già espressi con risposta ad interpello n. 8/2007, anche se riferiti al precedente quadro regolatorio.
In particolare, come chiarito in tale sede, occorre valutare se nell’ambito del piano formativo individuale sia ravvisabile un percorso di natura addestrativa di carattere teorico e pratico volto ad un arricchimento complessivo delle competenze di base trasversali e tecnico professionali del lavoratore. Nell’ambito della valutazione rileva peraltro anche la durata del rapporto di lavoro precedentemente intercorso con il datore di lavoro, in quanto tale elemento incide inevitabilmente sul bagaglio complessivo delle competenze già acquisite dal lavoratore. A mero titolo orientativo, non sembra ritenersi ammissibile la stipula di un contratto di apprendistato da parte di un lavoratore che abbia già svolto un periodo di lavoro, continuativo o frazionato, in mansioni corrispondenti alla
stessa qualifica oggetto del contratto formativo, per un durata superiore alla metà di quella prevista dalla contrattazione collettiva; tale conclusione è dettata dalla necessità che il precedente rapporto di lavoro, sotto il profilo dell’acquisizione delle esperienze e delle competenze professionali, non abbia a prevalere sull’instaurando rapporto di apprendistato.

6. Apprendistato e “disconoscimento” del rapporto: benefici “normativi”
In tutte le ipotesi in cui il rapporto di apprendistato venga “disconosciuto”, sia per violazione degli obblighi di carattere formativo, che per assenza dei presupposti di instaurazione del rapporto stesso (ad es. violazione limiti numerici, violazione degli oneri di stabilizzazione, assenza requisiti anagrafici ecc.), il lavoratore è considerato un “normale” lavoratore subordinato a tempo indeterminato.
In tale ipotesi vengono meno anche i benefici di carattere “normativo” già concessi in relazione al rapporto di apprendistato tra i quali, oltre al “non computo” del lavoratore nell’organico aziendale (art. 7, comma 3, D.Lgs. n. 167/2011), anche il “sottoinquadramento” dello stesso o la “percentualizzazione” della retribuzione.
Tali benefici sono infatti “intimamente” connessi allo status di apprendista e decadono automaticamente nel momento in cui il rapporto di lavoro venga “disconosciuto”, in quanto vengono meno le caratteristiche essenziali della tipologia contrattuale.
Premesso quanto sopra, per quanto attiene ai profili retributivi, il personale ispettivo provvederà ad adottare il provvedimento di diffida accertativa in relazione al “differenziale” derivante dal diverso inquadramento contrattuale del lavoratore.

7. Apprendistato e somministrazione di lavoro
Nell’ambito del riformulato art. 2, comma 3, del D.Lgs. n. 167/2011 il Legislatore chiarisce anche i limiti di utilizzabilità del contratto di apprendistato attraverso lo strumento della somministrazione di lavoro.
Ferma restando la possibilità di ricorrere a personale apprendista fornito da una agenzia di somministrazione - si prevede infatti che il datore di lavoro può assumere un dato numero di apprendisti direttamente o “indirettamente per il tramite delle agenzie di somministrazione di lavoro ai sensi dell’articolo 20 del D.Lgs. n. 276/2003” - si chiarisce ora che “è in ogni caso esclusa la possibilità di assumere in somministrazione apprendisti con contratto di somministrazione a tempo determinato di cui all’articolo 20, comma 4, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276”.
In sostanza, le agenzie di somministrazione potranno fornire lavoratori assunti con contratto di apprendistato solo in forza di una somministrazione a tempo indeterminato (c.d. staff leasing).
Ciò determinerà l’inapplicabilità di quelle disposizioni contrattuali che, nelle more della approvazione della riforma, hanno introdotto una disciplina in parte diversa (si veda l’art. 7, commi 4 e 5, del contratto collettivo sottoscritto il 5 aprile 2012 da Assolavoro, Felsa CISL e Uil Tem.p).
Anche in relazione a tale disposizione il Legislatore prevede che la stessa trovi applicazione “esclusivamente con riferimento alle assunzioni con decorrenza dal 1° gennaio 2013”.

8. Onere di stabilizzazione
Secondo la L. n. 92/2012, che ha introdotto il nuovo art. 2, comma 3 bis, del D.Lgs. n. 167/2011, con esclusivo riferimento ai datori di lavoro che occupano almeno 10 dipendenti, “l’assunzione di nuovi apprendisti è subordinata alla prosecuzione del rapporto di lavoro al termine del periodo di apprendistato, nei 36 mesi precedenti la nuova assunzione, di almeno il 50% degli apprendisti dipendenti dallo stesso datore di lavoro”.
Per i primi 36 mesi dall’entrata in vigore della L. n. 92/2012 tale percentuale è tuttavia fissata al 30%. Ciò comporta che a far data dal 18 luglio 2012 e in relazione alle nuove assunzioni di apprendisti occorre verificare se il numero dei rapporti “trasformati” nel corso dei 36 mesi precedenti tale assunzione sia almeno pari al 30% dei rapporti avviati nello stesso periodo. Da notare, inoltre, che quella del 30% è una percentuale minima che tuttavia, a partire dal 2015, non sarà più sufficiente per rispettare gli oneri di stabilizzazione Come già chiarito con circ. n. 18/2012, infatti, a decorrere dal 18 luglio 2015 la percentuale di stabilizzazioni da rispettare sarà del 50% e andrà, anche in tal caso, verificata in relazione ai periodi formativi venuti a scadenza nei 36 mesi precedenti.
Stabilisce ancora il Legislatore che dal computo della predetta percentuale sono esclusi i rapporti cessati per:
- recesso durante il periodo di prova;
- dimissioni;
- licenziamento per giusta causa.
Inoltre, qualora non sia rispettata la predetta percentuale, è consentita l’assunzione di un ulteriore apprendista rispetto a quelli già confermati, ovvero di un apprendista in caso di totale mancata conferma degli apprendisti pregressi.
Ancor prima dell’intervento della L. n. 92/2012 esisteva già un diverso onere di stabilizzazione. L’art. 2, comma 1 lett. i), del D.Lgs. n. 167/2011 affida infatti alla contrattazione collettiva interconfederale o nazionale il compito di prevedere la “possibilità di forme e modalità per la conferma in servizio, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, al termine del percorso formativo, al fine di ulteriori assunzioni in apprendistato (…)”.
In tal senso uno dei primi contratti che ha declinato la nuova disciplina dell’apprendistato - il contratto Confprofessioni del 29 novembre 2011 - ha ad esempio previsto che per l’assunzione con contratto di apprendistato professionalizzante il datore di lavoro deve aver mantenuto in servizio almeno il 50% dei lavoratori il cui contratto sia venuto a scadere nei 18 mesi precedenti. Il contratto Confcommercio del 24 marzo 2012 ha invece stabilito, con specifico riferimento ai contratti di apprendistato professionalizzante, che le imprese non potranno assumere apprendisti qualora non abbiano mantenuto in servizio almeno l’80% dei lavoratori il cui contratto di apprendistato professionalizzante sia venuto a scadere nei 24 mesi precedenti, “ivi compresi i lavoratori somministrati che abbiano svolto l’intero periodo di apprendistato presso le medesime”.
Analoga disposizione è inoltre contenuta nel contratto Confesercenti del 28 marzo 2012 e nel contratto Federturismo del 14 maggio 2012.
In relazione a tali discipline è stato già chiarito che:
- per i datori con meno di 10 dipendenti andrà rispettata esclusivamente la clausola di stabilizzazione prevista dal CCNL;
- per i datori di lavoro con almeno 10 dipendenti andrà invece rispettata esclusivamente la clausola di stabilizzazione legale.

In tutti i casi, per espresso dettato dell’art. 2, comma 3 bis, ultimo periodo, il superamento dei limiti comporterà la “trasformazione” del rapporto in un normale rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato sin dalla data di costituzione (senza tuttavia applicazione della sanzione di cui all’art. 7, comma 1, del D.Lgs. n. 167/2011 ricollegabile esclusivamente ad un inadempimento sul piano formativo). A tal fine il personale ispettivo non potrà non seguire un criterio “cronologico” per l’individuazione delle unità da considerare quali “normali” lavoratori subordinati a tempo indeterminato.
Va poi evidenziato che il datore di lavoro che non abbia stabilizzato alcun lavoratore o perché privo di personale apprendista o perché, nel periodo considerato, non sia venuto a “scadenza” nessun apprendistato, non è evidentemente soggetto a particolari limitazioni in ordine a nuove assunzioni, ferme restando quelle di carattere numerico. Sul punto è sufficiente ricordare che la formulazione normativa introduce detti oneri di stabilizzazione al fine di procedere alla “assunzione di nuovi apprendisti”, presupponendo pertanto che il datore di lavoro abbia attivato, in passato, contratti di apprendistato.